Nostra è la bandiera della non violenza |
Non mi entusiasma il dibattito che si è scatenato sui giornali a proposito del Forum Sociale Europeo di Firenze. Mi pare fortemente condizionato dalla ricerca dello scoop a tutti i costi, dalla necessità di riempire il vuoto estivo con non-notizie capaci di attrarre l'attenzione del lettore. La strumentalizzazione della destra completa un quadro di per sé già mortificante.
Avrei preferito misurarmi sui temi che saranno al centro dell'incontro di Firenze (la questione dei brevetti e l'accesso ai farmaci essenziali, la privatizzazione dei sistemi sanitari e l'esclusione sociale, la guerra permanente e il terrorismo internazionale, ecc.), illustrare le proposte del movimento ed ottenere risposte precise ed impegnative dei vari interlocutori. Così non è stato e quindi, per ora, ob torto collo, mi adeguo.
Il Forum Sociale Europeo nasce come articolazione continentale del Forum Mondiale di Porto Alegre: come punto d'incontro di tutti i movimenti che si riconoscono nella carta di Porto Alegre definita da precise discriminanti contro la guerra, il terrorismo e il neoliberismo. Nasce quindi come momento di forte intreccio tra la capacità propositiva e di elaborazione di ampi settori della società civile e la radicalità dei movimenti sociali.
Il successo delle mobilitazioni genovesi dei giorni scorsi aveva offerto al movimento una grande opportunità per riproporre le proprie battaglie di civiltà e tacitare definitivamente i tanti aspiranti becchini. Ma le dichiarazioni di Casarini hanno spostato il confronto su un terreno arretrato e i media non hanno esitato a costruire il polverone. Chi è ormai un personaggio pubblico dovrebbe misurare le conseguenze delle proprie dichiarazioni, soprattutto quelle indesiderate. Sempre che polveroni e articoli caldi siano conseguenze indesiderate. Scandalizzarsi a posteriori di come la stampa rappresenta le esternazioni rischia di essere un gioco ove ciascuno svolge la propria parte in una commedia degli equivoci, il cui copione è scritto da tempo e della quale non se ne sente certo la necessità.
Già lo scorso anno a proposito della dichiarazione di guerra, Adriano Sofri espresse una forte critica all'arte dell'esternare per proclami. Condividevo ieri e condivido oggi quella critica e ricordo che in quell'occasione sottolineai anche il mio dissenso verso l'utilizzo di un linguaggio mutuato dal gergo militare, che non ci appartiene. Tanto è vero che a Genova la guerra e la violenza furono praticate da una parte sola e che noi, tutti noi, da Lilliput alle Tute Bianche, allora raccolti nel Gsf, la subimmo e ne fummo vittime.
Ritengo che questo movimento debba essere pacifico e non-violenza o non avrà futuro; non avrei mai pensato di dover ripetere, a tanti anni di sostanza da Don Milani, che la nonviolenza non significa rinuncia al conflitto sociale, né accettazione dello status quo. La non-violenza può essere un formidabile strumento di trasformazione sociale e certamente comprende pratiche radicali di disobbedienza civile: l'occupazione delle fabbriche, degli alloggi tenuti appositamente sfitti, gli scioperi generali e generalizzati sono solo alcuni esempi. La destra sta oggi cercando di criminalizzare il conflitto sociale, confondendo una scelta di lotta non-violenta praticata dal movimento con la richiesta di una pace sociale a difesa degli attuali privilegi apparentemente condivisa da buona parte dello schieramento di centrosinistra.
La non-violenza può certamente assumere per tanti (ed anche per me) un significato etico, ma non deve essere trasformata in ideologia o in proprietà esclusiva di questa o quella parte del movimento. Essa va contestualizzata. La nostra situazione non è ad esempio comparabile al periodo della Resistenza quando è stato storicamente necessario ricorrere anche ad altre forme di lotta (a questo proposito esistono ampie elaborazioni sia dalle diverse anime della sinistra sia dalle diverse voci dei credenti a cominciare dal Concilio Vaticano II). Ma dobbiamo porre estrema attenzione al rapporto tra mezzi e fini: i due termini non possono essere in contraddizione. La società per la quale ci battiamo la costruiamo in progress, giorno dopo giorno: le tragedie storiche del Novecento sono un monito non eludibile.
Precisato tutto ciò, credo di non sbagliare affermando che Casarini, al di là di un linguaggio roboante e di qualche semplificazione di troppo, non avesse alcuna intenzione di annunciare atti di violenza, ma semplicemente volesse ribadire la centralità del conflitto sociale comunque non cancellabile, né comprimibile. (Caro Luca, a proposito di semplificazione, non pensi di aver un po', anche solo un pochino, esagerato se non altro per una questione anagrafica! - ponendoti quasi come unico protagonista delle grandi lotte degli anni '70? Non pensi di aver un po' superato il segno mettendo tutti insieme nello stesso mucchio il sottoscritto, Folena e Pistelli? Non ho nulla contro costoro, ma come sai da loro mi dividono tante cose, a cominciare dal fatto che non c'erano lo scorso anno a Genova, mentre il sottoscritto mi sembra fosse presente, eravamo in tanti, diversi ma insieme, credo che nessuno, nemmeno tu in quell'occasione abbia sofferto di solitudine, vero?).
Non spetta certamente a Martini, come a nessun altro, decidere chi fa parte e chi no del movimento. Quando abbiamo scelto Firenze come sede del Forum Sociale Europeo abbiamo subito precisato la nostra totale autonomia delle istituzioni e, pur riconoscendo il coraggio politico mostrato da Martini lo scorso anno, quando in contrasto con il suo partito venne il 21 luglio a Genova a portare la solidarietà al Gsf, siamo sempre stati ben consapevoli delle distanze politiche che ci separano, sulle privatizzazioni, solo per fare qualche esempio. Sono profondamente convinto che qualora la sinistra moderata decidesse di passare alle scomuniche, troverebbe non solo l'opposizione di tutto il movimento, ma ripercorrerebbe gli errori degli anni '70. Errori che non furono indolori per il nostro Paese ma che anzi provocarono grandi lacerazioni e tragedie.
Vittorio Agnoletto
L'UNITA' 27/07/2002
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