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MUSICA

Un lungo viaggio, dal CBGB’s di New York fino al palco di Miami

"Avevo pochi anni / e vent’anni sembran pochi / poi ti volti a guardarli e non li trovi più”, scriveva, e cantava, Francesco De Gregori, dando voce al suo “Bufalo Bill” e ai suoi stessi sogni di America e Terre Promesse. Vent’anni, o qualcuno in meno, tanti ne aveva chi scrive quando Bruce Springsteen incrociò accordi e testi di “Because The Night”, una tra le sue composizioni più conosciute, conosciuta almeno quanto “Thunder Road” e “Born To Run” ma mai incisa ufficialmente dal suo autore, il quale si limitò a consegnarne alla storia soltanto una versione dal vivo nel 1986, una decina di anni dopo averla “ceduta” a Patti Smith.

Quanto è vero che se ti volti a guardare gli anni rischi di trovare null’altro che ricordi, fotografie “virate seppia” (questa volta la citazione arriva da un De Gregori ancora più giovane di quello che cantava di locomotive e praterie) e qualche rimpianto. Ma ci sono le canzoni a togliere la polvere dai ricordi, e se le scegli e le ricordi bene, le canzoni, anche i rimpianti scorrono via come le note.

“Because The Night” è una di quelle. Puoi sceglierla tu, o può essere lei a scegliere te, non fa differenza, perché ti si incolla sulla pelle, fruga nei tuoi pensieri e si accomoda da qualche parte senza farsi più vedere. Almeno fino al momento in cui parte, in televisione, per l’ennesiva volta la sigla che precede, rigorosamente a notte fonda (e come potrebbe essere altrimenti, con quel titolo), qualche bel B-movie scelto e commentato con quel meraviglioso labiale fuori sincronia da Enrico Ghezzi.
Allora accade che ne riscopri il sapore, la delicatezza dell’introduzione affidata al pianoforte, la dolce violenza del primo ingresso della batteria e quell’esortazione urlata (“c’mon now try to understand”) che è vita.

Mi dicono che in queste ore “Because The Night” compie venticinque anni di vita.
Un quarto di secolo, a pensarci un attimo in più. C’era il punk in piena esplosione, allora, ed era quello vero. Joe Strummer era vivo e gridava forte la sua inquietudine di ragazzo inglese; i Ramones anche, con le loro scarpe di gomma Converse All Stars e i jeans a tubo che oggi vengono recuperati dagli Strokes e da altri ragazzetti della stessa generazione. Elvis Costello aveva tutti i capelli e un paio di occhiali grossi così, la musica da ballo era migliore di quella di oggi e Bruce Springsteen sputava rabbia contro un manager, contro suo padre e contro quelle che allora gli sembravano tutte badlands (terre aride, malvagie). “Badlands” era il titolo scelto per la canzone di apertura di Darkness On The Edge Of Town, l’album del 1978 per cui era stata scritta “Because The Night”.

Springsteen apriva i suoi concerti cantando Buddy Holly (“Rave On”) e Jerry Lee Lewis (“High School Condidential”) prima di fare esplodere la E Street Band e le sue canzoni. Era già un tributo vivente al rock’n’roll dei primordi, portava sulle sue Converse bianche e nere la polvere delle strade del New Jersey ma era nervoso come un punk di Brixton. Ascoltava i dischi di Sam Cooke ma amava anche “London Calling” e il reggae di “Police And Thieves” dei Clash, canzoni che a ben sentire non erano così distanti da quella “I Fought The Law” che è stata terreno comune per Springsteen, Clash e Buddy Holly, quest’ultimo il primo a riprenderla dal repertorio di Bobby Fuller.

Esiste una bella e rara foto in bianco e nero che cristallizza quel momento, quegli anni, quell’energia tutta newyorchese. Siamo nel retropalco angusto del CBGB’s, locale storico sulla Bowery, lembo di strada della New York più difficile e inquieta. Corre l’anno 1977, anzi sta sfumando, visto che è la notte tra il 30 e il 31 dicembre. Springsteen è andato a fare visita a Patti Smith e con lei e con il suo gruppo ha cantato dal vivo “Because The Night”, una sorta di co-produzione, poi vedremo perché, pronta a finire sull’album Easter del Patti Smith Group, nei negozi di lì a qualche mese.

Nella foto sono tutti là, a godersi quel momento e quel dopo show. Si scorgono, seduti su una panca, Springsteen, Patti Smith, Lenny Kaye e gli altri. Giorni caldi, quelli, con i Talking Heads pronti a farsi sentire dal mondo, Bowie che scrive “Heroes” e Bruce che, ancora qualche mese, e con “Prove It All Night”, “Candy’s Room”, “Adam Raised A Cain” e “Badlands” è finalmente in grado di presentare il “suo” punk.

Dentro quella foto, in quel CBGB’s già carico di storia, c’è la storia di “Because The Night”, che in questo compleanno che qualcuno ha pensato di festeggiare forse vale la pena di raccontare.

