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Bruno Arpaia

Cartellino giallo ai campioni di muso lungo

Avrà pure i suoi problemi, Bobo Vieri, chi lo nega? Però ci pensi bene, ci rifletta: forse non è il caso di sfoggiare sempre quell'espressione ingrugnita, di lasciarsi andare a quei gesti di rabbia, di rimanere lì rigido come l'assistente di un lanciatore di coltelli perfino quando segna un gol. Primo: c'è chi sta peggio di lui, e sono, glielo assicuriamo, in tanti. Secomdo, ma non ultimo: metti che il suo musone porta sfiga? Sarà una coincidenza, ma l'altroieri, con la Juve, Vieri non giocava. Risultato: tre a uno per l'Inter nella partita più difficile del campionato, tra le capriole di Martins e gli aeroplanini di Cruz.

Gente sana, questi extracomunitari: solari, estroversi, capaci ancora di sorridere alla vita, di provare le emozioni giuste al momento giusto.

Non è questione di scaramanzia, di credere alla buona o alla cattiva sorte. Però al destino sì. Di questa nozione folgorante, le nostre società illuministiche, opulente e ciniche avvertono crudelmente l'assenza. Crediamo di essercene liberati per sempre, e invece sotto sotto lo invochiamo a ogni piè sospinto, perché sarebbe ancora più terribile immaginare di essere abbandonati all'assoluta arbitrarietà del Caso in questa vita. Il destino, è vero, a volte può essere terribile, ma in fondo, oscuramente, sappiamo che dipende da noi, dal modo in cui ce lo costruiamo o lo evochiamo.

Carattere e destino, scriveva Walter Benjamin, lungi dall'essere separati, finiscono per coincidere. E Benjamin sapeva bene di cosa parlava. Il grande saggista tedesco, infatti, fu uno dei più incalliti musoni del Novecento, uno con una vita tanto incrostata di tristezza che non andava via neanche a grattare. Roba che Bobo Vieri oggi ci fa la figura del dilettante. E la sfortuna, puntuale, lo inseguì dappertutto, dalla Germania nazista a Parigi, da Lourdes a Marsiglia, fino a un sordido alberghetto sul confine franco-spagnolo in cui morì suicida il 26 settembre del 1940, cercando di sfuggire ai nazisti e all'appuntamento con il suo destino.

Insomma, tanto inutile sfoggio di storia e di filosofia soltanto per esprimere un concetto che la saggezza popolare ha già racchiuso da sempre nel proverbio “Cuor contento, Dio l'aiuta”. La sfiga, infatti, è già sempre dietro l'angolo, subdola, a ogni passo dalle nostre vite. Perciò è sbagliato lasciarle la porta aperta, attirarla con atteggiamenti invitanti. Perché se vede uno spiraglio, lei, la sfiga, ci si tuffa a pesce. La tristezza, in fondo, è un privilegio della gioventù, che le persone adulte non dovrebbero concedersi. Per questo, abbasso i musi lunghi, gli ingrugniti, quelli che coltivano il culto della tristezza come una missione.

E lei, signor Bobo Vieri, anche se non siamo interisti, ce lo farà un favore? Fedele come nelle tragedie greche al suo fortunato destino, le leverà le braccia al cielo la prossima volta che segnerà un bel gol?

Bruno Arpaia – IL SECOLO XIX – 01/12/2003

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