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Il fantasma di Vadinho |
Il 6 agosto 2001,
quando si sparse per Bahía la notizia della morte di Jorge
Amado, Caetano Veloso stava tenendo un concerto per festeggiare il
proprio compleanno. All´improvviso, Caetano smise di cantare e,
con le lacrime agli occhi, comunicò al pubblico che «era
morta la personalità più importante di Bahía e
del Brasile». Non esagerava. Con i suoi folti capelli canuti e
il volto un po´ mulatto, Amado era arrivato a 89 anni portando
sulle spalle con estrema semplicità e modestia un eccezionale
successo costruito in settant´anni di scrittura, con ottanta
milioni di copie vendute in tutto il mondo e traduzioni in cinquanta
lingue. Di più: il suo universo letterario, innocente,
colorato, voluttuoso, esuberante, fatto di donne sensuali, di ritmi
esotici d´origine africana, di cibi speziati, di sincretismo
religioso e ideologico, di candomblé e di elettricità
nell´aria, di prostitute, vagabondi e delinquenti, era
diventato quasi la cartolina del Brasile all´estero, marcando
definitivamente il nostro immaginario.
Amado aveva pubblicato il
primo libro, O país do Carnaval, nel 1931, a 19 anni. A quel
romanzo ne erano seguiti altri a forte coloritura sociale, prima
sulla vita urbana di Bahía e poi, nel cosiddetto Ciclo del
Cacao, sulle tematiche rurali e delle occupazioni di terre nel
Nordest. Per uno scrittore «impegnato» come lui, erano i
tempi del realismo socialista, della stretta corrispondenza fra
letteratura e militanza: nel 1946 era stato deputato del partito
comunista, ma aveva anche conosciuto l´esilio, la persecuzione,
la prigione. Sostiene Mario Vargas Llosa che i romanzi di quel
periodo sono invecchiati, che scontano il predominio dell´ideologia
sull´estetica, ma che, a salvarli dalla trappola della
propaganda, fu l´elemento «intuitivo, istintivo e vitale
che alla fine sconfiggeva quello ideologico e distruggeva ogni schema
razionale».
Con Gabriella, garofano e cannella, del 1958, fu
proprio quell´elemento vitale a prendere il sopravvento e a
diventare sempre più intenso in Dona Flor e i suoi due mariti,
Tieta d´Agreste o Teresa Batista stanca di guerra. «Jorge
Amado aveva cominciato a scrivere da adolescente come uno scrittore
maturo, quasi un vecchio», scrive ancora Vargas Llosa, «e
poi, da vecchio, con quelle storie deliziose, aveva cominciato a
ringiovanire come una specie di Dorian Gray». Pochi anni dopo
l´uscita dal partito comunista, senza rinunciare all´impegno,
Amado aveva infatti cominciato a utilizzare lo humour e il sorriso
per denunciare povertà e ingiustizie, per restituire al mondo
il succo della sua Bahía meticcia e mistica, fatta di méscola
di razze, di balli sensuali e di intensi riti religiosi, per creare
una galleria di indimenticabili eroine che sfoggiavano coraggio,
vitalità e saggezza. Donna Flor è una di loro, forse la
più riuscita, stretta fra la fedeltà al secondo marito
e il ricordo del primo, Vadinho, giocatore e bon vivant, morto poco
dopo il matrimonio. Vadinho, però, è un morto strano,
un morto che ritorna tra i vivi, che la visita, la corteggia, le
elargisce consigli, la insegue con la forza del proprio desiderio, al
quale, alla fine, Dona Flor cederà, perché «se un
marito è buono, due è meglio», perché
l´amore supera la morte. Quasi perfetto da un punto di vista
architettonico, scandito con ritmo incalzante, intessuto di una
sapiente ricchezza verbale e di uno humour travolgente, Dona Flor e i
suoi due mariti, portato poi sugli schermi cinematografici con Sonia
Braga come protagonista, è un romanzo pieno di sofferenze,
inganni, menzogne, che tuttavia non riescono a sconfiggere il
desiderio e l´allegria di vivere.
Negli anni successivi a
Dona Flor, qualche critico accusò lo scrittore di essere
caduto in un localismo troppo folcloristico, in un realismo populista
troppo vicino al feuilleton e alla telenovela. Forse fu per questo
che Amado non vinse mai il Nobel. Ma lui non se ne ebbe mai a male,
sentendosi, anzi, orgoglioso di aver restituito sulla pagina l´epica
popolare e popolaresca della sua Bahía, di avere in fondo
seguito i consigli di Tolstoj a un giovane scrittore: «Racconta
il tuo villaggio e sarai universale». Bahía fu il suo
grande villaggio, lirico e prepotente, sofferente e gioioso. Merito
di Amado se è diventato, in fondo, anche il nostro.
Bruno Arpaia 08/05/2002
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