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Bruno Arpaia

Il no vaticano ai preti omosex

Tremila pagine piene di bambini molestati e tormentati da pastori d'anime che avrebbero dovuto guidarli e proteggerli, di novizie stuprate in nome della Fede, di materiale pornografico in giro per le sagrestie, di linee di cocaina dietro l'altare maggiore, di fedeli sequestrate e violentate, di vescovi e cardinali impegnati più a coprire lo scandalo che a prevenire e a reprimere.

La Chiesa cattolica statunitense esce a pezzi dall'atto d'accusa al processo di Boston contro il “reverendo” Paul Shanley e il cardinale Law, che raccoglie le testimonianze di quasi cinquecento vittime. In quelle tremila pagine si racconta l'orrore puro accaduto negli ultimi anni a Boston, ma situazioni simili sono venute alla luce a Chicago, a Milwaukee, a New York, a Miami, e hanno già portato a processi e condanne. Del resto, ognuno di noi ha qualche amico o conoscente che ricorda strane attenzioni in oratorio o losche manovre in sagrestia. Sono fatti gravissimi. Viviamo già preda di troppe paure per aggiungervi anche quella di affidare nostro figlio a un sacerdote.

Che la Chiesa sia, dunque, preoccupata, è logico e doveroso. Peccato che il modo in cui la Santa Sede tenta di combattere la piaga dei preti pedofili sia il meno adeguato.

“L'ordinazione al diaconato o al presbiterato di uomini omosessuali o con tendenza omosessuale”, si legge infatti in una nota pubblicata sull'ultimo numero del bollettino della Congregazione per il culto divino, “è assolutamente sconsigliabile e imprudente e, dal punto di vista pastorale, molto rischiosa.

Una persona omosessuale o con tendenza omosessuale non è, pertanto, idonea a ricevere il sacramento dell'Ordine sacro.

Non è ancora un divieto esplicito, ma ci siamo molto vicini. “Preti omosessuali? No, grazie”, dice il Vaticano. Dimenticando prima di tutto la logica e il buon senso. Se infatti ai sacerdoti è richiesto il voto di castità, che importanza ha se sono omosessuali o eterosessuali? Ma c'è di più: se quella nota della Congregazione per il culto divino nasce dalla volontà di combattere la pedofilia in sagrestia, allora la Chiesa mostra, come al solito, di avere le idee piuttosto confuse sul sesso, di non distinguere tra pedofilia e omosessualità. Una confusione grave, gravissima, che non aiuta nessuno e scatena una nuova caccia alle streghe. Finirà che nessun seminarista dichiarerà le proprie preferenze sessuali e tutto andrà avanti come prima. Cioè male. In quella nota vaticana, insomma, si legge tutta l'incapacità di risolvere il problema, tutta la ristrettezza e la comprensione sessuale di certi ambienti clericali.

Sarà anche nello spirito dei nuovi tempi che corrono, questo ritorno al passato, ma l'unico risultato che può ottenere è quello di indicare un capro espiatorio ai fedeli raggelati dagli di Boston. Dagli all'untore, insomma. Fortuna che, anche dal segno della Chiesa, non tutti sono d'accordo. Negli stessi Stati Uniti, organizzazioni di gay cattolici, come la “Dignity”, si battono per impedire qualsiasi identificazione tra omosessualità e pedofilia e qualsiasi discriminazione contro i sacerdoti gay.

Del resto, stime attendibili rivelano che gli omosessuali, repressi o dichiarati, rappresentano almeno il 30 per cento del clero. “Come la mettiamo con la crisi delle vocazioni?”, verrebbe da scherzare. Purtroppo, però, c'è poco da ridere. La situazione è grave. Ci piacerebbe che la Chiesa intervenisse con risolutezza, collaborando con la giustizia e sospendendo cardinali, vescovi e parroci che hanno peccato o tentato di nascondere le magagne sotto il tappeto. Ci piacerebbe che, invece, di cercare di impedire ai gay di diventare preti, riflettesse seriamente sul voto di castità a cui condanna i sacerdoti. Forse una minore repressione sessuale sarebbe d'aiuto, come, a contrario, dimostra la minore gravità del problema tra il clero non cattolico, dove ai sacerdoti e avere relazioni.

Infine, se proprio la gerarchia vaticana non se la sentisse di infrangere il tabù dell'astinenza dei preti, allora ci piacerebbe che quanto meno si impegnasse, come ha sottolineato Alessio De Giorgi, direttore del principale portale gay italiano, “a educarli a vivere serenamente e positivamente il voto di castità che hanno pronunciato”.

Bruno Arpaia – IL SECOLO XIX – 06/12/2002

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