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Incendio in Paraguay: o si paga o si muore |
Non è mai bello morire. Ma è ancora più orribile crepare una domenica mattina mentre si fa la spesa o si mangia un asado al ristorante, inutilmente appignati sotto una pioggia di fuoco contro una porta che è stata sprangata per “evitare possibili saccheggi”. Le oltre trecento vittime nell'incendio del centro commerciale Ycuá Bolaños di Asunción, la capitale del Paraguay, sono state condannate da qualcosa che ripugna perfino scrivere: la smania di guadagno, l'ossessione per il denaro che non si ferma nemmeno al bordo della linea sottilissima che divide la vita e la morte. Sembra retorica di terza mano, un sermoncino d'altri tempi, invece è la nuda e cruda realtà. Se davvero, come riferiscono molte testimonianze dei sopravvissuti, Juan Pío e Daniel Paiva, i proprietari del supermercato, hanno dato l'ordine di chiudere le porte per evitare che la gente scappasse senza pagare, allora nessuna giustizia umana potrà mai perdonarli.
Le cronache raccontano di tre bambini che aspettavano in macchina i genitori e che sono morti abbracciati nel parcheggio. Raccontano di persone che hanno dovuto spaccare muri e vetrate per cercare inutilmente una via di scampo. Raccontano di uomini grassi raggiunti dal fuoco che scoppiavano come palloncini. Raccontano di persone che hanno provato a salire sulle loro automobili e a fuggire, ma che si sono trovate all'interno di una bomba, perché l'enorme calore ha fatto esplodere la benzina dei serbatoi.
Edgar
Ruiz Díaz, un giornalista locale accorso immediatamente sul
posto, ha visto dal di fuori la gente bruciare abbracciata e «morire
come manichini». Un pompiere ha dichiarato che le guardie
private del centro commerciale hanno addirittura sparato contro uno
dei suoi colleghi che cercava di aprire a colpi d'ascia l'entrata.
Se
Juan Pío e Daniel Paiva hanno davvero dato quell'ordine,
l'umanità nel suo complesso ha disceso un altro gradino verso
l'abisso del caos, della follia e della cecità più
completa. Se Juan Pío e Daniel Paiva hanno dato quell'ordine,
allora la banalità del Male è di nuovo subdolamente al
lavoro in mezzo a noi. Come il “mite” e grigio Eichmann,
“semplice” e metodico esecutore degli ordini di Hitler, i
signori Paiva sono i banali, puntigliosi e inconsapevoli funzionari
dell'orrore contemporaneo, di quell'orrore che fa perdere di vista a
ciascuno di noi il valore assoluto e relativo delle cose.
Per
questo la notizia della strage di Asunción ci riguarda tutti,
ci tocca come un dito al centro del petto, proprio là dove è
sistemato il cuore. E per questo fa tanto male vedere che, per alcuni
telegiornali, quelle trecento vittime sono meno importanti di altri
morti, sia pure italiani, in un altro spaventoso incendio di qualche
giorno fa. È vero, i morti non si pesano né si contano
né si mettono a confronto: sono tutti uguali. “Un muerto
no es un muerto, es la muerte”, diceva Borges. Ma il nostro
Montale, in Fine del '68, diceva anche: “Se uno muore / non
importa a nessuno purché sia / sconosciuto e lontano”.
Bruno Arpaia – IL SECOLO XIX – 03/08/2004
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