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Paco Taibo torna a parlare del Che |
Un fantasma, un sogno vagante che non ha bisogno di visti e passaporti per attraversare le frontiere tra gli stati e quelle tra le generazioni. A quasi quarant'anni dalla morte in combattimento in uno sperduto villaggio della selva boliviana, "El Che"è sempre più tra noi. Un fenomeno commerciale? Anche, ma non solo. C'è di più, dietro quegli occhi dolci e austeri che ci guardano da milioni di poster appesi ai muri di tutto il mondo e da magliette indossate con noncuranza dai giovani di ogni paese, dietro i film che lo raccontano, dietro la grande mostra che, per la prima volta, gli ha dedicato Buenos Aires, la capitale della sua patria. E c'è di più, dietro la valanga di libri su di lui che da qualche anno invade gli scaffali delle librerie. Come spiegare, altrimenti, la forza e la durata del suo mito? In fondo, Ernesto Guevara de la Serna fu un uomo che, a parte la prima vittoria, quella alla testa della rivoluzione cubana, collezionò una serie impressionante di sconfitte teoriche e militari, dai tempi in cui fu ministro dell'Industria alla catastrofica spedizione in Congo, fino alla morte solitaria in Bolivia. E allora?
Paco
Ignacio Taibo II, storico e romanziere messicano, nel 1996 aveva
pubblicato una ponderosa biografia del Che. Un libro che aveva
venduto mezzo milione di copie in 17 Paesi e aveva provocato
discussioni e polemiche in mezzo mondo. Un libro scritto con
l'avvincente leggerezza di un romanzo d'avventura da uno che, senza
rinunciare al rigore storico, aveva voluto guardare il Che dritto
negli occhi, cercando di carpirne i pensieri più nascosti, di
spiegarne le timidezze e gli eroismi. Un libro scritto con tutta la
sincerità possibile, senza addolcire né censurare
nulla, perché, secondo Taibo, non c'è possibilità
di passato se non c'è sincerità nello sguardo. Insomma,
sembrava un libro definitivo: per tutti, ma non per Paco. In questi
otto anni, infatti, il fantasma del Che non lo ha abbandonato, è
tornato a lanciargli possenti richiami attraverso nuove testimonianze
e nuovi documenti (tra i quali quelli sui suoi ultimi istanti di
vita, da poco declassificati dal Dipartimento di Stato Usa).
Così
Paco è tornato al lavoro, a dialogare con la leggenda del
medico portegno diventato rivoluzionario mondiale, e alla fine ha
pubblicato, sempre per Il Saggiatore, una nuova versione di Senza
perdere la tenerezza, definitiva, riveduta e
ampliata. Ha corretto qualche errore, approfondito qualche
vicenda e aggiunto aneddoti. In più, ne ha approfittato per
polemizzare con alcune delle interpretazioni in circolazione.
Non
deve essere stato facile inseguire ancora quel fantasma
dall'Argentina a Cuba, dalla Sierra Maestra all'Onu, dall'Africa alla
Bolivia. Eppure il risultato, nonostante il fatto che quel terribile
finale di La Higuera sia abbondantemente noto, è sempre più
un libro che si fa leggere come una storia che accade man mano
che viene narrata, un libro che cerca di sottrarre "El
Che" al destino di essere solo un'icona pop o un simbolo di
ribellione pieno di ambiguità. Paco Taibo, insomma, riesce a
parlare sia ai giovani che lo ostentano sulle magliette ma sanno
pochissimo di lui, sia alla generazione degli anni Sessanta, che vide
nel Che prima l'araldo della rivoluzione e poi il simbolo della
sconfitta. L'Ernesto Guevara di Paco Taibo è invece un
fantasma ancora vivo perché il suo è un mito
irriverente, beffardo, moralmente ostinato. La sua forza non è
politica, ma etica: Non c'era distanza, in lui, tra le parole e
gli atti, ha affermato l'autore messicano. È
questa estrema coerenza che ci affascina ancora. E i giovani,
attraverso la sua figura, scoprono il diritto all'utopia, il diritto
alla vita e alle passioni.
Quel
fantasma, insomma, è tanto vivo che, anche dopo aver scritto
questa seconda versione, dopo essersi bruciato al fuoco di un
personaggio che consumava se stesso e quelli che lo circondavano,
Paco Taibo sa di non avere ancora saldato i suoi debiti con lui:
Continuerà a fami visita nei sogni, scrive nella
prefazione al volume, rimproverandomi perché non sono in
qualche parte del mondo a costruire una scuola. Così,
per sfuggirgli almeno in parte, Taibo ha dovuto far ricorso a un
altro mito, a un altro fantasma, a un'altra leggenda della nostra
storia. Dicono che ora sia il comandante Pancho Villa ad attraversare
i suoi sogni in groppa alla sua mula.
Bruno Arpaia IL SECOLO XIX 18/10/2004
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