|
BIBLIOTECA
| |
EDICOLA | |
TEATRO | | CINEMA
| | IL
MUSEO | | Il
BAR DI MOE | | LA
CASA DELLA MUSICA |
| LA CASA DELLE TERRE LONTANE |
| LA
STANZA DELLE MANIFESTAZIONI | | | NOSTRI
LUOGHI | | ARSENALE
| |
L'OSTERIA | | LA
GATTERIA | |
IL PORTO DEI RAGAZZI |
Alessandro
Marzo Magno |
||
Lartista
venuto dal nulla |
Piove
in Rutenia. Piove nel museo Andy Warhol, di Medzilaborce.
Lacqua
sgocciola dal soffitto vicino alle sedie elettriche raffigurate nei
quadri della serie American Death.
Sgocciola dal soffitto di
quella che era stata la realsocialista casa della cultura in questo
remoto angolo di Slovacchia, molto più vicino ai confini con
la Polonia e lUcraina che non alla capitale Bratislava.
Sgocciola sul pavimento di legno, riparato alla belle
meglio da un telo di nylon da imballaggi.
Qua dentro, fino a nove
anni fa, si cantavano le lodi e le glorie del proletariato mondiale.
Ora si ammirano le opere di un artista che quei comunisti non
avrebbero potuto che definire depravato, lontano comera dai
canoni estetici del realismo socialista (e infatti i duri e puri del
comunismo cecoslovacco promossero una raccolta di firme nel 1991 per
cercare di impedire lapertura del museo e «tener fuori
gli omosessuali americani». Anche in questo caso, la Storia li
travolse). E magari definirlo anche servo del capitalismo. Non
dipingeva forse barattoloni di zuppa Campbells? Per la verità,
non lontano dalla zuppa, ci sono anche un ritratto di Lenin in rosso
e due falci e martello, sempre su fondo rosso. Lavori che, si può
star certi, il pubblico locale apprezza molto meno della zuppa
suddetta, ma che proprio per il loro significato storico (anche se
lartista non ha mai manifestato particolari simpatie politiche
né per la destra, né per la sinistra) la Fondazione
Andy Warhol, di New York, ha scelto di esporre a Medzilaborce.
Sì,
fanno davvero uno strano effetto le riproduzioni in cemento dei
barattoloni di Campbells che presidiano lentrata del
museo, poste quasi in una sorta di contrasto epocale proprio di
fronte alla mole imponente della chiesa dello Spirito Santo, un
tempio ruteno che sembra uno strano incrocio tra una torta nuziale e
un albero di Natale.
Il museo è stato uninvenzione
di John Warhola, fratello di Andy e vicepresidente della Fondazione.
Durante la sua prima visita nei luoghi dorigine della sua
famiglia, conobbe un giovane insegnante darte, Michael Bycko,
che lo convinse a esporre delle opere del defunto fratello in questo
sperduto angolo di Slovacchia.
Alcune gallerie si erano rifiutate
di mostrare opere di Andy prestate dalla Fondazione di New York
(sembra di vedere le facce di questi direttori formatisi con i rigidi
canoni estetici realsocialisti di fronte ai quadri «depravati»
di Warhol), ma questo spronò Bycko, anziché
demoralizzarlo.
John si innamorò dellidea e i soldi
della Fondazione fecero il resto. Ora sono esposti 23 originali e 19
copie. In ottobre il ministero della Cultura slovacco ha acquistato
altri 10 originali, copie con firma autografa della serie Ladies and
Gentlemen. Vengono da una collezione tedesca.
Alla gente di qua,
del museo più di tanto non è mai interessato. Anzi,
allinizio proprio non ne voleva sapere.
Nel Kulturny Dom,
infatti, non si tenevano solo gli incontri ufficiali con falci,
martelli e inni gracchiati dagli altoparlanti.
Cerano anche
un cinema, un ristorante, una grande sala dove si ballava in
occasione delle feste, fossero esse folcloristiche, di nozze, di
compleanno.
Figurarsi quindi se volevano dare il tutto in mano a
uno sconosciuto americano che diceva di essere fratello di un tale
che quasi nessuno aveva mai sentito nominare. E poi perché?
Per fare un museo?
