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Bruno Arpaia
IL SECOLO XIX – 05/02/2002

Se non è troppo tardi

“A Nanni Moretti “gli sono girate le palle”, gli hanno dato la parola ed è sbottato. Punto.” Parole di Massimo Cacciari. E invece apriti cielo: risse, liti e titoli a sei colonne. Perché il blitz di Moretti sul palco di piazza del Popolo è il sussulto di un intellettuale quasi organico (una specie che non amiamo troppo), chiamato in qualche modo a fare da testimonial all'Ulivo, che invece su quel palco freme, si ribella e a caldo, di pancia, si mette a gridare che il re è nudo. E' come se nel bel mezzo dello spot di un detersivo, l'attore avesse detto a tradimento “Non compratelo”. Questo ci piace.

Solo Fassino, da vero piemontese, sembra aver retto botta: “Hai tolto il tappo ad uno stato d'animo che era compresso da tempo”, ha scritto al regista, invitandolo al dialogo. Ma sugli altri leader, sottoleader e viceleader del centrosinistra cali un pietoso silenzio. Hanno un bel dire che Moretti è stato superficiale, affrettato o inopportuno. In fondo, il poveretto ha parlato nemmeno due minuti. Si è sfigato, lui che ha potuto, a nome di milioni di italiani.

Un gesto poco politico? Ma proprio lì sta la sua forza. Perché probabilmente il popolo di sinistra è stufo anche di una politica che non ha confidenza con le passioni, con gli ideali, con i moti del cuore, oltre che con la vita quotidiana. Stufo di una politica ridotta a rito, ad amministrazione, che omologa e confonde, che rischia di trasferire tutti noi a Macondo. In quelle pagine dove García Márquez fa dire al colonnello Aureliano Buendía che “l'unica differenza attuale tra i liberali e i conservatori è che i liberali vanno alla messa delle cinque e i conservatori alla messa delle otto”.

Stretti nei loro loden, i benpensanti del centrosinistra invitano all'approfondimento, alla discussione, a comprendere fino infondo dove si è sbagliato, come, ahinoi, si recitava nelle assemblee degli anni Settanta. Ma l'unica cosa certa è che ci vorrebbe, ha scritto benissimo Maurizio Maggiani, “una svolta in nome di buone idee e buone cose da fare”.

Tutti d'accordo: però solo a parole. Senza l'intervento di Moretti (che pure è discutibile, come lo era stato quello su Bertinotti l'anno scorso) saremmo sicuramente andati avanti mesi a far finta di non essere ancora al funerale dell'Ulivo, che invece è morto da un bel pezzo, anche se nessuno vuol darne l'annuncio, come accadde con Breznev o con Francisco Franco.

Servirà a qualcosa, questo choc morettiano? Non è detto, ma almeno adesso si può tentare di correre ai ripari. Per carità: fuggiamo ogni tentazione di sparare contro il quartier generale e i professionisti della politica, di esaltare la base contro i vertici ignavi, perché spesso la base si è dimostrata molto peggiore dei suoi dirigenti. Semplicemente, senza demonizzare affatto Berlusconi e i suoi, si tratta di affermare che la sinistra è diversa dalla destra, di elaborare idee, merce rarissima, per costruire un altro mondo, almeno leggermente migliore di questo, meno miope, meno egoista, meno ingiusto.

Suona simile allo slogan di Porto Alegre? Pazienza. E' colpa anche della sinistra “moderata” se i problemi vari delle nostre società sono stati tralasciati per inseguire, anche in ritardo, un mercato e una modernità che già cominciavano a mostrare da tempo tutte le loro ferite, tutta la loro vecchiaia, tutte le loro ingiustizie.

Il dubbio, a questo punto, è che forse, Moretti o non Moretti, per la sinistra sia davvero troppo tardi. Forse non basteranno le due o le tre generazioni evocate su quel palco. Fortuna che D'Alema, lui resiste. Ha preso carta e penna e ha accusato il regista di provocare “un'ondata di radicalismo e moralismo qualunquista”. Ah sì, gliele ha cantate. E' stufo, stufo marcio. “Se continuano a insultarmi, passo all'opposizione”, gli hanno perfino sentito mormorare ai suoi più stretti collaboratori.

Bruno Arpaia – IL SECOLO XIX – 05/02/2002

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