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MUSICA

13 settembre 2003: Le Orme a Marghera
(concerto dell'inaugurazione della nuova Piazza Mercato)

Certe cose nessuno te le può togliere.
Forse è per questo che sono qui, ad aspettare che non piova più, ad aspettare che inizi il concerto delle Orme. Forse è perché ho raggiunto, e non superato, l'età che rende i ricordi dolci come le aspettative. Altri con me, altri come me, ci si saluta, c'è un buon odore di complicità.

Le Orme. Il loro primo concerto l'hanno suonato a poco più di un chilometro da qui (quasi quarant'anni fa), e buona parte delle loro canzoni sono nate qua vicino, alcune destinate poi a diventare tra le più grandi nel mondo del Rock Progressive.

Eccoli di nuovo a Marghera, a ribattezzare la loro Piazza Mercato, nuova di luci e di strutture.
Il palco è essenziale, una scatola musicale, incorniciato di mare notturno, sembra quello di un burattinaio, sembra qualcosa che non c'è più.

Tra i fumi sgorgano le prime note di Elementi, dai secretaire di due giovani scrivani, Michele (Bon) ed Andrea (Bassato), per permettere ai due sopravvissuti dell'antico trio, Aldo (Tagliapietra) e  Michi (De Rossi), di fare la loro entrata trionfale.

Il tempo ha dato un'aria dottorale ad Aldo, bianco di bianca barba, mentre, complici luci/distanza/fumi, Michi sembra neppure sfiorato dal tempo, scatenato, veemente, istintivo. Un errore o due da loro, ma tanta passione, tanta voglia di suonare per noi. Neppure qualche danno del mixer li/ci può smontare.

Il concerto vira poi decisamente sulle memorie, perché loro son qui ad omaggiare il loro passato di ragazzi di Marghera (Senti l'estate che risuona dopo trentacinque anni) ed, a parte qualche incursione nel Fiume (1996, Michele era già arrivato) e negli Elementi (2001, Andrea c'era da un paio d'anni), non supereranno il 1976, anno nel quale la platea aveva una media di vent'anni.

Ognuno di noi è qui da solo con la propria emozione, sulla tolda di una macchina del tempo, esposto alla valanga dei reperti di sé stesso, una bufera senza protezione... e sbatterci fa dolorosamente piacere: non c'è riparo, non puoi/vuoi nasconderti da quel vecchio, giovane Uomo di pezza e dalla sua Bimba.

Nel momento acustico, Aldo imbraccia il sitar: "[...]A primavera il sasso nello stagno/Che rimbalzava così forte in noi/", così FORTE in noi, FORTE nella sua voce, "/Nel rotolarci sotto il fieno/Soffriva il cuore frutto ancora acerbo[...]"... E c'è anche il Fiume.

Poi, più avanti (il quartetto è tornato elettrico), Amici di ieri, Regine, Cemento, e tutto quello che loro possono estrarre dal cilindro del vostro cuore. Grande Michele, col suo guitar simulator! Forse anche troppo...

Ed ecco il pezzo migliore: La Suite. Come inizia, mi riperdo nel ricordo di quel ragazzo che attraversa  di corsa la città universitaria per andare dal negozio di dischi usati alla facoltà... era inverno - già, Era inverno -... il giaccone, le scarpone, la sciarpona... sul ghiaccio un lungo volo col vinile tenuto in alto: il sorriso nel rialzarmi col disco intatto. Ecco a voi Felona e Sorona, la conquista del globo terracqueo, all'epoca persino tradotta da Sua Maestà Peter Hammill (beh, se mi state leggendo, probabilmente sapete chi erano i Van Der Graaf Generator) per il mercato anglofono. Tutta. Con il solo di Michi, possente. Tutta, fino allo stroboscopico finale.

Ciao, applausi, tornate fuori, fuori, fuori...
Ritornano, ci consegnano un Collage farcito di Sguardi e Rondo, gli ultimi fuochi d'artificio che tutti aspettavano.
E torniamo a casa non più ricchi, ma sapendo di non essere poveri, sapendo che gli anni non sono passati, o non sono passati invano. Un concerto così ci aiuta a ricordare che ci sono cose (scelte consapevoli, idee autentiche, ma anche armonie coinvolgenti), che ormai fanno parte di noi (ci rendono unici!), e nessuno ce le può togliere, sono ancora dentro/sempre dentro/fanno parte di noi: allora possiamo cantare, possiamo cantarle da soli... se volete possiamo cantarle assieme.

Andrea Barbazza

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