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L'inferno sotto il burqa

Lo psichiatra “legge” il fenomeno dei Talebani

La questione delle donne afghane e della pesante repressione del loro comportamento, ha suscitato scandalo crescente negli ultimi anni ed è scoppiata con violenza dopo l'11 settembre. E' una vicenda gravissima e molto dolorosa che è stata progressivamente portata a conoscenza del mondo grazie a coraggiose iniziative personali e alla nascita di gruppi strutturati che, facevano uscire verso il mondo notizie, idee ed allarmi.

Ma la situazione che si è venuta a creare in Afghanistan non ha nulla a che vedere con la posizione della donna nel mondo islamico, sia per quanto riguarda il Corano sia per il ruolo femminile nella maggior parte dei paesi islamici diversi dall'Afghanistan degli ultimi dieci anni. E' naturale che il mondo occidentale la diversità degli atteggiamenti tenuti dalla popolazione maschile nel mondo islamico appaia di difficile comprensione. E allo stesso tempo i costumi occidentali sono considerati dalle popolazioni di religione islamica, troppo permissivi e “corrotti”.

Donne a bambine sono state particolarmente prese di mira dai Talebani e danneggiate dalla crescita verticale della povertà. Prima della guerra civile, l'Afghanistan non era proprio un baluardo di parità tra i sessi, ma stava dimostrando un crescente impegno nei diritti delle donne. Secondo Amnesty International nel 1960 il governo, sotto la leadership del primo ministro Daoud Khan, aveva considerato il velo facoltativo, e concesso alle donne gli stessi diritti e doveri di fronte alla legge, cioè potevano votare. Donne e bambini potevano andare a scuola, Durante l'occupazione sovietica, l'età minima di matrimonio si era alzata, erano stati creati corsi di alfabetizzazione, e l'importanza dell'istruzione aveva avuto più enfasi. Secondo alcune fonti, prima dell'ascesa dei Talebani, le donne afghane costituivano il 40% dei medici di Kabul, il 70% degli insegnanti di scuola, il 60% dei docenti all'università di Kabul, e il 50% degli studenti universitari. Oggi le donne non possono lavorare fuori di casa, uscire se non accompagnate da un parente di sesso maschile (mahram), o indossare scarpe che producono rumore. Le finestre delle case in cui vivono donne devono essere dipinte di nero, in modo da renderle invisibili dall'esterno. Devono indossare il burqa, un abito lungo col cappuccio che nasconde le loro teste e i loro piedi, con una rete sugli occhi.

I membri del “Dipartimento per la promozione delle virtù e la prevenzione del vizio” controllano le strade e attaccano coloro che non obbediscono alle regole. Le donne “non in regola” vengono torturate e picchiate, perfino per infrazioni minori, come l'inavvertito gesto di scoprire la caviglia. Una donna stuprata può essere facilmente accusata di adulterio ed essere giustiziata. A causa del divieto di lavorare, le vedove di guerra ed altre donne devono mendicare o prostituirsi per mantenere se stesse e le proprie famiglie. Inoltre, molte donne sono morte di malattie facilmente curabili, dal momento che ai medici uomini non è permesso di curare pazienti di sesso femminile e – a parte un ristrettissimo numero di donne – a tutte è stato vietato di operare in campo medico. Anche in caso di emergenza, una donna può essere rispedita a casa, se non si presenta all'ospedale vestita propriamente e non accompagnata da un parente maschio.

I Talebani hanno anche vietato alle bambine di frequentare la scuola, inclusi dei corsi in casa sponsorizzati da alcune ONG. Solo di recente i Talebani hanno concesso a Kabul un numero molto ristretto di corsi per bambine che si tengono in casa. Ma anche questi corsi sono aperti solo alla bambine sotto i 12 anni e l'obiettivo è quello di insegnare solo quanto basta per poter leggere il Corano.

LE LEGGI CORANICHE

La donna afghana vive dunque una tragica repressione che denota la volontà di stravolgere le leggi coraniche da parte dei fondamentalisti. Si pongono a questo punto diverse domande. Se il Corano assume una posizione non oltranzista nei confronti della donna, come mai la sua interpretazione fondamentalista ne ha stravolto i principi? Quali sono i motivi che hanno trascinato un paese e i suoi governanti ad andare così fortemente contro tendenza, in modo drammaticamente violento rispetto al ruolo ed alla figura femminile? E' possibile sostenere una posizione sessuofobica o ginecofobica da parte dei Talebani?

