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E Dio creò la Béart |
Da qualche parte forse esiste una sorta di demiurgo del cinema, che sceglie i suoi attori perché hanno qualcosa di diverso dagli altri. Non soltanto perché hanno fatto dei buoni film, o perché sono particolarmente bravi, ma anche perché sono il cinema, anche quando camminano, parlano fuori dal set, o bevono un tè. E non tanto perché recitano anche fuori dal set, come molti attori sono abituati a fare, ma soprattutto perché attraverso una formula misteriosa, sembra non recitino né sul set e neppure fuori. Ma incarnino in qualche modo un personaggio che esiste di per sé. Emmanuelle Béart è uno di questi casi rari. La guardi arrivare e ti accorgi che i suoi film sono semplicemente suoi, e proprio perché non potrebbe farne altri. Hai di fronte la Camille violinista di Un cuore in inverno, l'imbronciata e vaga modella di La bella scontrosa, la Nelly de L'Enfer e la Marlene del suo ultimo film uscito da pochi giorni in Italia, Nathalie, per la regia di Anne Fontaine, con Fanny Ardant e Gérard Depardieu. La guardi e ti accorgi che hai davanti anche l'ambasciatrice dell'Unicef, e anche la donna fiera della celebre fotografia in cui viene arrestata dalla polizia parigina per aver portato la sua solidarietà ai sans-papier.
In questa girandola di cose, Emmanuelle Béart non deve decidersi a essere una o l'altra, perché è tutto assieme. No, non chiedermi di parlare di politica, io penso che un attore non debba semplicemente farlo, perché direbbe delle banalità, delle cose che dicono tutti, è meglio tacere. Il tono della voce è pacato, consapevole, il tono di una che non soltanto è abituata a recitare per mestiere, ma soprattutto è abituata a parlare, a leggere dei libri, a farsi domande. Non sempre è così con chi divide la propria vita con il mestiere del cinema è diventata una diva mondiale. Ma con Emmanuelle Béart non c'è da stupirsi. Vai a scavare nella sua vita, di pochissimo, e scopri molte cose. Intanto che la quasi quarantenne Béart (è nata nel 1965) è per un quarto italiana, per un quarto greca, e per metà francese. La metà francese, in patria, è assolutamente celebre. Suo padre è Guy Béart, assieme a Brassens, una delle due grandi B della canzone d'autore francese. Sua madre è Geneviève Galéa, italo-greca, modella e anche attrice in un celebre film di Godard, Les Carabiniers.
Emmanuelle nasce a Saint-Tropez, uno dei pochi luoghi dove i miracoli si ripetono. Un posto dove per il cinema francese Dio è abituato a creare la femme, naturalmente fatale. Prima Brigitte Bardot, poi la Béart, che nel paesino della Costa Azzurra ci nasce davvero. E cresce a Gassin, un paesino provenzale arroccato su una collina che non si trova neppure nelle carte geografiche. Un'infanzia divisa tra intellettuali celebri amici del padre, a chiacchierare con Luis Aragon e Simone Veil, e vita agreste, scelta dalla madre. Una giovinezza in Canada, a studiare recitazione. Poi l'incontro con Robert Altman, che la convince a scegliere il mestiere di attrice, e la scrittura in un film che poi non verrà mai realizzato.
Lei ritorna in Francia. Senza fare grandi dichiarazioni sul cinema europeo che è meglio di quello americano, o viceversa. E quando ha l'occasione di rimanere a Hollywood, dopo aver girato Mission Impossible accanto a Tom Cruise, decide di tornare ugualmente nella sua Parigi. Detesto Hollywood. Nel cinema d'autore francese c'è spazio per la diversità dei personaggi. Ho visto le offerte che mi arrivano dopo Mission Impossible, in quel momento ero di moda. E devo dirti che le offerte non erano così interessanti come quelle che ricevevo in Francia. L'anno scorso, per farti un esempio, sono passata dal ruolo di una maestra molto severa e rigida, al ruolo della prostituta in questo Nathalie, al ruolo di un fantasma.
In Nathalie interpreta una prostituta che viene pagata da Fanny Ardant, moglie di Depardieu nel film, perché vada a letto con lui e poi gli raccinti tutto. La Ardant, non più giovane, cerca in questo modo di entrare nei desideri segreti di un marito che la tradisce e non la desidera più. Una storia molto recitata, molto scritta, assolutamente letteraria. Difficile? Sì, difficile parlare di sesso, difficile dire le cose che dico, in quel film. Ma ero affascinata dai piani, dalla complessità di quella sceneggiatura. Dalla sfumature continue.
