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MUSICA

Arigliano tra swing e peperoncino

Per arrivare alla cascina di Nicola Arigliano, in Sabina, a ridosso del Tevere, potrebbero non bastare le sue (tutt'altro che puntuali) indicazioni. Ti viene perfino il dubbio che non voglia farti arrivare, così solo per vedere la faccia che fai, e da quando lasci la Flaminia è necessario fare il punto almeno due volte per non correre il rischio di tornare indietro. Poi si arriva e la veduta, da sola, merita il viaggio, anche se il burlone si nascondesse dietro qualche pianta o si facesse negare. Il rilievo del Soratte è visibile da qui in tutta la sua interezza e, tutt'intorno, colline e campagna a perdita d'occhio. Arigliano sta dando da mangiare a una gatta che immancabilmente, alla vista dello straniero, scappa. Per quanto grande la casa non è completamente abitata. Nicola si divide tra la camera da letto - dove pure lavora al piano, uno Steinway a coda che troneggia in mezzo alla stanza - e la cucina con un tavolo imbandito di cose, minuzie, i segni di una colazione elaborata appena consumata. Questo moderno Diogene (sulla testata del letto ha legato, in un angolo, una candela) oggi non cerca più nessuno; se tira un consuntivo si dice soddisfatto, e sereno lo sembra davvero. La sua pigrizia è proverbiale, ha il gusto della battuta e del calembour tanto caro a Marchesi (se telefoni a un'ora tarda risponde: "Chi dorme?") al quale si affida, come un guastatore, per interrompere continuamente la chiacchierata. Si muove lentamente e ha un passo felpato. Non dimostra di aver superato gli ottanta e mentre pensi che se ne stia qua su tranquillo, nel suo buen retiro, e la scena ti fa venire in mente l'immagine di un pensionato appagato, ecco che squilla il telefono e lo senti prendere accordi con l'interlocutore per una serata.

So che tendi all'eremitaggio. A Monte Sumino, vicino Piacenza, eri senza luce e senza telefono. Per arrivarci, dicono gli amici che venivano a trovarti, dovevi fornirgli una mappa. Anche qui, mica da ridere: dici che vivi a Magliano Sabina ma in verità sei nascosto in una frazione talmente piccola da essere chiamata "vocabolo". Hai scelto l'isolamento, dunque, che è l'opposto della vita che hai sempre fatto, lavorare con gli altri, in gruppo. Perché?

Per ricaricarmi. Per me è stressante vivere in un grosso centro e già l'ambiente dove lavoro è confusionario per definizione. Vivendo il più lontano possibile dalla "civiltà" io mi ossigeno.

Sei scappato di casa a 11 anni. Come andò?

La provincia mi stava stretta, ero precoce; al paese s'incontrava un sacco di gente che era stata a Milano, che favoleggiava di Milano. Mi ero rotto i coglioni di quella vita e già sapevo cosa volevo fare.

Ma i tuoi non ti hanno fermato?

Non ci sono riusciti.

E non hanno provato a rintracciarti?

Qualche carabiniere mi ha fermato sul treno e dissi subito che andavo a Milano per lavoro. Dimostravo di più dei miei 11 anni, andò bene.

Hai cominciato a esibirti alternandoti al sax, alla batteria, al contrabbasso. Una precocità incredibile!

Beh, andiamoci piano. Prima di cominciare a guadagnare è passato qualche anno. Ho conosciuto le persone giuste, mi sono inserito. Ho fatto gavetta e, per mantenermi, un sacco di lavori.

Mi risulta che i tuoi fratelli, insieme a te, ebbero un'educazione musicale.

No, ai miei fratelli non gliene fregava niente. Io fui l'unico; fu mia madre a insegnarmi tutto, aveva una formazione musicale notevole, era molto brava.

A 13 anni, da solo, te ne sei andato in America. Mi domando come sia stato possibile...

Con i soldi, e poi imbarcarsi su un bastimento non era così complicato. Voglio dire, non c'erano tutti i controlli che ci sono oggi.

Era l'America del gran Gatsby, di Al Capone, del jazz. Dovresti avere un mare di notizie, e di sensazioni, di un periodo così speciale. Me ne parli?

Fu un periodo davvero eccitante. Quella volta mi sono fermato sei, sette mesi: facevo la spola tra Boston e New York. Ero molto curioso e eccitatissimo. Poi, quando ti capita di vivere in un posto e ne prendi le abitudini e i ritmi l'incanto svanisce.

È vero che sei stato amico di Nat King Cole?

Amico è una parola grossa. L'ho frequentato sì, ma sempre con una sorta di timore reverenziale. L'ho incontrato poi nei viaggi successivi e penso mi stimasse perché inserì un mio brano (Permettete signorina, ndr) in un suo disco.

Il tuo modello: Frank Sinatra, Tony Bennett o Bing Crosby?

Nessuno!!! Ma quale The Voice... (sembra piccato, ma sappiamo per certo che Tony Bennett è stato un punto di riferimento, ndr).

