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Bruno Arpaia
IL SECOLO XIX – 15/04/2002

Quei ragazzi allevati a squilli di telefonino



Capitolo primo. Martedì scorso, in cartoleria. Ho finito di pagare le ricariche per la mia stilografica e sto uscendo, quando sento una nonna chiedere alla nipotina di otto anni se la sua amica ce l'ha il cellulare. “Sì che ce l'ha, ma certo.”. Allora per il compleanno le regaliamo questa mascherina. Ti piace? Oppure questa con l'orso di peluche?. “Mi scusi”, mi intrometto, “ma sta parlando di una bambina di otto, nove anni con il telefonino?”. La nonna mi guarda un po' schifata, con su stampata in faccia una domanda quasi metafisica: chi è questo marziano, dove vive?

Il marziano di cui sopra sarei io. Non ho voluto farmi i fatti miei? Allora ben mi sta se la risposta è una scostante e saccente spiegazione sul fatto che ormai, il cellulare ce l'hanno proprio tutti: “Forse, alle elementari, proprio tutti no. Però alle medie...lei non ha figli,vero””.

Ce li ho, ce li ho. Uno di cinque anni, ma ce l'ho. Però, se confessassi, dovrei impantanarmi in una discussione su genitori e figli, su come girano le cose in questo mondo: male. Inutile, mi dico. Così mi arrendo, getto la spugna e butto là, guardandola contrito: “No, non ho figli”. Un attimo, è già mi son pentito. Mi indigno ancora, io. Con la mano sulla maniglia, prima di uscire mi giro e scandisco con un insopportabile tono moralista: “Lo sa che il 65 per cento degli abitanti del pianeta non ha mai, dico mai, fatto neppure una telefonata?”. Quindi borbotto: “arrivederci” ed esco, ancora più indignato.

Capitolo secondo. Venerdì scorso, sull'autobus, due ragazzine, quattordici anni scarsi, chiacchierano tra loro. “Ma tu capisci?”, dice stizzita quella più biondina, “la s...della prof me l'ha sequestrato. Appena due chiamate e me l'ha sequestrato”. “Ma no, non è possibile!”. “Ma sì. E meno male che la mattina dopo è venuta mia madre e gliene ha dette quattro, a quella s...Le ha detto che non si doveva più permettere, che sul telefonino c'era una scheda da 25 euro: e se la usava lei, la prof, per fare le sue telefonate? La s... ci è rimasta secca, con una faccia da cane bastonato”. “E ben gli sta”.

Dice “gli” sta, la meno bionda delle due: ma non è il caso di badare troppo alla grammatica. Arriva la fermata, scendono. Io resto là, attaccato alla maniglia. Indignato, ovviamente. Ma come? Una povera crista di insegnante, magari esasperata perché fra uno squillo e l'altro non riesce a far lezione, sequestra alla maleducata il cellulare e poi è pure s...?

Il grave è che ci si mette anche la madre, che invece di insegnare l'educazione al tenero frutto dei suoi lombi, striglia la “prof” e insinua pure che è una ladra.

C'è da indignarsi o no? Dite di no? Dite che, se proprio devo indignarmi, meglio farlo per Sharon e Arafat o per i bambini di strada del Brasile? Forse avete ragione. Però, per me, le cose non sono poi così distinte e separate. Se un battito d'ali di una farfalla in Amazzonia può provocare una tempesta in Cina, figurarsi cosa può succedere nel mondo se si rinuncia ad educare i propri figli, se ciascuno di noi pensa di non avere più altre regole che non siano il proprio tornaconto personale, i propri diritti slegati dai doveri.

Perciò mi indigno ancora. Dite che, alla mia età già sono un po' trombone? Che a 45 anni già sto invecchiando male? Può darsi. Però, come ha scritto Michele Serra, “si può diventare vecchi perché niente più ti indigna, e si può diventare vecchi perché ti indignano altre cose che non indignano più gli altri. Preferisco invecchiare nella seconda maniera”. Siamo in due.

Bruno Arpaia – IL SECOLO XIX – 15/04/2002

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