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Il conto delle bugie |
Secondo gli exit polls e ormai a metà dello scrutinio, le elezioni spagnole hanno dato a sorpresa la maggioranza relativa ai socialisti di Zapatero.
Perfino nei sondaggi a loro più favorevoli, Aznar, Rajoy e il partito popolare perdono sei punti percentuali rispetto a quattro anni fa, restando comunque lontanissimi dalla maggioranza assoluta. Certo, non era mai accaduto che una nazione europea andasse alle urne dopo un massacro, con il fiato del terrore sul collo.
Ma non è stato il terrore a sconfiggere Aznar. Non è stata la paura cieca del terrorismo a far volgere a favore dei socialisti una tornata elettorale che i popolari sembravano dover dominare. Gli spagnoli hanno votato in massa, con uno straordinario incremento del tasso di partecipazione. Hanno votato sull'onda dell'emozione, ma lo hanno fatto con serenità, con compostezza. E con indignazione. Hanno votato, infatti, contro un governo accusato di aver manipolato per meschini fini elettoralistici le informazioni sugli autori dell'attentato. Un'accusa che, visti i comprensibili momenti di confusione e di incertezza seguiti alla strage, avrebbe potuto essere facilmente archiviata o rivolta contro chi la formulava. Ma gli spagnoli, di fronte ai patetici tentativi di addossare interamente all'Eta la responsabilità delle bombe alla stazione di Atocha, devono avere improvvisamente ricordato che, quanto a menzogne, Aznar è recidivo. Aveva mentito, infatti, sulla Prestige, la petroliera affondata nel 2002 al largo della Galizia, quando per settimane aveva nascosto al mondo i veri danni dell'incidente e gli errori compiuti dal governo per arginarli. Insieme a Bush e Blair, Aznar aveva poi mentito sulle armi di distruzione di massa di Saddam, dichiarando anche lui la guerra all'Iraq nella famosa riunione tripartita delle Azzorre. Quando ci ha riprovato ancora, alla terza bugia, gli spagnoli gli hanno presentato il conto. Sono stati molti dei suoi stessi elettori a voltargli le spalle, ma la sua sconfitta si deve soprattutto ai milioni di astensionisti di sinistra che, in un'ora drammatica per il paese, hanno deciso di ritornare alle urne, preferendo i socialisti di Zapatero, considerati un male minore rispetto ai popolari. Qualche giorno fa, avevamo scritto che tutta l'Europa si sarebbe recata ai seggi insieme agli spagnoli. È sempre più chiaro, adesso, che da Madrid a Bilbao, da Barcellona a Gijón, da Siviglia a Valencia, gli spagnoli hanno espresso il loro parere sul modo di combattere e di affrontare il terrorismo interno e internazionale. Hanno votato contro la linea dura, la linea della forza, quella incarnata da Bush, Blair, Putin e, appunto, José María Aznar. Una linea che, molto spesso, in nome della lotta al fondamentalismo islamico, è stata quasi costretta a cercare il consenso edificando un fragile castello di bugie. Ieri, invece, impedendo a Mariano Rajoy di diventare presidente del governo, gli spagnoli hanno detto a chiare lettere che in democrazia tutto è concesso, fuorché la menzogna; hanno sostenuto che la linea della "forza bruta" non paga, che alla lunga provoca più danni di quanti ne eviti e che è ora di far parlare le armi della politica e non la politica delle armi. Il loro voto è un invito pressante all'Europa perché finalmente elabori e articoli concretamente una linea di condotta alternativa a quella di Bush, Blair e Aznar. Probabilmente, se i risultati definitivi confermeranno le prime indicazioni, adesso toccherà a José Luis Rodríguez Zapatero raccogliere questa sfida, a cui, per la verità, non sempre la sinistra spagnola ed europea appare preparata. Il segretario del Psoe dovrà trovare un accordo con i partiti nazionalisti e con Izquierda unida, considerati dai sondaggi stabili o in lieve calo. Non sarà facilissimo. Ma ancora più difficile sarà portare a Bruxelles lo spirito di questa Spagna. Eppure, nei volti, nelle passioni, nella dignità, nella compostezza, nella solidarietà e nell'indignazione dei suoi compatrioti è già scolpito il profilo dell'Europa che vorremmo.
Bruno Arpaia IL SECOLO XIX 15/03/2004
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