|
BIBLIOTECA
| |
EDICOLA | |
TEATRO | | CINEMA
| | IL
MUSEO | | Il
BAR DI MOE | | LA
CASA DELLA MUSICA |
|
LA CASA DELLE TERRE LONTANE |
| LA
STANZA DELLE MANIFESTAZIONI | | | NOSTRI
LUOGHI | | ARSENALE
| |
L'OSTERIA | | LA
GATTERIA | |
IL PORTO DEI RAGAZZI |
Il caso spagnolo |
Egunon, zer moduz zaudete?. Enzo ha sei anni ed è in piedi su una sedia. Sotto la parrucca di riccioli platinati, brillano una faccia da scignizzo napoletano, tutta suo padre, Davide, e gli occhi chiari e le lentiggini della madre, Lola. Dieci minuti fa, Enzo ci ha lasciati in salotto ed è andato a travestirsi. Si è cosparso il viso di cerone, si è truccato gli occhi, il naso e la bocca, ha infilato il costume e le enormi scarpe: adesso è l'impeccabile clown Takolo che recita per noi in piedi su una sedia. Egunon, zer moduz zaudete?, ripete. A scuola di Enzo si parla solo euskera, basco, e a lui, evidentemenre, quella strana lingua piace perché il suo pagliaccio non sa esprimersi né in spagnolo né in italiano. Che ha detto? chiedo a Davide, e lui, scuotendo sconsolato la testa, mi risponde: Non lo so. E' ormai da molto tempo che Davide vive in un paesino alle porte di Vitiria, la capitale amministrativa dei Paesi baschi. Vent'anni fa o giù di lì partecipava a spettacoli di poesia a Napoli, fondava piccole riviste, riempiva i muri del Vomero di scritte situazioniste. Poi, durante un viaggio a Barcellona, l'incontro con Lola e la decisione di trasferirsi in Spagna.
Ma suo figlio l'ha chiamato Enzo, come il nonno napoletano, anche se è nato lì, nel cuore di Euskadi. Egunon, zer moduz zaudete? Nirekin kantatu nahiduzue? Insiste Enzo dalla sua sedia. Che dice adesso?, chiedo. Stavolta mi rivolgo speranzoso a Lola. E' basca. Lei, basca da generazioni, una di quelle a cui Sabino Arana, il folkloristico fondatore del nazionalismo euskaldn alla fine dell'Ottocento, il simil-Bossi locale, avrebbe dovuto assegnare una patente di purezza razziale. Eppure Lola non parla euskera, come l'ottanta per cento dei suoi concittadini. Lo sta studiando, sì, perché lavora in un ufficio pubblico e se lo imparerà in fretta verrà licenziata. Mi pare, mormora Lola, che abbia detto: Buongiorno, come state? Volete cantare con me?.
Un bambino che si chiama Enzo, ma parla una lingua che in casa sua nessuno capisce, e una donna basca che, per comunicare con suo figlio e lavorare nella propria terra, deve studiare e lavorare nella propria terra, deve studiare una lingua ostica che non è la sua. Ma la famiglia di Enzo, Davide e Lola incarna solo uno dei tanti paradossi della España plural, di uno Stato che ormai, a venticinque anni dalla fine del franchismo, fatica a tenere a bada le tensioni nazionalistiche, le spinte centrifughe, i nuovi e aggressivi centralismi. Regionali: a dispetto del cosiddetto miracolo Aznar, dei titoli di giornale che proclamano la Soagna la nazione più trendy d'Europa. Lì la mitica devolution è già avvenuta, e i risultati non sembrano incoraggianti. A noi, impegnati ad accapigliarci su una parodia di federalismo, basterebbe guardare appena oltre i Pirenei per rabbrividire alla visione del nostro possibile futuro.
