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Bruno Arpaia

San Valentino è un alibi. Meglio amarsi tutto l'anno



Ma cos'è, chi l'ha inventata questa festa degli innamorati? Chi ha deciso che il 14 febbraio debba essere dedicato ai colpiti dalla freccia di Cupido? Chi ha fatto in modo che ogni inverno che Dio manda in terra le strade delle nostre città debbano essere percorse da ansiose e vocianti processioni, da torme di ragazzini che sciamano di negozio in negozio alla ricerca di un regalo che lasci il partner senza fiato, o assesti il colpo finale di un lungo corteggiamento e faccia finalmente crollare le mura di Gerico della persona amata? Non è che, come nel caso di Babbo Natale, alla fine si scopre che c'entra la Coca-Cola? Rassicuratevi. Pare di no, stavolta. Già gli antichi credevano che il suddetto giorno fosse quello in cui gli uccelli sceglievano il compagno per l'accoppiamento. E lui, San Valentino? Fu un martire cristiano, vissuto nel terzo secolo e mandato a morte dall'imperatore Claudio il Gotico. Raccontano che, rinchiuso nella sua cella, utilizzò le ultime forze per scrivere un messaggio d'amore alla bella figlia del suo carceriere. Messaggio castigatissimo, s'intende. Tant'è che furono i puritani inglesi, in piena età vittoriana, a mettere insieme le due cose: voilà, era nato la festa degli innamorati. I quali, in quel giorno, presero a scambiarsi valentines, biglietti in cui dichiaravano il proprio amore, cartoline sentimentali e un po' kitsch in cui il bacio la faceva da padrone. Certo, erano tempi in cui l'Aids era ancora ignoto, e il bacio raffigurato sulle cartoline serviva semplicemente a rapprendere sulla carta, come una fiamma ghiacciata, le tumultuose passioni che un'epoca oltremodo prude confinava ai margini della visibilità sociale. Insomma, almeno all'inizio, San Valentino non era una festa consumistica.

Ma oggi, che spettacolo: cuori di cioccolata e di pizza, di carta e di raso rosso, d'oro e d'argento, palpitano a comando dalle vetrine. E poi mutande, videoregistratori, orsetti di peluche, annunci sui giornali. Tutto fa brodo pur di regalare. Volendo, e potendoselo permettere, una compagnia canadese offre a soli 93750 euro, la possibilità di regalare al proprio partner perfino l'ebbrezza di sorvolare l'oceano in un aereo attrezzato come un nido d'amore, “in un contesto lussuoso e decisamente originale”, “coccolati e viziati dal personale di cabina”.

Mah. Per spiegare tutto questo, sarà il caso di scomodare l'antropologo Marcel Mauss e il suo Saggio sul dono? O Jean Baudrillard che parla di “scambio simbolico”, ma a tutt'altri livelli e in ben più pregnanti contesti? No, no: siamo fuori strada. Non si rintraccia nulla di utilizzabile nemmeno nell'opera omnia del vate massimo dell' “innamoramentoeamore”, l'Alberoni Francesco. E allora? Torna utile, come sempre, il mai troppo rimpianto Roland Barthes, sul quale è in corso una bellissima mostra al Centre Pompidou di Parigi: “Il regalo amoroso”, scriveva Barthes, “viene cercato scelto e comperato in uno stato di grande eccitazione: un'eccitazione tale che essa sembra appartenere alla sfera del godimento...Il regalo d'amore è solenne....Io mi traspongo tutto intero in esso. Attraverso questo oggetto io ti do il mio Tutto: è per questo che corro da un negozio all'altro, che mi ostino a cercare il feticcio che vada bene, il feticcio splendente, riuscito, che si adatterà perfettamente al tuo desiderio”. Eppure, nonostante tutto, il tour de force del dono sembra in calo. Lo confermano perfino i commercianti, sempre pronti, comunque, alle lamentazioni. Il fatto è che oggi solo i giovanissimi rispondono ai richiami di San Valentino; solo la “stupidità” di chi ha meno di vent'anni (parola di Francesco Guccini) è ancora capace di questa Totalità, di consegnare tutto se stesso a un oggetto e, attraverso di esso, alla persona amata. Vaglielo a dire al teenager che, nonostante il ritorno della coppia, il cuore è sdolcinato e non fa fine; e che non è scientifico: via, lo sanno tutti, ormai, che le passioni dipendono da strane mescolanze chimiche che folgorano i neuroni. Niente, è tutto inutile. I sedicenni continuano ad ammassarsi nelle bigiotterie, a spintonarsi nelle cartolerie, a consigliarsi l'un l'altro in un vociare fitto fitto: “Questa va bene? E se poi si offende?”. “Ma no, che sabato non ti ha mollato un attimo”. Stretto tra Carnevale, la giornata della donna, la Pasqua, la festa della mamma e quella del papà, San Valentino perde qualche colpo. Cosa si può pretendere? Così, nelle vetrine, spesso l'amore si confonde con gli ultimi residui dei saldi di gennaio. Del resto, una festa così esibita, codificata, sbandierata ai quattro venti, può essere davvero la festa dell'amore? Chi l'ha inventata credeva che fosse tutto facile. Ma non aveva pensato agli amori finiti che continuano a tormentare uno dei due ex partner (si può imporre un regalo di San Valentino a chi non lo vuole?), non aveva pensato al playboy o agli harem musulmani, né agli amori segreti e clandestini che verrebbero fragorosamente svelati. Non aveva tenuto presente nemmeno la folta genia di quelli che temono qualunque manifestazione dell'amore. Tommaso Landolfi docet: “L'affetto altrui, anche inattivo, anche lontano, perfin supposto, è forse la cosa che più mi dà noia in questo mondo dove ogni cosa mi dà noia; ci sento soprattutto, e non so quanto insanamente, una limitazione della mia libertà”. La verità è che San Valentino va bene per la coppia certa e monogamica, senza sbavature. Singles, indecisi, saturnini, latin lovers, idealisti, seguace dei precetti francescani, deboli di cuore, separati in casa, si astengano. Se proprio non possono farne a meno, mandino un San Valentino al proprio indirizzo: perché non volersi bene, una volta l'anno?

Bruno Arpaia – IL SECOLO XIX – 10/02/2003



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