Le visite nei musei, fino a qualche tempo
prima, erano un atto politico, un dovere da compiere in nome del
sapere comunista. Ora che i tempi erano cambiati, nei musei nessuno
aveva la benché minima intenzione di andarci.
E infatti la
gente di Medzilaborce nel museo non ci va: è sempre visto come
un corpo estraneo, come un qualcosa che ha preso il posto del
ristorante e del cinema.
Che ci sia un tanto di sbagliato nel
rapporto tra il museo e la città che lo ospita è
evidente anche dalle parole di Peter Fecura, il direttore, che
parlando della vecchia casa della cultura si premura di far sapere
che era una specie di guscio vuoto.
«Non cera
niente», dice. Per sapere delle feste, del cinema, del
ristorante, bisogna leggere lo speciale di tre pagine che la Neue
Zürcher Zeitung ha dedicato a Warhol e al suo museo slovacco.
Museo che, daltra parte, si è rivelato unimpresa
economicamente fallimentare.
Non ci sono soldi per stampare un
catalogo, rinnovare lesposizione, riparare il tetto e tantomeno
per mettere in piedi una campagna promozionale che attiri un po
di visitatori. Senza i quattrini del ministero della Cultura di
Bratislava e della Fondazione Warhol di New York, quello che
ufficialmente è chiamato «Museo darte moderna
della famiglia Warhol» sarebbe stato costretto a chiudere già
da un bel po. E non si sa ancora quanto a lungo continueranno
ad arrivare i fondi da oltreoceano.
John è ormai anziano e
da quando sua moglie è stata male, i suoi viaggi si sono
diradati.
Non si direbbe inoltre che la gloria di casa attiri più
di tanto gli slovacchi.
Secondo quanto dichiarato dal direttore
Fecura, sui 20 mila che nel 1995 (scesi a 15 mila nel 1997) hanno
varcato la soglia del Muzeum moderneho umenia Andy Warhola, gli
slovacchi erano solo un migliaio; gli stranieri 19 mila.
Scorrendo
però le firme apposte sul libro dei visitatori, le firme degli
slovacchi, soprattutto scolaresche, sovrastano di gran lunga quelle
degli stranieri, in massima parte americani.
Unaltra
eredità della disinformazia dei tempi realsocialisti?
«Io
vengo dal nulla», diceva Andy Warhol, interrogato sulle sue
origini.
E in effetti, anche se lui queste zone non le aveva mai
viste, non devono essere molto lontane dal concetto di nulla che può
avere un abitante di una grande città.
Medzilaborce ha
6.500 abitanti.
Ciò che salta agli occhi sono dei mucchi
neri di carbone che accolgono i pellegrini dellarte (non esiste
altro motivo per visitare la zona, anche se le carte turistiche
segnano qualche impianto di risalita sulle pendici dei Carpazi)
allingresso della città, molto poco ecologicamente
disposti vicino allalveo di un torrente.
Medzilaborce, pur
trovandosi ai piedi dei Carpazi, ha sempre vissuto di industrie, ci
sono ancora due grandi fabbriche, praticamente in centro: una davanti
e una dietro alla chiesa. Una ha un aspetto dimesso e decadente,
laltra è tutta tirata a lustro: sono stati i tedeschi
che lhanno rilevata per produrvi componenti di macchine tessili
che poi vengono assemblate vicino ad Amburgo. Da queste parti il
socialismo reale non sembra un relitto del passato: la gente vive in
grandi cubi di cemento un tempo bianchi, ora piuttosto sporchi e
scrostati.
I negozi danno lidea che la società dei
consumi non sia ancora arrivata in zona: la frutta e la verdura hanno
un aspetto poco invitante, i detersivi si vendono in una specie di
prefabbricato. Parcheggiate nei piazzali ci sono ancora le auto un
tempo orgoglio della produzione est europea: Wartburg, Lada e persino
molte bizzarre Trabant. I macinini lenti e puzzolenti che andavano a
miscela furono il primo simbolo comunista a essere letteralmente
gettato nella spazzatura in altre zone dellex Oltrecortina.
Qui, invece, le Trabi sono decisamente più numerose delle auto
occidentali, evidentemente appannaggio di una classe di nuovi ricchi
che non ha trovato nei Carpazi e dintorni traffici leciti e non che
abbiano potuto arricchire, come è accaduto altrove, la nuova
borghesia rampante dellex mondo comunista.