I fili li mette insieme un italo-americano, Jimmy Iovine, piccolo e ossuto, occhiaie color piombo e due belle orecchie, nutrite in anni di gavetta nei migliori studi di registrazione di Manhattan. Iovine è stato un ragazzino tutto fare agli inizi degli anni Settanta, poi, convintosi a diventare tecnico del suono e poi produttore, ha imparato qualche trucco mentre Phil Spector registrava l’album Rock’n’Roll con John Lennon. Con Bruce, Iovine ha esordito dietro la consolle per Born To Run, così, nel 1977, mentre sta producendo Darkness On The Edge Of Town, è perfettamente al corrente del fatto che il Boss sta lavorando a un disco, uno solo, e che i dischi (allora in vinile, lontano era l’agio dei cd e dei quasi ottanta minuti) durano quaranta minuti, o poco più. Pochi, davvero pochi per le cinquanta canzoni che girano nella testa di Bruce l’incontenibile, reduce da un anno di forzato stop per una causa con il suo vecchio manager. Quando Iovine mette le mani anche in un album di Patti Smith si accorge che a questa manca una grande canzone per arrivare in radio o, almeno, per uscire dal ghetto della piccola cerchia di appassionati che la circonda. Allora bussa alla porta di Bruce, al Navarro Hotel di Central Park South, e gli parla di Patti, del grande album che stanno completando, fino a chiedergli: “Avresti una canzone per lei?”. La risposta di Springsteen, recitata con chitarra acustica al collo, è una “Because The Night” tesa e logorroica, vibrante, stradaiola e dall’animo maschile, la stessa che trasferita nelle mani di Patti Smith perde qualche strofa e guadagna lampi di poesia (“l’amore è un angelo / la lussuria è la sua maschera”) uscendo dall’anonimato per finire in classifica. Bruce accetta che lei rimodelli il testo e la firmano insieme, anche se lui continuerà dal vivo a mantenere quelle liriche aspre e più articolate di cui la sua canzone era originariamente ornata.

La notte del CBGB’s è forse il momento in cui Springsteen si stacca definitivamente dalla sua creatura cantandola con chi per prima la farà ascoltare al grande pubblico.
Iovine si gode il momento sapendo, da grande uomo di musica quale è, che ha fatto qualcosa di buono per la storia del rock’n’roll, mettendo l’amore notturno di questa ballata elettrica nel letto con due new jerseans così diversi tra loro. Il piccolo italo-americano, ora che ha finito di sbirciare tra le carte di Spector e John Lennon, è più che pronto per la scala d’oro della produzione musicale, e arriveranno altri “matrimoni” da lui combinati: tanto per citarne due, i Dire Straits di Making Movies faranno rivivere presto, grazie alle tastiere di Roy Bittan della E Street Band, la malinconia e la poesia di “Jungleland” (ascoltare “Romeo And Juliet” e “Tunnel Of Love”, quest’ultima una canzone che anni dopo ispirerà a Springsteen il titolo del suo album del 1986) e gli irlandesi U2 di Rattle And Hum filtreranno trent’anni di rock’n’roll americano attraverso la loro sensibilità tutta irlandese.

Dal 1978 in poi “Because The Night”, con “Born To Run” e “Thunder Road”, darà vita a quel “Suono Springsteen” destinato a fare scuola ma anche a suggerire pericolose deviazioni sul tema come quelle operate talvolta maldestramente da Meat Loaf e Jon Bon Jovi, pronti a riprendere dell’impasto sonoro caro a Bruce unicamente la grana più grossa. Ne ascolteremo epiche stesure live suonate dalla E Street Band e buone versioni in studio ad opera degli ultimi 10000 Maniacs di Natalie Merchant. La canteranno o la incideranno un po’ dappertutto, quella canzone uscita per caso da un cassetto di casa Springsteen: lo faranno sul palco i Waterboys di quel Mike Scott che in gioventù pubblicava una fanzine chiamata Jungleland, ed anche oscure dance band del nord europa e pop star spagnole, ognuno nella propria lingua. Prova che una grande canzone arriva dappertutto e diventa la canzone di tutti.

E a forza di intrattenere tutti, spesso lontano da casa, “Because The Night” è in qualche modo tornata a casa nel novembre del 2002, durante il trionfale tour americano con cui Bruce Springsteen e la E Street Band hanno promosso l’album The Rising. Sul palco di Miami, Florida, ospite del Boss si è presentato un Bono in grande spolvero, con giacca militare e berretto alla Che Guevara, pronto a cantare ritornelli e strofe con la stessa intenzione che fu della Patti Smith di Easter. Persino i vocalizzi al termine erano strappati al di lei repertorio live, a testimoniare che fu la versione originale del brano la prima a influenzare il giovane U2 di allora, quando Bruce Springsteen – che oggi è fresco di Grammy accanto a quell’hip hopper un po’ punk di nome Eminem (creatura, guarda un po’, di Iovine e della sua Interscope Records) - girava per le strade di Manhattan con le tasche piene di canzoni e il cuore carico di sogni.

Accadeva venticinque anni fa ma ce lo ricorderemo ancora per molto.

Ermanno Labianca – L'UNITA' – 29/04/2003



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