BRUNO ARPAIA

Il Secolo XIX – 17/06/2001

GLOBALIZZAZIONE A DUE FACCE

Adesso, finalmente sembra chiaro. La globalizzazione si risolve in un problema geometrico: sostenitori del cerchio contro difensori del quadrato. Una prova? Il cocomero cubico appena inventato (o copiato) dai soliti giapponesi: problemi di packaging, di imperiose Necessità del Mercato che hanno la meglio perfino sulle Leggi della Natura. Logico, dunque, che il cosiddetto popolo di Seattle si schieri compatto contro il “cubomero”, anche se a volte è machiavellicamente costretto a fare quadrato attorno ai propri principi.

Berlusconi, invece, che della globalizzazione è interprete e sostenitore, non ha dubbi nel prendere posizione: quadrato , e non si sgarra. Non ha appena dichiarato, Göteborg, che “bisogna far quadrare i bilanci pubblici”?

Forse si rivolgerà per un “aiutino” ai giapponesi, ma prima, globalizzazione oblige, ha tributato un doveroso omaggio alla lingua sovrana del mondo omologato, l'inglese. E invece di dire semplicemente “controlleremo i conti”, ha preferito assicurare che, insieme ai ministri competenti, farà una “due diligence”. Maestro del pensiero unico pubblicitario, Berlusconi sa bene che quell'espressione allude subliminalmente a Ombre rosse, a John Wayne sulla diligenza assalita dagli indiani (metropolitani? Comunisti?), che lui, però, almeno in Italia, ha già sconfitto.

Tutto risolto, dunque? Calma. Perfino nell'ordinato regno della geometria e dei numeri sono in agguato la complessità, l'indecidibilità, l'ambiguità. Il teorema di Godel è lì a dimostrarlo. Del resto, ormai, globalizzazione è poco più di una parola vuota, malata, indebolita nel suo significato come a suo tempo “postmodernità”, una parola-autobus su cui tutti salgono e scendono a piacimento, lungo un percorso che non si sa nemmeno dove porti.

Eppure quella parola che suona fessa come una campana rotta allude pur sempre a qualcosa che ci riguarda tutti da vicino, qualcosa che ci tocca come fosse un dito. Numeri, ancora numeri: nel 1960 un quinto della popolazione mondiale aveva redditi trenta volte maggiori di quelli del 20 per cento più povero, ma nel 1995 quel rapporto era già di 82a 1; stime recenti dell'O.N.U. mostrano che le 225 persone più ricche del pianeta possiedono un patrimonio equivalente al reddito annuo di due miliardi e mezzo di persone e che i 15 uomini più fortunati della Terra guadagnano più dell'insieme dei paesi dell'Africa subsahariana.

La globalizzazione, insomma, come ormai riconoscono tutti, ha due facce: produce qualche vantaggio, ma anche indicibili sofferenze e disuguaglianze. D'accordo, è un fatto, uno scenario obbligato nel quale muoversi. Ma se globalizzazione deve essere, allora proviamo a ragionare in maniera davvero planetaria, proviamo a pensare ai miliardi di persone, dall'Asia all'Africa, dall'America latina alle immense sacche di esclusione dentro il Primo Mondo, a cui tocca beccarsi solo gli svantaggi della mondializzazione, e zitti come tappeti.

Il popolo di Seattle parla a nome loro. Perciò, decidano pure, gli otto potenti di Göteborg o di Genova: sono stati eletti per questo, democraticamente, anche se le nostre sono ormai democrazie sempre più light e spesso ostaggio delle multinazionali. Ma non facciano quadrato nelle sedi dei loro vertici, non trasformino le città in poligoni di tiro per la polizia, non pensino che quei miliardi di uomini e di donne possano restarsene zitti e buoni ancora a lungo.

Viva il cerchio, allora. Dal canto suo, il popolo di Seattle, che ha mille ragioni da far valere, non si impegni semplicemente in una lotta cieca e violenta per delegittimare ogni riunione internazionale che Dio manda in terra, non si incaponisca in una sfida cieca a chi ha gli attributi più quadrati, perché altrimenti le sue mille buone ragioni verranno oscurate dal pensiero unico nella sua versione più squadrata e hard, quella incentrata su Ordine e Sicurezza. E ne pagheremmo tutti le conseguenze. Tutto quadrerà, allora. E il cerchio sarà ormai chiuso.

Bruno Arpaia – IL SECOLO XIX – 17/06/2001