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Bruno Arpaia

LA TENTAZIONE DI ZAPATERO



Certo, la Conferenza episcopale è scesa sul piede di guerra contro Zapatero, ma ha trovato scarso appoggio perfino nel Partito popolare dell'ex premier Aznar. La legge, hanno detto in questi giorni i popolari, va più o meno bene, tranne sul punto, effettivamente controverso e discutibile, che consente ai gay l'adozione. Del resto, un occhio agli umori degli elettori bisogna pur rivolgerlo: e infatti un recentissimo sondaggio aveva rivelato che ben il 66,2 per cento degli spagnoli era favorevole non solo alle unioni di fatto, ma anche ai matrimoni fra omosessuali.
Sorpresa? È davvero così strano che da Siviglia a Barcellona, da Gijón a Cadice, ci si senta sempre meno legati ai diktat vaticani? No, non tanto. Chi ha frequentato la Spagna in questi ultimi trent'anni sa bene che, dopo la morte di Franco, è come se fosse saltato un tappo che aveva compresso per quasi mezzo secolo un popolo estroverso e anticonformista che, già ai tempi della Repubblica di Azaña, aveva adottato i costumi sessuali più liberi e spregiudicati d'Europa. Una storia non nuova. Perfino Giovanna la Pazza, figlia dei Re Cattolici eccetera eccetera, arrivando a metà Cinquecento alla Corte dei Paesi Bassi, si era meravigliata dell'austerità di costumi che vi regnava e della vita funerea che vi si svolgeva.
Il fatto è che, se i luoghi comuni sono spesso veri, sono anche durissimi a morire. La "cattolicissima Spagna" a cui noi abbiamo sempre pensato era in realtà un retaggio del franchismo che, dopo il 1975, si è andato via via trasformando in un ridotto agguerrito, ma sempre meno numeroso e influente. Del resto, bastava camminare per le strade di una qualunque città della penisola per accorgersi che (forse proprio perché vaccinati dalla dittatura) gli spagnoli avevano una voglia di vivere da spaccare i sassi, che non avrebbero più accettato da chicchessia imposizioni sulla propria vita privata, che volevano condurre la propria esistenza in modo informale e meno ingessato, senza del resto rinunciare ai propri valori.
In campagna elettorale, il signor José Luis Rodríguez Zapatero aveva promesso di dare voce a questa Spagna ampiamente maggioritaria. Lo sta facendo. Si sia o meno d'accordo con lui, gli va riconosciuto il merito di aver ritrasformato la politica in decisione, in coraggio di scegliere, in necessità di cambiare, in voglia di affrontare i temi più urgenti e importanti, salvo poi sottoporsi serenamente al giudizio degli elettori. A noi italiani, abituati alle pastoie del Palazzo, agli estenuanti e incomprensibili dibattiti sulla federazione dell'Ulivo contrapposta al partito democratico, agli annunci di tagli alle tasse che si risolvono in aumenti delle imposte locali, alle promesse di più ore di inglese a scuola che si trasformano magicamente nel loro contrario, il "detto, fatto" del signor Zapatero sembra appartenere a un altro mondo, a un'altra civiltà. Che invece potrebbe essere a portata di mano.

Bruno Arpaia – IL SECOLO XIX – 03/10/2004

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