Billie Holiday o Mabel Mercier?

Billie Holiday, senza dubbio.

On the sunny side of the street, che tu hai proposto parecchie volte, era una delle canzoni preferite da Cesare Pavese. Qual è la tua tra Only lonely, Everything i have is yours, That old black magic?

Ma, per me va bene anche 'A tazza e cafè... Only lonely comunque, anche se On the sunny side non è male, è "swingante".

È possibile dire che i soldi sono arrivati con I sing ammore?

Sì, senz'altro. Anche se la gente che m'ascoltava nei locali non aveva capito un... niente. Quando chiedevano il bis dicevano: "Ce la rifà Singapore?".

Venti km al giorno è rimasta negli annali. Com'è nata?

La canzone è di Pino Massara. Mi avevano chiesto, tramite lui, se avessi voluto partecipare a Sanremo. Non avevo problemi ma volevo andarci con una canzone di rottura, senza le rime false (cuore/amore) e le parole sdolcinate. Il pezzo, che poi ha avuto parecchio successo, era quello giusto. Parla di uno sfigato, pensa, che macina chilometri per andare da una che non glie la dà mai!

Sei rimasto deluso da come è stata trattata ufficialmente Colpevole all'ultimo Festival? Dico ufficialmente perché poi è stata premiata con il premio della critica Mia Martini.

Ma no, assolutamente. Io sono una persona serena. Non è stata ammessa? E chissenefrega! Che colpa ne ho io...

Hai scritto una canzone, a detta di chi l'ha ascoltata, molto bella: Mio figlio in piazza. Quali sono le parole?

Oddio, e chi si ricorda? Aspetta, aspetta che mi concentro... "Non mi domando mai se/mio figlio è in piazza/se crede in Dio o se ha una ragazza/gli ho solo comprato una moto/e guardato con ansia/i brufoli che stanno sparendo/sulla sua guancia..." e poi chi si ricorda più?

Mi incuriosisce questa cosa che la tua voce sia predisposta a lavorare sulla vocale "a": I sing ammore, Amorevole...

Me lo ha fatto notare Massara ma, sinceramente, mi sembra una coincidenza... (così dicendo sobbalza sulla sedia allarmato, ndr) chi è là?!... Ti sei messo paura, eh? (ride divertito con ghigno, è proprio il caso di dirlo, mefistofelico, ndr).

La tua esperienza con il Digestivo Antonetto e Armando Testa è durata la bellezza di 27 anni. Hai vissuto per molti versi una stagione "formativa" in cui la pubblicità muoveva i primi passi e non era "invasiva", vedi Carosello. Che ricordi hai di quegli anni?

Mi hanno affrancato, diciamo così, dal bisogno. Con i soldi della pubblicità vivevo egregiamente ma, soprattutto, potevo scegliere di fare le cose che mi piacevano di più.

Che ricordo hai di Armando Testa?

Lo ricordo come un uomo di un'intelligenza rara.

Due tue canzoni fanno parte della colonna sonora de I magliari di Rosi (Was it you e Incantevole). Furono scritte appositamente per il film?

Sì, ma non da me. L'autore era Piero Piccioni.

Hai vissuto una vita per il jazz, hai una conoscenza di questa musica sconfinata eppure sei l'opposto dello stereotipo del maudit, del maledetto. Ti alzi con le galline, una volta coltivavi pure l'orto, sei un uomo parco, essenziale...

...e le mie droghe sono l'aglio e il peperoncino (ride come un matto, ndr)...

Controcorrente in tutto! Hai lavorato, a Milano, alla Taverna Messicana e al Santa Tecla. Per un breve periodo alla Taverna Messicana avevi un pianista che si chiamava Enzo Jannacci. Perché ci hai litigato?

Perché gli ho lasciato il mio appartamento per un sacco di tempo e non m'ha mai dato una lira, il fetentone! Ma io sono buono, io perdono.

Da dove ti proviene questa affinità con le verdure? So che ogni tuo pasto è come un rito kabuki. L'aglio va scamiciato in un certo modo, le verdure tagliate per un certo verso, se vai al ristorante e ordini pastasciutta te la devono portare rigorosamente al dente e bianca, che poi ci pensi tu a condirla.

Dalla terra, dalle origini contadine, dall'attenzione quasi maniacale per l'alimentazione.

La tua vita privata è blindata come Fort Knox. Eppure è trapelato che, negli Stati uniti, una certa Jenny ti rubò il cuore. Solitamente, quando qualcuno ne accenna eviti, glissi; per caso oggi hai voglia di parlarne?

(Cominciando a cantare, ndr). E mostra i denti il pescecane/e si vede che li ha./Mackie Messer ha un coltello/ma vedere no, non lo fa./Han trovato Jenny sola/strangolata sul bidet,/che sia stato Mackie Messer/testimoni non ce n'è...

Intervista di Aldo Fegatelli Colonna – IL MANIFESTO – 21/07/2005

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