Dopo il 1975, infatti, la nuova Spagna, quasi per espiare un complesso di colpa dovuto alle persecuzioni franchiste contro baschi e catalani, concesse alle varie regioni dei generosissimi Statuti di autonomia al cui confronto, come afferma lo storico Juan Pablo Fussi, il tanto rimpianto regime forale basco si limitava a sporadiche assemblee dei villaggi. Eppure, un quarto di secolo dopo, a molti sembra che sul quel federalismo comincino a gravare ombre sempre più inquietanti. Invece di procedere verso la convivenza e l'armonizzazione nel rispetto delle diverse culture e nazioni spagnole, si sta andando allo scontro. Gli attriti fra i vari settori della società civile si fanno sempre più aspri, e il fossato fra chi sente di appartenere all'una o all'altra comunità diventa più profondo ogni giorno che passa, scatenando localismi, appartenenze rimosse, intolleranze sopite, e perfino una certa quota di razzismo interno.
Non è solo il terrorismo dell'Eta a scavare quel fossato, a costringere a schierarsi da una parte o dall'altra. Anzi, è sul terreno culturale che i conflitti sono più evidenti, più quotidiani. E non soltanto nei Paesi Baschi. In Catalogna, la regione che il ministro Bossi tanto invidia, la situazione non è molto migliore. Basta chiedere notizie alla professoressa Josefina Albert, dell'università Rovira i Virgili di Terragona, messa sotto inchiesta un paio di anni fa solo per aver consentito a uno studente di sostenere l'esame di ammissione in castigliano. O ai distributori cinematografici Ley de catalàn avrebbe voluto costringere a far doppiare in catalano non solo i film stranieri, ma perfino quelli girati in castigliano. Secondo le stesse statistiche del governo di Barcellona, son l'un per cento degli alunni dell'asilo e delle elementari ha potuto ricevere lezioni in castigliano, la lingua materna del 47 per cento dei cittadini catalani. E' logico, dunque, che le tensioni crescano, che il muro invisibile edificato fra i cittadini di diversa origine diventi sempre più alto.
Crediamo, ha scritto il filosofo basco Fernando Savater, nel diritto di chiunque di educare e vivere in euskera, ma riteniamo che trasformarlo in una priorità culturale ha condotto a sprechi di denaro e a imposizioni colleriche. Questione non secondaria, qualla dello spreco di denaro pubblico e della moltiplicazione dei centri di spesa. Forse anche noi, prima di approvare qualunque devolution, dovremmo fermarci a considerarla in tutte le sue implicazioni. Miliardi e miliardi di euro per ottenere una rivalutazione del Porta e di Basile o l'insuperbimento a lingue di dialetti parlati in qualche valle sperduta del Trentino o del Molise? Juan Ramón Lodares, professore di Filologia dell'Università autonoma di Madrid, ha fatto notare che in Spagna i libri di testo costano il trenta o quaranta per cento in più che nel resto d'Europa, perché gli editori devono stampare tante edizioni quante sono le lingue o i programmi di studio delle diverse Comunità autonome. E' questo che vuole il nostro Senatur? Ma i paradossi spagnoli non finiscono qui. Nel 1965 le reti televisive locali, spesso di pessima qualità, sono costate al contribuente il doppio della Bbc. Alcune università hanno bisogno di fondi straordinari per far tradurre le tesi presentate in castigliano, tesi che poi resteranno abbandonate negli scantinati: come le altre, solo che saranno costate il doppio. Certo, almeno per ora, noi avremo pur sempre una sola lingua, ma il libro di testo di mio nipote a Napoli sarà diverso da quello che usarà mio figlio, napoletano che vive a Milano. Lo pagheremo di più e magari insegnerà oerfino, come nelle scuole basche, le ikastolas, la superiorità dei celti sui terroni. Miracoli della devolution.
Bai, goazen, ridacchia Enzo dalla sua sedia. Stavolta Lola mi guarda smarrita, poi si alza, va verso la libreria e comincia a sfogliare nervosamente il dizionario.
Bruno Arpaia IL SECOLO XIX 04/12/2002
|
MOTORI
DI RICERCA | UFFICIO
INFORMAZIONI | LA
POSTA | CHAT
| SMS
gratis | LINK
TO LINK!
|
LA CAPITANERIA DEL PORTO | Mailing
List | Forum | Newsletter | Il
libro degli ospiti | ARCHIVIO
| LA
POESIA DEL FARO|