Il cognome
originario della famiglia era Varchola, piuttosto diffuso anche oggi,
tanto che nel villaggio da cui prima papà Andrej e poi mamma
Julia partirono per varcare lOceano, di Varchola ce ne sono
ancora parecchi. E tutti si spacciano per cugini di Andy. In America
il cognome suonava strano, fu inglesizzato in Warhola. Così si
firmano ancora il fratello di Andy, Paul, e suo figlio James; Andy,
invece, fece cadere anche la a finale.
La famiglia Varchola
proviene dal villaggio di Mikova, 178 abitanti, a pochi chilometri da
Medzilaborce, al di là del fiume. Il padre Andrej se ne andò
nel 1913 per evitare il servizio militare. Cera odore di guerra
nei Balcani, tanto per non smentire la tradizione. Meglio cambiar
aria, andare lontano, molto lontano. In America, dove, oltre che
stare ben alla larga dai conflitti europei, cera anche la
possibilità di trovare un buon lavoro. Magari nelle industrie
di Pittsburgh, dove già molti ruteni si erano trasferiti,
formavano una piccola colonia, avevano anche una chiesa tutta loro.
Lavora duro, papà Varchola. Passano lunghi anni prima che sua
moglie, Julia Zavackova, abbia la possibilità di raggiungerlo
in America. Mikova continuava a dibattersi in una devastante povertà.
Solo nel 1921 Julia si fa prestare da un prete i 180 dollari che
servono a comprare il biglietto che la porterà da Danzica al
di là dellOceano. Otto anni più tardi nascerà
Andrej, il più giovane dei tre figli, in precedenza erano nati
Paul e John. Papà Andrej morirà nel 1942, mamma Julia
nel 1972.
Oggi Mikova è un villaggio minuscolo, abitato
prevalentemente da anziani. La scuola è stata chiusa anni fa,
non cè nemmeno unosteria dover tracannare un po
di vino e annegare un po di tristezza. Il municipio è un
casolare bianco, un po più grande degli altri edifici,
con la bandiera slovacca esposta a una finestra. La strada si
arrampica in leggera pendenza lungo il fianco dellaltura. Da un
lato, il destro provenendo dal fondo valle, scorre un torrente.
Dallaltro lato si susseguono le case: quadrate, ampie, dipinte
di bianco, con gli infissi verdi o celesti. Qualche anziana guarda
incuriosita chi passa lungo la strada. La parola «Warhol»
risulta del tutto estranea. «Andrej Varchola» suscita
invece una reazione: «Hore», risponde lanziana.
«Hore» («sopra») ribatte unaltra.
Neanche Mikova fosse una metropoli con downtown e un quartiere sulle
colline. E allora non resta altro che andare «hore»,
seguire la strada, fare un paio di curve. Il torrente lascia il
paese, ora le case sono da entrambi i lati. Qualcuna è
abbandonata: le tegole di una pietra simile allardesia sono in
parte sparse sullerba. Gli intonaci mezzo scrostati lasciano
vedere il materiale con cui sono fatti: fango impastato con paglia.
La pioggia lo inzuppa e contribuisce a farlo cadere. Anche «hore»,
in ogni caso, la tracce di Warhol sono labili. Un anziano spiega che
la casa della famiglia Varchola si trovava lungo la strada che parte
dal bivio dove gira la corriera. La casa non cè più,
spazzata via dal tempo. Cè invece una fabbrica, ormai
chiusa, che si arrugginisce alle intemperie. Forse un tempo portava
un po di ricchezza in paese. Ora è solo un monumento
alla tristezza di un posto triste. «Io vengo dal nulla».
E il nulla si può riferire anche al popolo cui Andy Warhol
apparteneva: i ruteni. Piccola digressione. Chiunque abbia un po
di confidenza con la Cacania di musiliana memoria, sa che nelle terre
di Sua Maestà limperatore dAustria e re dUngheria
si parlavano 33 lingue, delle quali 9 avevano rango ufficiale. Tra
queste, il ruteno. Mentre gli altri otto popoli hanno prima o poi
ottenuto di vivere in uno Stato indipendente (qualcuno molto poi,
come gli slovacchi che hanno uno Stato proprio solo dal 1993), i
ruteni (o russini) uno Stato loro non lhanno mai avuto e, per
quanto sia possibile umanamente prevedere, mai lavranno.
