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Parole sante, anzi quasi da Papa |
Magari,
adesso, i più malevoli la butteranno in politica, diranno che
Berlusconi attacca addirittura il Papa. Del resto, non sono passate
nemmeno 48 ore da quando il Vaticano ha annunciato che i pensieri del
Santo Padre saranno disponibili via sms, e cosa ti combina il nostro
presidente del Consiglio? Inaugurando una mostra filatelica a
Montecitorio, aggirandosi tra un Gronchi rosa e un Cavallino bianco
da mille lire, invita i giovani a liberarsi dalla dittatura del
telefonino. Poi, non contento, ruba perfino lessico e argomenti
all'inquilino della Santa Sede. Fate come i vostri padri,
esorta ecumenico, amatevi di più e scrivetevi di più.
Se avessero ragione quei malevoli, sarebbe roba da provocare un
incidente diplomatico con il Vaticano.
Altri, magari i più prevenuti, diranno che è un po' strano che proprio lui, il Cavaliere dell'Innovazione tecnologica, inciti a ritornare alle fatiche di carta, inchiostro e penna e a rinunciare alle meraviglie del progresso.
Qualcuno, poi, magari un comunista, tirerà in ballo il conflitto di interessi, dirà che il presidente non può fare contemporaneamente anche il Papa e nemmeno buttare là battute sulla Telecom. Altri ancora, magari i più economisti, sosterranno che è contraddittorio spandere ottimismo a piene mani per sostenere gli acquisti e poi delegittimare un settore trainante come l'elettronica di consumo.
Noi, che non siamo né malevoli, né prevenuti, né comunisti, né, dio ci scampi, economisti, per una volta pensiamo che quelle del presidente del Consiglio siano parole sante. Talmente sante che anche il Papa potrebbe e dovrebbe sottoscriverle. Parole nate dalla sua innegabile capacità di tastare il ventre molle del paese, di captarne gli umori più profondi. Berlusconi sa, sente, che una larga maggioranza silenziosa non ne può più dei cellulari. Intuisce che c'è un ceto medio, riflessivo e non, che non li considera più status symbol e che si è scocciato di doverne regalare tre o quattro ogni Natale. Che ne ha piene le tasche, come direbbe l'onorevole Fassino, delle bollette dei ragazzini da pagare.
Per questo ha straragione. Quanto ad amarsi e a scrivere, altro affare. Perché amare e scrivere, sia pure solo una lettera, sono gesti e atteggiamenti accomunati dal fatto che presuppongono fatica, rispetto, comprensione. Costringono a fermarsi, a riflettere, a pensare. A rifiutare la tirannia dell'urgenza, dell'attimino fuggente, dell'istante che distrugge ogni idea di futuro. Insegnano a non bruciare inutilmente il tempo, a portarlo dalla nostra parte, piegandolo alla vita, che di solito batte lenta, come un diesel. A ragionare i propri sentimenti, a coltivarli, a migliorarli. A sperare.
Ora, in tutta onestà, vi sembra facile? Bisognerebbe, tutti, fermarsi e tornare un poco indietro, istituire una moratoria sul progresso, come, in un suo bel libro, chiedeva Guido Viale. Io ci starei. Ma Berlusconi? Dubito. Può scrivermi, se vuole.
Bruno Arpaia IL SECOLO XIX 17/01/2003
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