Le sfumature continue ci sono, anche quando parla normalmente. E' qualcosa nella voce, e nel modo di dire le frasi. Senza pause, senza giochi d'attore, come se riuscisse a far affiorare una sorta di morbidezza strana. Persino nel modo in cui spegne la sigaretta nel posacenere: distratto. Per me questo film è proprio un treno che deraglia. Parte tranquillo, lineare, nei suoi binari. E poi man mano ti fa entrare in altre zone, in altre aree, che sono quelle di una tua verità. Marlene, la prostituta di questo film, apre una finestra sul mondo, mette in gioco le possibilità dell'esistenza, e si sacrifica. Un sacrificio a beneficio del mondo borghese rappresentato dai personaggi di Depardieu e della Ardant. Marlene è l'unica che che piange alla fine del film, l'unica che dona il suo sangue per loro due. Ma soprattutto l'unica che riesce a trasformare la sua immaginazione in un romanzo possibile. E in questo modo li salva. Ma, ci sto pensando adesso, un attore non ha tutte le chiavi di un film, va avanti in modo istintivo e animalesco.
Difficile capire dove si nasconde l'istinto di Emmanuelle Béart, abituata nei suoi ruoli a stupire sempre. Fredda come in Nelly and Monsieur Arnaud, e sfrontata come ne L'enfer di Claude Chabrol. Eppure in quella sorta di doppio messaggio che è tutto nel suo modo di comunicare, sia nel fisico che nelle parole che dice, ci sono tutte e due le sue anime. Non avevo la possibilità di discutere i dialoghi della sceneggiatura. Il contratto me lo impediva. Ma io ho una immaginazione fervidissima, e quindi avrei potuto lavorare a lungo, e intervenire sui dialoghi. Tutto il gioco sta nella capacità di raccontare storie e dire parole che abbiano una ripercussione sul corpo femminile.
Per un'attrice che da anni ha giocato in ruoli sottili di seduzione verso il mondo maschile, questo film è certamente una novità. Il ruolo maschile, interpretato da Depardieu, mi ha colpito molto. La cosa che più impressiona nel film è la differenza di percezione del tradimento tra l'uomo e la donna. Per gli uomini il tradimento ha pochissima importanza. E nel film Depardieu è un personaggio di una sincerità assoluta, anche dolorosa. E' una delle cose che mi ha colpita di più. Sincerità e menzogna. I un film dove quasi tutti mentono si gioca il filo sottile della storia di Nathalie: tutto in una trama complessa di sfumature e di passioni tenute costantemente sotto controllo. Le stesse di Emmanuelle Béart: Ho sempre cercato di fare le cose che mi interessano sia nella vita che nel cinema. E c'è una domanda a cui non so mai rispondere. Quando mi chiedono qual è il film che amo di più. I miei film preferiti sono quelli che vendono tre biglietti al botteghino. L'anno scorso a Cannes Emmanuelle Béart è stata la sostenitrice più convinta e appassionata affinché venisse premiato il film di Michael Moore Fahrenheit 9/11. Una di quelle cose che la rendono stranamente diversa da tutte le altre attrici. Lei, così intimista nei suoi film francesi, che poi sceglie un documentario politico, per farlo premiare con la Palma d'oro. Io penso che la gente debba andare a vederlo il film di Moore. E non capisco lo snobismo dei francesi, a Cannes, che trovavano Moore assai poco glamour. Persino troppo americano. Ma è questa la sua grandezza. La Béart, neanche a dirlo, detesta Bush, e si augura che le prossime elezioni ce lo tolgano di torno. E parla con molta naturalezza delle sue missioni per l'Unicef. Faccio un viaggio all'anno. Mi sono occupata della prostituzione minorile, quello che purtroppo chiamano turismo sessuale, nel sud est asiatico, e ora dei bambini soldati in Sierra Leone e in angola. Ma tutta la mia vita quotidiana è fatta di un continuo rapporto con il mondo e con la realtà delle cose. Non è ambasciatrice dell'Unicef come fosse una parentesi nel mestiere di attrice. Del tipo: dieci giorno dentro gli orrori del mondo, e poi per il resto si ritorna a fare quello che si è sempre fatto. E' qualcosa che fa parte della mia vita. E che esiste sempre. Io vivo di emozioni, e vivo attraverso la capacità di pensare la vita in modo realmente intenso. Secondo me nella vita nessun grande incontro è inutile, anche se dura soltanto qualche secondo. Che cosa è la vita se non cercare di completare gli istanti, di dare senso ai frammenti?. Roberto Cotroneo L'UNITA' 20/10/2004 |
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