| BIBLIOTECA | | EDICOLA | | TEATRO | | CINEMA | | IL MUSEO | | Il BAR DI MOE | | LA CASA DELLA MUSICA | | LA CASA DELLE TERRE LONTANE |
|
LA STANZA DELLE MANIFESTAZIONI | | | NOSTRI LUOGHI | | ARSENALE | | L'OSTERIA | | LA GATTERIA |
| IL PORTO DEI RAGAZZI |


altri articoli di Arpaia

Bruno Arpaia

Serve un'idea forte

Una nazione in cui il dodici per cento delle famiglie vive sotto la soglia della povertà, mentre il dieci per cento degli abitanti detiene quasi la metà della ricchezza complessiva del Paese. Una nazione in cui “all'aumento del benessere economico non ha fatto riscontro una più equa distribuzione della ricchezza”, e dove “chi ha si sente sempre meno solidale con chi non ha”.

Una nazione in cui il rischio di povertà lambisce le stesse classi medie. No, no, continuate a leggere, per favore: non stiamo parlando del Burkina Faso, della Costa d'Avorio o dell'Argentina, ma di noi, di quest'Italia che l'ultimo rapporto dell'Eurispes descrive impietosamente alla luce crudele delle cifre.

Ci era appena passato il malessere da “pile scariche” del rapporto Censis, e già ci ritroviamo a specchiarci in un'immagine di noi stessi che corrisponde più ai nostri incubi notturni e alle nostre paure profonde che a quello che amiamo raccontarci di giorno, quando la realtà assume tratti più fraterni, quasi consolanti. Ma è la globalizzazione, bellezza. Siamo semplicemente inseriti in un trend mondiale, dal quale, volenti o nolenti, non possiamo separarci. Per questo l'Argentina non è poi tanto lontano.

Del resto, se il quadro offerto dall'economia induce al pessimismo, non è che la società e la politica italiane offrano molti appigli per rassicurarsi. Anzi, la situazione è talmente preoccupante che il presidente dell'Eurispes, Gian Maria Fara, ha avvertito la necessità di chiosare i suoi stessi dati mettendo in guardia dal “manicheismo che caratterizza” il fare politica nel nostro Paese”. “Assistiamo”, scrive Fara, “a un progressivo svilimento del ruolo del Parlamento, la dialettica politica si riduce a polemica sterile, mentre i due schieramenti sembrano aver imboccato la deriva populista. La sensazione è che si vadano consolidando due nuove subculture della democrazia: quella della piazza e quella dei sondaggi”.

Tuttavia, ciò che maggiormente preoccupa il presidente dell'Eurispes è il fatto che l'Italia politica “non riesce più a nascondere con le zuffe e le grida l'incapacità di elaborare un progetto per guidare il Paese, con una classe dirigente che non riesce a superare la visione del “particulare”, che non ha strumenti per interpretare la complessità sociale, che non riesce a esprimere un progetto, che non ha una meta da indicare, un'idea di Paese”.

Niente di più disastroso di una classe dirigente che non sa dirigere, che bada ai propri interessi e non ai bisogni dei cittadini, miope e priva di di nerbo morale. Niente di più tragico di “una politica senza partiti e di partiti senza politica”. Eppure, di fronte a questa diagnosi impietosa, so già che verranno erette barricate. Diranno che si tratta del solito piagnisteo imbastito da intellettuali annoiati e insoddisfatti; il governo sciorinerà, come sempre, le sue cifre per sostenere che tutto va bene madama la marchesa, mentre l'opposizione si tirerà fuori dalla mischia, come se queste accuse non la riguardassero. Ma sarà inutile. Stavolta lo sappiamo tutti che siamo messi veramente male. Le cifre dell'Eurispes non fanno che confermare la nostra percezione diffusa, il senso di svuotamento, di perdita, di rabbia, di impotenza, che ci trasciniamo dietro come una catena.

Con le debite differenze, si ha l'impressione di rivivere i tempi che precedettero Tangentopoli. Allora sapevamo tutti che l'Italia andava avanti a bustarelle, vivevamo quella realtà ogni giorno, ma la consideravamo perversamente normale. Poi qualche giudice ce l'ha sbattuta sotto il naso e il bubbone è esploso. Oggi intuiamo distintamente che la nostra classe politica è “arrivata al capolinea”, che stiamo scivolando verso una deriva pericolosissima, resa ancora più tragica dalla situazione internazionale, eppure siamo lì a mordere il freno, a sopportare, a lasciare che le cose seguano stancamente il loro corso. Fino a quando? E come scoppierà il bubbone, che conseguenze avrà quell'esplosione? Ci farà superare la crisi o ci precipiterà di nuovo in qualche torbida tagliola della Storia? Impossibile dirlo.

L'Eurispes conta molto sulle risorse del Paese reale, che descrive “vivace, ricco d'ingegno e dotato di enormi potenzialità”, come una “Maserati tenuta in garage”, o come “un cavallo prima della corsa del Palio, con il mossiere che non si decide a dare il via per la partenza”. Spero che sia davvero così, ma temo che si tratti soltanto di un'immagine consolatoria, di un wishful thinking, una pia illusione che ci permette di non inorridire troppo quando ci guardiamo allo specchio.

Oggi come nel 1992, l'Italia ha la classe dirigente che si merita, la società civile non è né migliore né peggiore della società politica che riesce a produrre. Colpa nostra, dunque. Allora come adesso. Sarà invece merito nostro se un'idea forte di Paese riuscirà ad affermarsi, se si elaborerà un nuovo progetto di società più equa, meno ingiusta e più solidale. Solo così si eviterà la catastrofe, solo così eviteremo da farci maciullare dalle trappole della Storia. Perciò, se la nostra immagine allo specchio ci fa orrore, non bisogna restare paralizzati da quella visione. Come diceva Francis Scott Fitzgerald, “si dovrebbe poter comprendere che le cose sono senza speranza e tuttavia essere decisi a cambiarle”. Adesso, prima che sia tardi, prima dell'esplosione.

Bruno Arpaia – IL SECOLO XIX – 01/02/2003

| MOTORI DI RICERCA | UFFICIO INFORMAZIONI | LA POSTA | CHAT | SMS gratis | LINK TO LINK!
| LA CAPITANERIA DEL PORTO | Mailing List | Forum | Newsletter | Il libro degli ospiti | ARCHIVIO | LA POESIA DEL FARO|