Barba,
riccioli fluenti, fisico asciutto, maglia rossa (e non perché
è cambiato il governo), piglio energico e invettiva
pronta, su tutto una gran sintonia con quelle ragazze e quei
ragazzi stesi davanti al palcoscenico del Primo maggio a Roma che
vedono il futuro come una stagione piena di trappole, come un
limbo di perenne instabilità lavorativa dove i diritti
scarseggiano mentre tanti di loro sentono i partiti ancora
lontani. Con la chitarra suonata rabbiosamente Andrea Rivera
cantastorie denuncia con amara ironia sfruttamenti mascherati da
impieghi allucinanti a tempo, morti sul lavoro e malattie degli
operai (ricordiamoci che i salariati dell'industria sono cinque
milioni), vite appese a un filo mentre cè chi
spaccia la guerra in Iraq per intervento umanitario. Non viene
dal '68. Rivera, nessuna parentela con l'ex campione del Milan e
della nazionale, è del 71 ed è un volto
nuovo. Il concertone del Primo maggio a Roma non lo ha scoperto
perché, dopo aver affabulato per le vie di Trastvere, nel
2004 ha vinto il premio di teatro-canzone Giorgio Gaber
e da due anni a Parla con me di Serena Dandini e
Vergassola su Raitre tampina al citofono personaggi vari per
surreali interviste. Non è una scoperta, tecnicamente, ma
certo la piazza romana lo ha, se non suona altisonante dirlo,
consacrato. Infatti a fine giornata Bisio lo ha
ringraziato e ha provato a passargli il testimone di conduttore
per il 2007.
Andrea,
sul palcoscenico romano hai parlato, anzi recitato cantando, di
operai e precari a vita.
Sì,
volevamo dare un senso alla giornata. Il primo maggio è la
festa dei lavoratori ma è diventata quella dei precari:
basta vedere cosa succede nei call center, a chi lavora per le
compagnie aeree low cost
Per la par condicio televisiva non
potevamo affrontare apertamente temi come la guerra che vanno
affrontati. Così, ad esempio, sul palco ho chiamato
Capuano «madrina» del primo maggio perché
padrino non si poteva dire. Nel pomeriggio ho messo il cappello
da macchinista del palcoscenico perché per dieci anni ho
montato palcoscenici. E approvo quel che ha detto Caparezza:
anche i lavoratori caduti dalle impalcature e quelli morti in
fabbrica sono degni di un funerale come i caduti di Nassirya.
I
testi sono tuoi?
Li
scrivo con Lisa Lelli.
Da
dove vieni?
Ho
fatto prima l'operaio, poi il capo macchinista con Proietti, per
tre anni ero macchinista al Teatro dell'opera di Roma. Trovare un
posto fisso non è stato facile. Recitavo per strada. Dopo
il premio Gaber nel 2004 mi sono buttato nello spettacolo perché
sento l'urgenza di portare la voce della classe operaia che si
sente sempre meno a teatro o in tv. Ascanio Celestini lo fa, ma
non si parla abbastanza delle fabbriche, dell'amianto che uccide
4mila lavoratori l'anno. È accaduto alle ex officine di
Pistoia. O a Porto Marghera, dove al processo i responsabili
dell'industria sono stati assolti perché non c'era una
legge sui gas nocivi.
Domanda
obbligata: ora che Berlusconi non è più capo del
governo artisti come te come si muovono?
Berlusconi
non se n'è andato, ma non ce l'ho con lui, ce l'ho con chi
crede in una politica aziendale. Voglio una politica sociale, non
delle aziende. Credo nei principi etici e democratici. Ma mi pare
che non abbiamo più grandi statisti, anzi, ora entrano
nella politica anche le veline. Comunque come comici avremo lo
stesso grosse questioni da affrontare. Io faccio critica anche a
sinistra, non ho peli sulla lingua, e siccome il tratto
fondamentale della satira è anche l'autocritica verso se
stessi, la propria parte, i nostri politici dovranno accettare le
critiche. Spero soprattutto di non dover rimpiangere il governo
Prodi.
L'ex
premier ne è convinto: lo rimpiangeremo.
Forse
lo rimpiangeranno i comici. Ma non è ora il momento di
esultare, aspettiamo a dire di aver vinto. Restiamo coi piedi per
terra. Dobbiamo restare uniti. Io esulterò tra cinque anni
anni se ci saranno i risultati, quando vedremo meno precari,
quando non si morirà in fila per fare la Tac. Il governo
Berlusconi ha detto anche d'aver ridotto le liste d'attesa: e ti
credo, c'è gente morta mentre aspettava. Ecco, esulterò
quando non avrò più bisogno di queste battute. E
speriamo che non arrivi la cinese (l'influenza) altrimenti
incolperemo i cinesi anche per il governo caduto.
Intervista di Stefano Miliani
L'UNITA' 04/09/2006
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