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Bruno Arpaia
IL SECOLO XIX – 25/04/2002

Sempre Resistenza ma senza retorica

Sembrerà strano, ma i partigiani veri, in carne e ossa, li ho visti per la prima volta solo un 25 aprile di tredici anni fa, in piazza della Loggia a Brescia. Dalle mie parti, al Sud, non è che s'incontrassero facilmente, quei pochi che si erano battuti nelle Quattro Giornate di Napoli. Perciò per noi, da ragazzini, la Resistenza era un evento impalpabile, quasi metafisico, di un passato che in fondo non ci riguardava, uno stanco e lontano richiamo all'antifascismo, grazie al quale, però, almeno per un giorno non si andava a scuola.

Insomma, era una Storia senza racconto, astratta e statica, che per di più ci veniva servita insopportabilmente condita di retorica, di rituali vuoti: era un luogo sperduto nel tempo, riempito di paroloni con la maiuscola, tanto altisonanti quanto privi di corpo, di passione.

Gli anni Settanta la rimisero in voga: stretti fra bombe, tentativi di golpe, violenza per le strade, sembrò per un momento che il richiamo alla Resistenza, all'unità contro il fascismo, fosse la sola possibile salvezza. Forse era vero, però, di nuovo, la lebbra della retorica ne consumò e sgretolò ogni significato.

“Ora e sempre Resistenza!”, si gridava nei cortei, ma poi, ogni volta che dovevo cantare Bella ciao, mi saliva alla gola una grattugia, mi si stringeva lo stomaco per l'imbarazzo di dover ripetere parole gonfie di un epos raccogliticcio, versi pomposi che mi sembravano fare a pugni con la mia vita vera.

E poi, diciamolo: anche se non potevo confessarlo a nessuno mica era bella la fine che avevano fatto fare a Mussolini. Tiranno, sì, ma appeso in quel modo per i piedi...

Era così che andava. Però. Qualche anno dopo, lessi Il sentiero dei nidi di ragno di Calvino, Il partigiano Johnny e Una questione privata di Fenoglio. Oh, meraviglia. Allora la Resistenza non era solo Antifascismo e Patria, non era solo Bella ciao e Sprezzo Del Pericolo? Grazie a quei libri, scoprivo che era la storia collettiva che si intrecciava con decine di migliaia di storie personali; era passione, dolore, scelte tragiche; era la fidanzate, i fidanzati, i figli, i genitori per cui si combatteva; era qualcosa che nasceva dentro, una voglia di libertà fatta di carne e ossa, di pensieri e azioni concretissimi; era la morte vista tante volte in faccia proprio perché si aveva un gran rispetto per la vita, perché solo così valeva la pena vivere. Allora sì, allora la Resistenza cominciò a riguardarmi, a toccarmi come se fosse un dito, a fare parte della mia stessa vita. Potenza della letteratura.

Poi, appena sbarcato al Nord, quel 25 aprile di tredici anni fa, in piazza della Loggia, a Brescia, dove nel 1974 una bomba fascista ancora impunita aveva ucciso otto persone, li vidi. Erano lì, sotto il sole tiepido di primavera, un centinaio di vecchietti in fila dietro lo striscione dell' Anpi. Erano lì senza in minimo accenno di retorica, per dire solamente “c'eravamo e ci siamo ancora”, per dare a tutti noi, con la loro semplice presenza, la sensazione di avere un passato alle spalle e, forse, anche un futuro davanti agli occhi. Posso confessare che mi commossi?

Magari, adesso, non c'è più il fascismo, ma il mondo che ci tocca di abitare non offre molti motivi di conforto. Perciò c'è più che mai bisogno di qualcosa che assomigli allo spirito di quella Resistenza, c'è bisogno di un soprassalto etico prima ancora che politico, c'è bisogno di ritrovare tutto intero il senso collettivo delle nostre vite immerse nel fiume della storia che, volenti o nolenti, ci trasporta nella sua corrente. Però senza retorica, vi prego. Senza le Belle ciao, pure stonate, alla televisione. “Ci siamo ancora”, punto. Nonostante tutto. Come quei vecchietti col fazzoletto al collo in piazza della Loggia, a Brescia, sotto un tiepido sole d'aprile di tredici anni fa.

Bruno Arpaia – IL SECOLO XIX – 25/04/2002

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