| BIBLIOTECA | | EDICOLA | | TEATRO | | CINEMA | | IL MUSEO | | Il BAR DI MOE | | LA CASA DELLA MUSICA | | LA CASA DELLE TERRE LONTANE |
|
LA STANZA DELLE MANIFESTAZIONI | | | NOSTRI LUOGHI | | ARSENALE | | L'OSTERIA | |
LA GATTERIA |
| IL PORTO DEI RAGAZZI |


altri articoli di Arpaia

Bruno Arpaia

Uomini e bestie

Tra gli uomini e le bestie, si sa, c'è differenza. Se il Padreterno o chi ne fa le veci li avesse voluti uguali uguali, noi avremmo quattro zampe o loro due. Perciò normalmente diffido di chi vuol troppo bene agli animali: spesso è un egoista, incapace di amare abbastanza i propri simili. E tuttavia l'eccesso opposto mi sembra ancora più riprovevole. Prendete ciò che è capitato ad Annalisa De Bei, guardia zoofila dell'Ente protezione animali di Borgotaro, in provincia di Parma. Lo scorso agosto se ne andava bel bella in macchina dalle sue parti, quando sul ciglio della strada ha visto un cane ferito. L'ha caricato su e, alla folle velocità di 72 chilometri all'ora, l'ha portato dal veterinario più vicino.

Il cane, per fortuna, si è salvato, ma se fossero passati ancora pochi minuti sarebbe morto, perché soffriva di una gravissima emorragia interna. Happy end? Fino a un certo punto. Qualche mese dopo, Annalisa si è vista recapitare a casa una bella foto. Sì, proprio quella: lo scatto dell'Autovelox, accompagnato da una multa per eccesso di velocità e da due punti in meno sulla patente. Che fa, allora, l'intrepida guardia zoofila? Semplice: ricorre in Prefettura, accludendo al ricorso un certificato del veterinario, perché l'articolo 54 del codice penale prevede la non punibilità di chi commette un'infrazione “per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo di un danno grave alla persona”. Dopo tutto, Annalisa ha salvato una vita. Da cane, ma pur sempre una vita. E invece no. Quella vita da cane non conta. Ieri il ricorso di Annalisa De Bei è stato respinto perché, secondo la Prefettura, l'articolo del codice parla di “persona”, e quindi lo stato di necessità si può applicare solo agli esseri umani e non agli animali. Dice: commenta la notizia. E cosa scrivo? Mentre ci penso, guardo il mio labrador, stravaccato nella sua cuccia, che mi fissa con gli occhi acquosi e scodinzola felice del mio sguardo. Non so se abbia o meno un'anima, se sia o no una "persona", se a lui si può applicare quel concetto così complesso che, dal significato latino di "maschera", è passato nei testi di San Tommaso e degli altri Padri della Chiesa a rappresentare l'essenza più profonda dell'uomo e della sua tensione verso la divinità. So solo che gli voglio bene, io, al mio cane. So che se fosse davvero in pericolo andrei perfino a centoventi all'ora, sperando di salvarlo. So che però non mi piacerebbe affatto veder sfrecciare per le nostre città decine di vecchiette preoccupatissime per l'unghia incarnita del loro gatto, convinte di poter poi invocare lo “stato di necessità”. So che la legge è legge, e va sempre rispettata, ma che un po' di buon senso non guasterebbe, in questo come in tanti altri casi. So che tra uomini e animali c'è una differenza. Ma a volte, in giorni come questi, uno ne dubita.


Bruno Arpaia – IL SECOLO XIX – 26/02/2004



| MOTORI DI RICERCA | UFFICIO INFORMAZIONI | LA POSTA | CHAT | SMS gratis | LINK TO LINK!
| LA CAPITANERIA DEL PORTO | Mailing List | Forum | Newsletter | Il libro degli ospiti | ARCHIVIO | LA POESIA DEL FARO|