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Quattro anni fa, un astrologo nepalese mi ha letto dentro. Mi disse che non ero sposato, che non avevo figli ma ci stavo pensando, sapeva l'anno esatto della morte dei miei genitori. Conosceva tutto di me. Poi mi predisse un cambio di lavoro dopo quattro anni. Sono qui e aspetto. Seduto, per stare più comodo. Interno catanese, in un budello che sbuca nella via Etnea. Franco Battiato sorride e racconta. Aneddoti, aforismi e memorie, lo sguardo fisso verso l'altrove, il pensiero rivolto al sud di nessun luogo, perché il Siciliano ha il dono di vagare senza mai mettere radici, ruotando come trottola sul terreno instabile delle emozioni in musica. Un disco di vecchie canzoni altrui, un film sull'Italia degli anni Cinquanta, un tour breve ma denso. Come la pasta alle zucchine, Battiato serve a tavola parole di pietra lavica. Ogni tuo disco è una dichiarazione d'indipendenza dal precedente, ma Fleur 3 è una rarità: non sei mai tornato sul luogo del delitto. Perché altre riletture? Il successo del primo Fleur mi ha condizionato. Ho avuto uno strepitoso allargamento di pubblico, soprattutto femminile. Devo ringraziare le donne, che di quel lavoro hanno apprezzato l'aspetto cameristico-confidenziale, forse perché sono adatte alle confidenze erotiche, mentre l'uomo è tendenzialmente più grossolano. Mi eccitava l'idea di riprovarci, con arrangiamenti e brani più aperti, appena meno intimisti, coltivando il lato femminile della vita. Che rapporto esiste tra il disco e il film di cui sarai regista? Strettissimo. Il disco nasce come dépendance del progetto cinematografico, la cui colonna sonora prevede le versioni originali dei brani che ho riletto. Il titolo è Perduto amor e la canzone di Adamo è nei titoli di testa. Il film racconta la vita di un bambino siciliano, nell'Italia degli anni Cinquanta. Non è autobiografico, ma racconta anche di me, inevitabilmente. E' vero che, da bambino, dal terrazzo di casa, vedevi un cinema? Sì, è vero, e mi impediva di studiare. Di ogni pellicola, sapevo le battute a memoria perché eravamo molto vicino e sentivo tutto. Sono cresciuto con il cinema dentro casa, letteralmente. Ho avuto un'infanzia bellissima. Sono nato subito dopo la guerra e il tormento, in attesa dell'estasi e del boom economico. Vivevo libero in strada e imparavo le cose dei grandi, mentre in casa vigeva un ordine rigido. Era la Sicilia tribale che, a ripensarci, mi manca il respiro. E' lì che mette radici la tua storia? Sì, ma non dimenticare che io lotto da sempre per sradicarmi, anche se so bene quanto sia difficile non appartenere a un luogo, a uno stato, a una famiglia, a un tempo. Dobbiamo recuperare il senso del viaggio, della comunione tra i popoli. Se qualcosa della Turchia mi attrae, sono disposto a considerarla casa mia. Sembra che i tuoi dischi siano frutto di due atteggiamenti diversi, che si alternano: da un lato la meditazione e la contemplazione, dall'altro la quotidianità e il rumore. Sì, è molto giusto. Sono un uomo che pratica la meditazione da 32 anni, ma che è costretto a vivere nel traffico, circondato dal rumore. Vivi di epifanie e di illuminazioni improvvise o di costruzioni metodiche? Credo dipenda anche dal mio segno zodiacale, Ariete, il fatto di avere delle folgorazioni nella vita, tuttavia sono diventato un metodico, quindi sto costruendo il mio futuro passo dopo passo. Hai sempre cercato l'alba dentro l'imbrunire, ma solo l'imbrunire riesce a commuoverti... Sì, perché l'imbrunire è una porzione di vita che finisce, mentre l'alba è l'inizio di un giorno intero. L'aria dell'alba, come dicono gli indiani da migliaia di anni, contiene il prana, e chiunque abbia un po' di sensibilità capisce che alzarsi alle tre del mattino vuol dire annusare la nostra essenza e migliorarsi da un punto di vista vitale. Ma l'imbrunire è la spinta che ti fa andare a dormire anche da un punto di vista esistenziale. Ti può togliere le pene che l'alba, invece, ti fa incontrare durante la giornata. Hai detto che ti piace leggere per dimenticare te stesso: solo nel senso di essere assorbito da quello che leggi, o nel senso di prenderti una pausa? Non