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Bruno Arpaia

IL SECOLO XIX –
06/10/2001

Rieducarli in carcere

Stasera, se non ci saranno intoppi, se si concluderà l'incidente probatorio , Erica e Mar lasceranno il carcere e torneranno a casa. Tutto legale, tutto sul filo rigoroso del diritto. Tutto secondo procedura. Giusta così: le regole vanno sempre rispettate e non vale invocare scorciatoie nemmeno di fronte all'orrore di due ragazzini che, senza motivo, massacrano a coltellate una famiglia.

Eppure, mai come stavolta, si avverte uno stridio, un incepparsi degli ingranaggi che collegano il diritto alla società reale. I giudici che hanno emesso la sentenza non sono in discussione, semmai è la legge che, così com'è, annaspa, zoppica. Anche perché, invece, può provocare, come in questo caso, reazioni passionali e forcaiole.

Già lì vediamo, quelli che adesso, invece di una pena giusta, chiederanno a gran voce l'ergastolo, la morte, l'applicazione della legge islamica: per Erica, per Mar, per centinaia, migliaia di imputati. Non accadrà. Per fortuna, viviamo in un paese civile. Ma un paese civile deve saper ragionare con l'intelligenza, assicurarsi che non esista sproporzione tra un reato e la pena corrispondente, fare in modo che i cittadini continuano ad avere fiducia nella giustizia.

Per questo inquieta la sentenza su Erica e Omari. Saranno anche ragazzini, minorenni, ma il loro è un delitto da adulti, uno fra i terribili. Un delitto rappresentativo e sintomatico, che purtroppo non è nemmeno un caso isolato: ammazzare i propri familiari sta diventando un atto che racconta parecchio del malessere dei giovani, di un'allarmante assenza di limiti e di norme interiori, di un disprezzo per gli altri che non ci si può permettere di alimentare dando l'impressione che questi crimini possano godere di una qualche impunità. E' in gioco la nostra stessa coesione sociale, il senso intero delle nostre vite.

Ma non siamo solo noi, le vittime di questa sentenza. Perfino Erica e Mar ne pagheranno le conseguenze. Liberi, non rifletteranno mai sulla loro colpa, non se ne assumeranno mai la responsabilità e quindi non potranno mai iniziare un processo di recupero, non impareranno mai le regole del vivere sociale. Uno potrebbe dire: “Chi se ne importa di quei due assassini?”. Ma sbaglierebbe, perché Erica Mar ci riguardano, sono la spia di una società malata, sono la metafora viva, palpabile, di una corda tesa fino all'estremo, quella su cui camminino pericolosamente anche i nostri figli.

A casa o in comunità, i due diciassettenni di Noi Ligure resteranno giovani a vita, eterni Pere Pan come tanti altri ragazzi ai quali noi adulti abbiamo paura di rivolgere qualunque domanda, di fissare dei limiti, di chiedere conto delle loro azioni, di abituarli a pagarne il prezzo: per paura di disturbare, come dice nel suo ultimo romanzo Paola Mastrocola, “di interrompere il loro sonno chiamato giovinezza”.

Stasera, se non ci saranno intoppi, Erika e Omar torneranno a casa. “Ovviamente”, hanno dichiarato i loro avvocati, “avranno delle restrizioni, dovranno studiare, comportarsi bene e non uscire la sera”. Come se si fossero fumati una canna, come se avessero marinato la scuola. Suonerebbero ridicole, queste parole, se alle loro spalle non si agitasse, cupo, un incombente scenario di tragedie.

Bruno Arpaia – IL SECOLO XIX – 06/10/2001

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