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26 giugno 2003: King Crimson a Venezia |
Dunque, io sono lì, prima fila centrale. Vorrei ben vedere, centomiladellevecchielire... Ma, oggettivamente, non ci sono: un quarto d'ora prima dell'arrivo della pattuglia al gran completo, prima che noi possiamo capire che il concerto è davvero iniziato, Robert, uomo blu, si infila nella sua dock station e, assieme al suo altare ammiccante di rosso e di verde, diventa il Frippertronic vivente. Viaggio cosmicamente nei suoi soundscapes, così come avevo già fatto con l'odissea rinarrata da Kubrick. Poi l'uomo blu si allontana, e gli echi continuano. Arriva il drappello di difensori della terra e, con una quantità disumana di suoni, creano uno scudo imperforabile. E noi dentro l'alieno, protetti dal mondo normale, poiché la ragione è un sonno che genera mostri, e non dobbiamo dormire: qui si viene per imparare, ed esistono nuove ragioni, nuovi ordini. Aut disce, Aut discede. La squadra è illuminata, l'uomo blu rimane sempre al buio. Adrian è l'unico umano, in mezzo agli androidi: ride, si muove, si diverte... come farà Robert a sopportarlo? Poi si capisce: lui è l'ologramma del figlio che ha sempre avuto, ma rivisto, corretto. Umano ma perfetto. I fari sono per lui, non per il Padre. Piega la chitarra, davvero, non è un gioco di parole. Quello che Trey imbraccia potrebbe essere scambiato per un basso soltanto da un alfacentauriano: le sue mani accarezzano la tastiera larga come un'autostrada, e le sue perlustrazioni bimani hanno una dolcezza ipnotica. Spesso la mano destra diteggia al di là della sinistra, più vicina alle innumerevoli chiavi del suo strumento millecorde. Lui no, non è umano, è ideale... ma dolce. Pat non è Billy, ma è quanto basta per impedire a noi di capire cos'è questo ritmo, di capire perché, ma soprattutto quando. Loro, tutti assieme, ci impediscono di capire cosa stanno facendo, dove ci porta la melodia, dove ci dovrebbe portare la melodia, dov'è la melodia. Signori, qui non si fanno sconti: se avete scelto questo punching-jumping dovevate pensarci prima! Se non ci fosse "One Time", non so se sopravviveremmo fino alla fine, se il cuore potrebbe reggere, se la mente non si dissiperebbe: è l'intervallo, è bella come una ragnatela di ghiaccio che lentamente si distrugge, come una argentea spada sottile che scivola dentro il costato, come un - il - grande amore che muore consapevolmente, consensualmente. Poi riprendono a sparare. Ci guardano e forse non ci vedono. L'uomo blu, invece, non guarda noi: vigila sempre i suoi discepoli prediletti e pompa ossigeno nel loro acquario. Lui muggisce, ci stordisce di barriti, senza bussare. E note, e note, e note... bossoli sul palco. Il grande vecchio ha una mano dentro il caos, e quanto artiglia ce lo riporta ripulito ed in ordine. È solo quando li riportiamo al palco una seconda volta che, dopo tutto quel caos, ci danno un po' di Discipline, lì dove il nuovo corso ha avuto inizio. Il finale è rosso, era l'embrione di quel passato futuro, ed è tutto per noi vecchi iniziati. Applausi, inchini, sorrisi, bravi. Ite, missa est. Andrea Barbazza |
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