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Bruno Arpaia
LA REPUBBLICA – 08/05/2002

Il fantasma di Vadinho

Il 6 agosto 2001, quando si sparse per Bahía la notizia della morte di Jorge Amado, Caetano Veloso stava tenendo un concerto per festeggiare il proprio compleanno. All´improvviso, Caetano smise di cantare e, con le lacrime agli occhi, comunicò al pubblico che «era morta la personalità più importante di Bahía e del Brasile». Non esagerava. Con i suoi folti capelli canuti e il volto un po´ mulatto, Amado era arrivato a 89 anni portando sulle spalle con estrema semplicità e modestia un eccezionale successo costruito in settant´anni di scrittura, con ottanta milioni di copie vendute in tutto il mondo e traduzioni in cinquanta lingue. Di più: il suo universo letterario, innocente, colorato, voluttuoso, esuberante, fatto di donne sensuali, di ritmi esotici d´origine africana, di cibi speziati, di sincretismo religioso e ideologico, di candomblé e di elettricità nell´aria, di prostitute, vagabondi e delinquenti, era diventato quasi la cartolina del Brasile all´estero, marcando definitivamente il nostro immaginario.
Amado aveva pubblicato il primo libro, O país do Carnaval, nel 1931, a 19 anni. A quel romanzo ne erano seguiti altri a forte coloritura sociale, prima sulla vita urbana di Bahía e poi, nel cosiddetto Ciclo del Cacao, sulle tematiche rurali e delle occupazioni di terre nel Nordest. Per uno scrittore «impegnato» come lui, erano i tempi del realismo socialista, della stretta corrispondenza fra letteratura e militanza: nel 1946 era stato deputato del partito comunista, ma aveva anche conosciuto l´esilio, la persecuzione, la prigione. Sostiene Mario Vargas Llosa che i romanzi di quel periodo sono invecchiati, che scontano il predominio dell´ideologia sull´estetica, ma che, a salvarli dalla trappola della propaganda, fu l´elemento «intuitivo, istintivo e vitale che alla fine sconfiggeva quello ideologico e distruggeva ogni schema razionale».
Con Gabriella, garofano e cannella, del 1958, fu proprio quell´elemento vitale a prendere il sopravvento e a diventare sempre più intenso in Dona Flor e i suoi due mariti, Tieta d´Agreste o Teresa Batista stanca di guerra. «Jorge Amado aveva cominciato a scrivere da adolescente come uno scrittore maturo, quasi un vecchio», scrive ancora Vargas Llosa, «e poi, da vecchio, con quelle storie deliziose, aveva cominciato a ringiovanire come una specie di Dorian Gray». Pochi anni dopo l´uscita dal partito comunista, senza rinunciare all´impegno, Amado aveva infatti cominciato a utilizzare lo humour e il sorriso per denunciare povertà e ingiustizie, per restituire al mondo il succo della sua Bahía meticcia e mistica, fatta di méscola di razze, di balli sensuali e di intensi riti religiosi, per creare una galleria di indimenticabili eroine che sfoggiavano coraggio, vitalità e saggezza. Donna Flor è una di loro, forse la più riuscita, stretta fra la fedeltà al secondo marito e il ricordo del primo, Vadinho, giocatore e bon vivant, morto poco dopo il matrimonio. Vadinho, però, è un morto strano, un morto che ritorna tra i vivi, che la visita, la corteggia, le elargisce consigli, la insegue con la forza del proprio desiderio, al quale, alla fine, Dona Flor cederà, perché «se un marito è buono, due è meglio», perché l´amore supera la morte. Quasi perfetto da un punto di vista architettonico, scandito con ritmo incalzante, intessuto di una sapiente ricchezza verbale e di uno humour travolgente, Dona Flor e i suoi due mariti, portato poi sugli schermi cinematografici con Sonia Braga come protagonista, è un romanzo pieno di sofferenze, inganni, menzogne, che tuttavia non riescono a sconfiggere il desiderio e l´allegria di vivere.
Negli anni successivi a Dona Flor, qualche critico accusò lo scrittore di essere caduto in un localismo troppo folcloristico, in un realismo populista troppo vicino al feuilleton e alla telenovela. Forse fu per questo che Amado non vinse mai il Nobel. Ma lui non se ne ebbe mai a male, sentendosi, anzi, orgoglioso di aver restituito sulla pagina l´epica popolare e popolaresca della sua Bahía, di avere in fondo seguito i consigli di Tolstoj a un giovane scrittore: «Racconta il tuo villaggio e sarai universale». Bahía fu il suo grande villaggio, lirico e prepotente, sofferente e gioioso. Merito di Amado se è diventato, in fondo, anche il nostro.

Bruno Arpaia – 08/05/2002

Su Jorge Amado

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