Chi si muove |
Non
vi è dubbio che il movimento italiano contro la guerra e
questa globalizzazione stia attraversando
uno dei momenti più complessi della sua vita. Abbiamo la
necessità di mantenere alte le molteplici forme di
mobilitazione contro una guerra che mostra quotidianamente il proprio
volto: città e villaggi distrutti, stragi di innocenti,
bombardamenti sulle sedi delle agenzie internazionali di solidarietà.
In brevissimo tempo la favola della "guerra chirurgica" e
dell'"azione internazionale di polizia" è svanita
mostrando la debolezza politica di coloro che ne l'avevano sostenuta.
Ma possiamo proprio dire che se "errare è umano"
"perseverare è diabolico": mentre la Croce Rossa
lancia un drammatico appello e mentre i pacchi dono, sganciati
insieme alle bombe, si trasformano in trappole mortali su un terreno
cosparso di mine, vi è chi contrappone la richiesta di
improbabili "corridoi umanitari" a una pur minima richiesta
di "sospensione dei bombardamenti". Nel frattempo se
qualcuno nutriva ancora qualche dubbio le pagine dei giornali ci
mostrano come la vita umana non abbia, ovviamente,lo stesso
valore nelle diverse parti del pianeta. In Sudafrica e in Brasile
dovevamo assistere indifferenti alla morte di milioni di persone di
Aids mentre le multinazionali del farmaco trascinavano Mandela di
fronte ad un tribunale e gli Usa denunciavano il Brasile davanti ai
giudici del Wto; oggi invece Usa e Canada, di fronte al bioterrorismo
minacciano di non rispettare il brevetto della Bayer, l'azienda che
produce Cipro. Ottima notizia, peccato che nessuno dei grandi media
si sia permesso di evidenziare il diverso trattamento riservato ai
Paesi del sud del mondo.
Nel frattempo si avvicina il vertice del
Wto, ossia di quell'organismo antidemocratico e privo di legittimità
che, non solo nell'immaginario collettivo del movimento ma anche
nella realtà, dirige la globalizzazione neoliberista di questo
pianeta. L'agenda conosciuta è decisamente già molto
fitta ed è probabile che quella riservata lo sia ancora di
più: sarà l'occasione per cominciare a ridisegnare i
rapporti di forza dopo l'11 settembre, si parlerà certo della
lotta al terrorismo ma non solo; ognuno presenterà il proprio
conto: i più forti per ridefinire il controllo sulle
importanti risorse energetiche presenti nell'Asia centrale, altri per
ritirare la cambiale firmata in occasione dell'adesione alla Santa
Alleanza. E possiamo stare certi che su questa cambiale sono già
segnati le popolazioni che d'ora in poi potranno essere ancor più
calpestate senza che il mondo occidentale minacci di manifestare
alcuna preoccupazione: i ceceni, i tibetani, solo per ricordarne
qualcuno, gli stessi pakistani (schiacciati sotto un regime di cui
nessuno parla) e più in generale gli immigrati, come si può
facilmente comprendere dalle proposte di legge, per alcuni versi
speculari, presentate negli Usa e in Italia.
Il movimento è
chiamato a fronteggiare, quasi in solitudine, eventi di tale
impressionante gravità proprio mentre avrebbe avuto la forte
necessità, dopo Genova e Perugia, di poter rallentare il passo
e dedicare spazio e tempo a riflettere su se stesso, sulle proprie
forme di democrazia e di organizzazione, sul nuovo patto di
lavoro.
