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Bruno Arpaia

Michael e Ralf, nostri eroi al gran premio del cinismo

Un dubbio, un sussulto fulmineo di rimorso deve averli sfiorati in punta di piedi. Tanto che Ralf, il sabato, ha detto sottovoce ai giornalisti: “In momenti come questo ti chiedi se è giusto correre”. Poi, la madre di Michael e Ralf Schumacher è morta in un ospedale di Colonia. Poi, Michael ha vinto il Gran Premio di San Marino e Ralf è arrivato quarto. Alla fine, i due fratelli devono aver deciso che, nonostante tutto, era giusto salire sulle loro monoposto e non rovinare lo show. E voi?

Nei loro panni, cosa avreste fatto? Avreste impugnato il volante dopo aver visto vostra madre in coma in un letto d'ospedale, infilzata dagli aghi delle flebo, seguita passo passo da rilevatori cardiaci nel suo difficile e misterioso sentiero verso il nulla? Avreste potuto badare ai pit stop e alle chicanes dopo aver ricevuto la notizia di essere rimasti orfani? Michael e Ralf l'hanno fatto, forse accompagnati perfino dalla gioia dei loro tifosi e dei loro team. E sono, incredibilmente, diventati degli eroi.

Onore agli indomiti fratelli, intonavano i telegiornali l'altro ieri. Michael e Ralf, sì, che sono veri uomini. Come se il nòcciolo profondo dell'umanità risiedesse nel mettere a tacere i sentimenti, nel fare come nulla fosse di fronte alla perdita dell'essere più amato, nel piegarsi in ogni circostanza alle esigenze dei media, dei soldi, del lavoro.

Non nego che i fratelli Schumacher abbiamo sofferto, ma è certo che quella sofferenza, attutita dall'attenzione morbosa di mezzo mondo, è stata travolta da un malinteso senso del dovere. Perciò è qui, in questa “piccola storia ignobile”, che si può leggere a lettere di fuoco il carattere e il destino delle nostre società. La morte? Meglio non vederla, rimuoverla, cancellarla, anche quando è quella di chi ci ha dato la vita. I valori supremi che devono ispirare i nostri passi? Il cinismo, l'efficienza, la velocità, la “performatività”. Adattatevi a questi imperativi e sarete trasformati in eroi, come i fratelli Schumacher. Eroi guerrieri che, però, diversamente da quelli antichi, non sfidano la morte perché la temono e la rispettano, bensì perché non le riconoscono importanza, perché la sfuggono, la evitano, credono di truffarla. Infatti le guerre che le nostre società sono in grado di combattere sono solo guerre vigliacche, dove si sa già in anticipo chi vincerà.

Michael e Ralf Schumacher, insomma, sono tutti noi, ormai incapaci di dare al tempo il suo giusto tempo, di vivere a pieno proprio perché sappiamo che non potremo farlo in eterno, di immaginare noi stessi solo in relazione con gli altri, di ascoltare con la stessa intensità le voci di dentro e quelle di chi ci circonda. La nostra è una società disperata, che finge disperatamente di essere ancor viva e vegeta. La nostra è una società al tramonto. Non per nulla ci chiamiamo l'Occidente. Ecco, l'ho detto; anche se è inutile, anche se non serve. Adesso mi reinfilo il casco, metto la prima e ricomincio a correre.

Bruno Arpaia – IL SECOLO XIX – 22/04/2003

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