Parlano una lingua parente stretta dellucraino, scrivono con
lalfabeto cirillico, hanno un rito religioso del tutto simile a
quello ortodosso, ma sono cattolici, in quanto riconoscono la
supremazia papale. Tra i piccoli popoli europei, insomma, quello
ruteno può iscriversi tra gli sfortunati. Lunico momento
di gloria i ruteni lebbero dopo la Prima guerra mondiale,
quando formarono un loro parlamento che si riuniva a Presov, in
Slovacchia. Ma, dopo la Seconda guerra mondiale, Stalin si pappò
un bel pezzo di Rutenia, inglobandola nellUcraina. Si tratta
dellarea che ha come capoluogo Uzgorod, chiamata ancor oggi dai
ruteni col suo nome ungherese: Munkacevo (la Rutenia faceva parte dei
territori asburgici amministrati da Budapest). I ruteni sono circa
250 mila, vivono nella regione subcarpatica, divisi tra Slovacchia,
Polonia e Ucraina.
Andy Warhol è lunico ruteno ad
aver raggiunto fama mondiale e qualcuno ritiene che i russini debbano
farne una specie di gloria nazionale. Ma il direttore del museo non è
daccordo. «Non è così popolare tra i
ruteni», osserva, «per molto tempo era un personaggio
ignoto. La gente di qui lo conosce più che altro attraverso la
madre Julia, attraverso i ricordi degli anziani che avevano
conosciuto la madre». Ormai, però, non ce ne sono più,
sarebbero troppo vecchi. «Preferisco rimanere un mistero»:
è unaltra affermazione di Warhol, datata 1967. Un
mistero come la presunta visita nei luoghi dorigine della sua
famiglia. Non cè nessuna prova che sia realmente
avvenuta, anzi Warhol aveva sempre negato di essere mai stato in quel
remoto angolo di mondo da cui erano partiti i suoi genitori. Ma in
paese giurano il contrario. Helena Bosnovickova, una paesana, afferma
che negli anni Sessanta un bel giorno arrivò nel villaggio un
personaggio scortato da unarmata di guardie del corpo: Andy in
persona che fece un rapido giro a Mikova per poi andare a Presov a
parlare con un docente universitario di storia dellarte. Helena
Bosnovickova sostiene che la madre di Andy, Julia, scrisse a sua
madre, Eva, per avvisarla della visita del figlio. Visita che durò
pochissimo perché Warhol non voleva attirare lattenzione
su di sé in un piccolo villaggio e perché era atterrito
dalla condizioni di vita durante il comunismo. Lunico ricordo
concreto lo avrebbe lasciato al professore universitario: un assegno
grazie al quale questi si sarebbe allargato la casa. Vero? Falso?
Chissà. Sicuramente un mito, in ogni caso. Così come un
mito è la storia dei quadri di Warhol buttati nel torrente
durante le pulizie di primavera. Lunica cosa certa è che
sembra impossibile che quel rigagnolo che scorre lungo la strada di
Mikova sia in grado di portarsi via addirittura dei quadri: o cera
una piena, o le tele devono essersi fermate tra i sassi per un bel
po. Certo è che la madre di Helena, Eva, andò a
New York a metà degli anni Sessanta a trovare la cugina Julia.
Esiste ancora la prova di quel viaggio: una carta dimbarco
dellAir India, esposta nel museo di Medzilaborce. Helena
racconta che sua madre tornò con vestiti, scarpe, quadri e un
orologio doro nascosto tra i capelli: tutti regali di Andy
Warhol a questi parenti che non aveva mai visto e che non avrebbe
probabilmente mai voluto vedere. Ma neanche i suoi lontani parenti di
Mikova avevano troppa comprensione per i suoi lavori: papà
Vasil non appena vide quei quadri si rifiutò categoricamente
di concedere loro lo spazio sui muri che invece doveva essere
riservato alle sacre icone. Il verdetto fu inappellabile: soffitta.
