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Più spigole, meno libri |
Evviva. Come sono a la page gli italiani, quanto sono moderni nei costumi. Secondo una recente ricerca della Confcommercio, infatti, siamo diventati molto più accorti e salutisti nell'alimentazione, perciò mangiamo meno grassi e molto più pesce. Amiamo avere una bella casa, tanto che la spesa per l'abitazione è cresciuta del 23,7 per cento in cinque anni. Per di più, dopo esserci svenati per il mutuo, siamo disposti a parecchi sacrifici per una lampada antica o una poltrona firmata. Il 6,4 per cento della nostra spesa mensile, infatti, è dedicato all'arredamento. Così, visto che usciamo molto meno di prima e andiamo raramente al cinema o al ristorante, facciamo bella figura quando abbiamo ospiti.
Nulla da dire, per carità. Il pesce fa benissimo, e nelle nostre case, con un ristretto gruppo di amici, ricreiamo una dimensione collettiva, un senso di comunità, di appartenenza, di condivisione, che fuori, nel vasto mondo guidato dalla mitologia del successo e della competizione, ci viene ostinatamente negato. E tuttavia, visto che ci sono meno soldi da spendere, che siamo ormai sul bordo della recessione, a qualcosa abbiamo pur dovuto rinunciare per portare una spigola in più sulla nostra tavola, per avere la biancheria di lino in bagno o per farci il pane in casa con l'ultimo modello di impastatrice.
Ça va sans dire: abbiamo tagliato brutalmente su tempo libero e cultura. Meno cinema, meno teatro, meno corsi di formazione, meno libri. Un crollo del venti per cento in cinque anni. Partendo, per di più, da una delle ultime posizioni in Europa rispetto ai consumi culturali. Peggio di così. Per dirla con il linguaggio accademico burocratico della ricerca della Confcommercio, è probabile che il pgogressivo deterioramento della situazione economica nel quinquennio abbia indotto le famiglie a tagliare queste spese, ritenute meno produttive in un'ottica di congiunturale. Sarà proprio così. La congiuntura è la congiuntura, chi la mette in dubbio? Ma se proviamo soltanto per un attimo a disgiungerci, a pensare in un'ottica meno condizionata dall'immediatezza, non possiamo fare a meno di chiederci in che razza di società viviamo e quale futuro ci aspetta. Se fossi un moralista, mi verrebbe in mente la favola della cicala e della formica. Adesso ci abbuffiamo di orate al sale e rinunciamo ai libri, ma quando quest'inverno che bussa già alle porte arriverà davvero, quando per produrre qualcosa e per essere competitivi avremo bisogno di idee innovative, di conoscenza, di creatività, di ricerca scientifica, a chi ci rivolgeremo? Meglio un'aragosta oggi che un'esperienza a vita fornita da un libro, da un bel film, da un'opera teatrale, da un corso di formazione? Però moralista, io, non sono. Dunque non parlerò di cicale goderecce e di previdenti formichine. Non mi associerò al professor Domenico De Masi quando afferma che l'Italia che esce da questa ricerca è un'Italia un po' stupida. Dirò solo che, anche se mi piace molto il pesce e, come tutti, amo vivere in una bella casa, rinuncerei volentieri a un piatto di spaghetti all'astice o a un set di lenzuola di seta se, in alternativa, mi offrissero un bel libro, uno di quelli, e ce ne sono tanti, capaci di cambiarli almeno un po' la vita. Non lo farei per amore della Cultura con la C maiuscola. Di quella, me ne frego. Lo farei perché amo vivere, vivere intensamente. Leggere, sostiene Javier Cercas, significa vivere di più, perché fa in qualche modo vivere tutte quelle vite che non si ha la possibilità o il tempo di vivere. Un'ultima annotazione. Da piccolo, per farmi mangiare un po' di pesce, mia madre mi ripeteva che era pieno di fosforo, che faceva bene al cervello, che mi avrebbe fatto diventare più intelligente. Oggi, in questa congiuntura, sembrerebbe quasi che essere più o meno intelligente non importi a nessuno. E allora, in questa congiuntura, con tutto il pesce che mangiamo, a che ci servirà tutto questo fosforo?
Bruno Arpaia IL SECOLO XIX 12/08/2003
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