Le risposte potrebbero essere molte, ma per una religione rivelata, che già 1500 anni fa ha dato risposte definitive all'esistenza umana, sembrerebbe sufficiente leggere il Corano e affidarsi alla sua interpretazione restrittiva per poter sciogliere questi dubbi. Un articolo di Hammuda Abdul-Ati, comparso sul sito Internet dell'Istituto di Informazione e dell'educazione islamica, non lascia spazio all'interpretazione. “La donna nell'Islam ha diritti e responsabilità che sono uguali a quelli dell'uomo, ma non necessariamente identici. L'Islam garantisce eguali diritti, ma non diritti identici, perché l'essere uomo e donna è il risultato di due situazioni profondamente diverse”.

Nel libro di M.Rafiquil-Haqq e P. Newton, “The place of women in pure Islam”, edito nel 1996, l'autore afferma senza ombra di dubbio che la donna non può essere giudicata pari all'uomo perché è “gravemente carente quanto ad intelligenza, religiosità, gratitudine, capacità di testimoniare. E' solo un giocattolo, e deve sottostare alle richieste del marito in qualsiasi momento e senza potersi opporre”. Il libro sembra abbia avuto un grande successo.

Fortunatamente alcuni interpreti e critici del mondo islamico non appaiono in linea con questa posizione e rivalutano la figura femminile, mettendola però comunque in una posizione subornata “per proteggerla dai rischi cui un mondo sempre più privo di religiosità potrebbe sottoporla”.

Di base, quindi, sembra chiaro che la differenza tra maschio e femmina sia comunque sottolineata con grande forza. Secondo la valutazione di alcuni critici del mondo islamico, è possibile che in aree geografiche più isolate, dove la tradizione prevale sull'apertura, sia per protezione che autodifesa, uno squilibrio nel rispetto dei principi di eguaglianza tra i sessi possa portare ad aberrazioni quali quelle dell'Afghanistan.

I Talibani seguono, da punto di vista dell'applicazione dei principi coranici, norme particolarmente restrittive e limitative che altrove non sono applicate. Ciò deriverebbe, appunto, dalla collocazione geografica del paese e dalla tradizione culturale e storica dei suoi abitanti. Ne dà drammatica testimonianza il “testamento” di Mohamed Atta, uno dei terroristi coinvolti nell'attentato dell'11 settembre a New York. “Nessuna donna sia presente al mio funerale – scrisse Atta – e nessuna donna sia mai presente sulla mia tomba”.

Vale inoltre la pena di ricordare che ai guerrieri musulmani morti in battaglia viene garantito di poter usufruire di “72 vergini eterne, che non hanno dimensione spirituale, che sono una cosa senza possibilità di sviluppo, senza intelletto, che non pensano, che attendono solo di consumarsi”.

Si tratta di pura misoginia? Probabilmente sì, ma una è comunque la valutazione che noi facciamo dall'interno della nostra cultura, e non è affatto da escludere che anche il mondo occidentale abbia una propria misoginia paradossale, quella che consente alla donna di essere libera, ma solo rispettando gli schemi – in fondo altrettanto rigidi – della nostra cultura.

Un'altra interpretazione suggestiva della possibile sessuofobia di una parte del mondo islamico, viene da un libro appena uscito negli Stati Uniti dal titolo “Raping the whirlwind: the Taliban movement in Afghanistan”, di Micheal Griffin. Secondo Griffin qualsiasi atteggiamento delle donne che esibisca anche una piccola parte del corpo viene vissuto dai fondamentalisti come un rischio grave che invita l'uomo al rischio della dannazione. Di conseguenza, per Griffin, la società vagheggiata dai Talebani, povera, dedicata all'agricoltura ed alla pastorizia, senza forti legami con le diverse rappresentazioni della propria religione , si è ripiegata su se stessa, si è ulteriormente chiusa istituendo un mondo con significative tendenze omosessuali che provocano allo stesso tempo la necessità di chiudersi nei confronti della donna ma anche di doverla penalizzare.

Giorgio Maria Bressa – IL SECOLO XIX – 25/01/2001

(con la collaborazione di Johann Rossi Mason – giornalista medico scientifico)


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