Ma siamo un movimento sociale che vuole trasformare la
realtà, quella reale, non quella virtuale o quella che
qualcuno può progettare a casa sua dietro una scrivania; per
questo il nostro posto non può altro che essere nel mezzo dei
conflitti a fianco di coloro che chiedono pace, farmaci e sovranità
alimentare, tanto per citare alcune delle questioni sulle quali
organizzeremo la contestazione alla guerra e al Wto. D'altra parte
non vi è dubbio che forte è la necessità di
evitare ulteriori rinvii di un'ampia discussione interna al
movimento, ma dovremo essere capaci di intrecciarla con i tempi del
nostro agire politico e se questo può apparire estremamente
faticoso, può per altri versi rappresentare anche una garanzia
affinché le nostre discussioni non siano segnate da rischi di
involuzione burocratica e da operazioni di piccolo cabotaggio da
parte di singole organizzazioni.
Se questa è la situazione,
e se vi è la consapevolezza collettiva dei nostri tanti ed
agguerriti avversari, allora dobbiamo cercare di evitare gli errori;
oggi forse siamo noi stessi coloro che possono paradossalmente
arrecare più danno al movimento.
Abbiamo sempre sostenuto
che la forza di questo movimento è la sua pluralità, la
sua capacità di riconoscersi in obiettivi comuni anche quando
si arriva da percorsi differenti, con culture e pratiche politiche
anche fra loro lontane. A Genova abbiamo avuto la capacità di
definire un comune patto di lavoro, di sottoscrivere una
dichiarazione sulla natura pacifica, non violenta, del movimento; nel
contempo abbiamo riconosciuto, dentro questo orizzonte condiviso,
pratiche di lotta differenti, le abbiamo reciprocamente accettate
come una ricchezza di tutti. Siamo stati consapevoli dell'importante
ruolo che le molte organizzazioni hanno svolto nella costruzione del
Gsf, ma siamo sempre stati vigili affinché nessuno tentasse
operazioni di egemonia o di uso strumentale del movimento.
Credo
che tali caratteristiche debbano segnare anche il nostro percorso
futuro, a cominciare dal dibattito attorno alle prossime scadenze. A
Firenze abbiamo collettivamente lanciato tre giornate di
mobilitazioni, 8, 9 e 10 novembre, contro la guerra e il Wto; abbiamo
indicato con precisione gli obiettivi e i contenuti sui quali
chiamare tutti i Social Forum a mobilitarsi in ogni città,
abbiamo annunciato un grande forum antiliberista per l'8 e il 9 a
Roma, abbiamo ascoltato la proposta del Social Forum della capitale
per una manifestazione nazionale in quella città per il 10,
stabilendo che ogni singola associazione nazionale e locale ed ogni
singolo Social Forum avrebbe autonomamente deciso se parteciparvi o
meno.
Le scelte di Firenze non hanno rappresentato una mediazione
al ribasso tra varie componenti, ma un elemento di consapevolezza e
di laicità di un movimento che riconosce l'indispensabilità
di tutte le sue parti a che coglie come eventi complementari
convegni, cortei, campagne di di boicottaggio e azioni di
disobbedienza. Credo che sarebbe un grave errore recedere da questo
percorso, cercare di strappare maggioranze nei singoli Social Forum
per far passare la tesi della propria organizzazione, così
come ritirarsi sull'Aventino a contemplare la propria purezza;
sarebbe solo fortemente distruttivo contrapporre fra loro la
manifestazione e l'organizzazione di convegni rivendicando ora la
priorità dell'azione politica diretta ora quella dei contenuti
come se non fossero intrecciate l'una con l'altra.
L'importante è
essere capaci in quelle giornate di contattare il più alto
numero di persone, di rendere facilmente comprensibili i nostri
contenuti e magari di contaminare anche parte di quel mondo della
cultura e della scienza che fino ad ora è stato fortemente
latitante.
Se riusciremo ad agire in tal modo, ad essere tanti a
Roma come nelle tante iniziative organizzata nelle altre città,
avremo fatto un ulteriore passo in avanti sul nostro percorso, per
l'ennesima volta avremo sconfitto chi, a destra ma non solo, lavora
quotidianamente per dividerci.
Perché sa bene che la nostra
unità è la nostra forza, ed è la loro debolezza.
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