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Bruno Arpaia

Lo scatto di dignità della “vecchia” Spagna

Forse il mondo non è più abituato agli uomini politici che mantengono le promesse elettorali e che onorano la parola data. Magari per questo fa tanta impressione la scelta del nuovo primo ministro spagnolo di ritirare appena possibile le sue truppe dal pantano iracheno. Una decisione ampiamente annunciata e prevedibile, accelerata soltanto dai risultati dei numerosi colloqui che José Bono, il neoministro della Difesa di Madrid ha avuto di recente a Washington.

Quando è apparso chiaro che mai o poi mai gli stati Uniti avrebbero ceduto il comando militare della coalizione e che l'ingresso dell'Onu a Baghdad diventava sempre più difficile, il governo spagnolo ha semplicemente tratto le conclusioni logiche dell'intera vicenda: inutile mettere ulteriormente a repentaglio la sicurezza dei militari in Iraq, mentre poteva essere più produttivo inchiodare alle proprie responsabilità tutti i protagonisti in campo.

I critici, in Spagna e all'estero, adesso accusano Zapatero di fuggire di fronte al ricatto del terrorismo, di dar ragione a Bin Laden, di rompere il fronte occidentale o di mettere altri bastoni fra le ruote dell'Unione Europea. Accuse da valutare attentamente. Ma c'è modo e modo di accusare. Mentre perfino la Casa Bianca ha, almeno ufficialmente, manifestato “rispetto” per la decisione spagnola, sottolineando che essa non incrinerà la “stretta cooperazione con la Spagna nella lotta contro il terrorismo”, alcuni ministri ed esponenti della maggioranza italiani si sono come al solito distinti nel disprezzo delle regole del diritto internazionale e della buona educazione.

Tacciare come “folle” il primo ministro di un Paese alleato non porta molto lontano. Soprattutto perché la scelta di Zapatero, invece di ritardare e ostacolare l'integrazione europea, potrebbe funzionare da catalizzatore per arrivare finalmente a processi unitari non più rimandabili.

Una lezione di coerenza politica e di determinazione etica, deve aver pensato José Luis Rodriguez Zapatero, potrebbe dare una salutare scossa all'Europa, restituendola a un ruolo sullo scacchiere mondiale che l'amministrazione Bush sembra volerle negare. Altro che “Spagnetta” impavida, come ha scritto qualche editorialista nostrano. Una Spagna hidalguesca, nobile.

Del resto, le radici recenti di questa nuova determinazione di Madrid vanno forse ricercate nell'indignazione, comune alla destra e alla sinistra, con cui, tempo fa, dalle Asturie all'Andalusia, furono accolte le parole di Donald Rumsfeld sulla nuova e sulla vecchia Europa. Perfino nei caffè e nei supermercati potevi cogliere al volo qualche velenosa battuta contro le teorizzazioni del ministro della Difesa statunitense che disprezzava la cultura del Vecchio continente.

Del resto, non si può impunemente invitare un Paese con più di cinque secoli di storia nazionale a buttare a mare tutto il proprio passato per sposare tout court le idee dei neoconservatori al potere a Washington. La Spagna intera, allora, ebbe un soprassalto d'orgoglio. Fu il prodromo di quello che portò alla sconfitta di Aznar un mese fa. Per questo, adesso, i sondaggi dicono che il 75 per cento degli spagnoli appoggia in maniera convinta Zapatero. Oggi tre spagnoli su quattro ritengono semplicemente che il modo in cui il presidente Bush affronta il terrorismo non è l'unico, ed è anzi sbagliato. Tre spagnoli su quattro sanno che Europa e Stati Uniti devono marciare insieme, ma che non può essere solo uno dei due partner e segnare il cammino.

Zapatero ha tenuto fede alle promesse e ha detto al governo americano ciò che la sua opinione pubblica, il nuovo protagonista sulla scena internazionale, gli ha imposto di dire. Ha compiuto forse un gesto non ispirato alla Realpolitik, come gli rimproverano in molti? Non saprei. Ma non ho dubbi che la sua scelta restituisca dignità, coraggio e passione a una politica ormai consunta e squalificata.

Bruno Arpaia – IL SECOLO XIX – 20/04/2004

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