«Così» racconta Helena, «quei bei dipinti,
luminosi, pieni di animali e fiori, finirono nel solaio. Dopo alcuni
anni, durante le pulizie di primavera, mia madre disse che i quadri
prendevano troppo spazio e ci ordinò di aiutarla a buttarli
nel torrente. Se non lavessimo fatto, sarei miliardaria,
adesso». E una brutta fine fecero anche le scarpe multicolor,
sempre by Andy: «Tenemmo in casa», ricorda ancora Helena,
«solo le due valigie che contenevano i quadri, anchesse
dipinte da Andy. Mia madre ricavò una scarpa dalla sua
valigia. Era splendidamente decorata. Ma la gettò via perché
non sapeva che farsene di una scarpa sola». Andy continuò
a mandare scarpe ai suoi parenti di Mikova. Oggi varrebbero centinaia
di milioni. «Le usavamo per andare a lavorare nellorto»,
spiega Helena, «non avremmo mai potuto camminare per il paese
con delle scarpe così strane ai piedi». Helena ricorda
le lettere che sua madre scriveva da New York: «Andrej (Andy)
mangia sempre cibi dai barattoli. Ula (Julia) li scalda sopra cucine
che non hanno bisogno di legna. Non mangiano molto in America, ma
tutto quello che mangiano viene fuori da barattoli di metallo».
Più o meno dello stesso stile è la descrizione di
Warhol. «Andrej sembra che non veda mai il sole. Non sta mai
tranquillo: sta sempre telefonando o andando in giro con una scatola
piena di voci umane, sicuramente un lavoro di Satana». Eva e
Julia passavano la maggior parte del loro tempo pregando. «Ula
dice che Andrej», sono ancora le lettere di Helena a parlare,
«è troppo timido per pregare con me. Parla solo quando
Ula gli domanda qualcosa. Risponde sempre con una parola che sembra
come oku. Non capisco cosa vuol dire, ma per Ula va bene»
(«Ok», bandito dalla Cecoslovacchia e dallEst
comunista come unespressione capitalista, doveva suonare
piuttosto estraneo in un villaggio slovacco di neanche 200 persone).
Linfluenza di mamma Julia su Andy fu profonda. Nonostante la
sua fama di bohémien festaiolo, Warhol andava in chiesa tutti
i giorni, teneva con sé un messale e non beveva quasi mai. La
madre gli parlava in ruteno, ma Warhol rispondeva sempre in inglese.
Julia viveva a New York come se fosse a Mikova, per esempio non
chiudeva mai la porta di casa, abitudine che trasmise anche ad Andy e
che rese indubbiamente più facile allattrice Valerie
Solanas sparargli, nel 1968. Tutta la famiglia Varchola ruotava
attorno alla Ruska Dolina, ovvero il distretto ruteno di Pittsburgh,
dove cera la chiesa con le pareti ricoperte di icone. Qualcuno
sostiene che i ritratti multipli eseguiti da Warhol richiamino le
centinaia di icone addossate luna accanto allaltra delle
chiese rutene e ortodosse. E anche la tecnica di ritoccare le
fotografie avrebbe qualcosa di familiare: lo faceva mamma Julia con
le foto di Andy. Mamma Julia che era una sorta di artista-contadina.
Alcuni suoi pastelli naïf e alcuni suoi ritratti basati sul
ritocco fotografico sono esposti nel museo Andy Warhol. Indubbiamente
sono molto più vicini alla mentalità della gente di
Rutenia che non quelli del figlio. Perciò, forse, da queste
parti Julia è più celebre del figlio Andy, il cui
lavoro è «difficile da capire». Parola di Vlado
Varchola, poliziotto a Medzilaborce, uno dei tanti «cugini»
che non hanno mai abbandonato il nulla.
Sta
in:
http://www.diario.it/cnt/speciali/Diario5anni_51/MarzoMagno_p148.htm
|
MOTORI
DI RICERCA | UFFICIO
INFORMAZIONI | LA
POSTA | CHAT
| SMS
gratis | LINK
TO LINK!
|
LA CAPITANERIA DEL PORTO | Mailing
List | Forum | Newsletter | Il
libro degli ospiti | ARCHIVIO
| LA
POESIA DEL FARO|