potrei farlo perché purtroppo dedico alla mia vita tutta la mia attenzione. Lo posso concepire solo come fatto filosofico: tutti i nostri problemi nascono dalla paura di perdere la nostra identità. Dopo la morte saremo sempre noi? Esisterà Massimo Cotto nell'aldilà? Sarebbe bello se noi capissimo veramente che siamo poca cosa. Torniamo ad Adamo. Pur lontano dalla sacra trimurti Brel-Brassens-Ferré, si è ritagliato il suo spazio, nella chanson. Era un cantautore della malinconia come De Andrè, bravissimo nel mettere in musica un sentimento di regressione, di nostalgia e rimpianto. Cantavano entrambi l'amore perduto, ovvero il confronto con i propri fallimenti, una specie di confessione che qualcosa non era andato per il verso giusto, che non erano stati all'altezza di una vera unione. Adamo rappresentava il lato disimpegnato della musica, per questo i maledetti non lo amavano. Ho un ricordo netto della prima volta che ascoltai Perduto amor: camminavo per Catania e rammento che non riuscivo a capire se la voce che usciva dalla radio fosse di uomo o donna. C'è qualche canzone che avresti voluto cantare, ma che hai lasciato fuori? Ho provato a cantare Battisti, Nel cuore, nell'anima, a toglierle ritmo e trasformarla in un brano mistico. E' venuta fuori una schifezza. Mi era già capitato con Hendrix, su Ferro battuto. In origine, volevo rileggere Stone Free, poi ho capito che non sarei riuscito ad aggiungere nulla e sono passato a Hey, Joe. Impressioni di settembre è stata una delle canzoni più trasmesse dalla radio, in questa estate. Ho chiesto a Mauro Pagani quanto ci fosse di suo, nel testo, e quando di Mogol. Lui ha risposto che si era limitato al verso Quante gocce di rugiada intorno a me, mentre la versione originale di Mogol prevedeva Quante perle di rugiada intorno a me. Ho concluso: Caro Mauro, solo questo vale 2/24 di diritti d'autore. La Pfm rimanda anche a un altro modo di vivere la musica e i concerti. Fondamentale, per me, è il lavoro e la composizione. La performance è uno degli aspetti, ma non il dominante. Il contatto con il pubblico è un'esagerazione bella e buona. Se vado in tour, sono felice; se non vado, lo sono ancora di più. Certo, ho bei ricordi. Al Parco Lambro ho vissuto un momento memorabile: salii sul palco all'1 e 30 di notte. In quegli anni mi dilettavo a utilizzare fasce sonore senza ritmo. Dopo due minuti di quei suoni, sa migliaia di sacchi a pelo sbucarono fuori altrettante teste, incuriosite da quei suoni. Fu emozionante, come vedere migliaia di piante nascere tutte insieme. Ma ho anche visto, in un festival pop, Leo Ferré, di cui ho cantato Col tempo, recitare una poesia di straziante bellezza ed essere interrotto da un pubblico di coatti e cialtroni. Lo hanno massacrato. E io dovrei credere che il pubblico ha sempre ragione? Sciocchezze. Il pubblico non ha quasi mai ragione. Col tempo sai, col tempo tutto se ne va.... Ti senti tradito, come Ferrè, dagli anni perduti? No, semmai il contrario. Ho tradito i miei anni, che mi hanno dato grandi occasioni che io non ho saputo sfruttare fino in fondo. Succede alle persone che non si sono inserite bene nel loro tempo, che non sono state capaci di mettere a frutto tutti i talenti avuti in dono. Come un sigillo, l'inedito è cantato con Alice. Tu hai molto lavorato con lei, con Milva, con Giuni Russo. Tre caratterini. Non ho mai avuto problemi. C'è chi, come Wagner, ha bisogno che il fiele vada nel sangue, per lavorare. Io, no. Quel quid di sporco che si installa tra il sentimento e il cervello mi annebbia la vista. Un buon produttore deve sapere che la frustrazione non ha diritto di cittadinanza; si deve mettere al servizio della cantante come il sarto fa con la modella. Io, rispetto ad altri, mi sono tolto i miei sassolini dalla scarpa in anticipo, così non ho tentato di riversare su altri artisti i miei fallimenti. Ultima domanda, banale: ma, a te, i fiori piacciono? Lo adoro. Mi nutro del loro profumo, più che dall'estetica. E' il profumo il loro vero linguaggio. Il modo in cui ti parlano, la loro anima. Intervista di Massimo Cotto SOPRATTUTTO/IL SECOLO XIX 30/08/2002 |
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