CESARE BECCARIA |
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1738- 1794 |
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CENNI BIOGRAFICI |
Dei
delitti e delle pene, |
Cesare
Beccaria nacque nel 1738 a Milano dal marchese Giovanni Saverio
Beccaria Bonesana e di Maria dei Visconti di Saliceto.
Dopo aver
studiato a Parma presso i gesuiti ed essersi laureato in legge ad
appena vent'anni all'Università di Pavia, tornò a
Milano. Qui in breve interruppe i rapporti con i genitori e con il
suo ceto, perché aveva preso a disprezzare l'ambiente della
nobiltà, e perché innamorato di Teresa Blasco, non
nobile, malvista dai genitori, che egli poi sposò nel
1861.
Conobbe Giuseppe Parini ed entrò nel circolo dei
Verri, che avrebbe avuto nel «Caffè» (1764-66) il
suo organo di espressione.
Grazie a Pietro Verri non solo ampliò
i suoi interessi e i suoi studi, ma riuscì anche mitigare il
carattere e a riprendere i contatti con la famiglia nel 1862.
Ispirato
da Verri, nello stesso anno pubblicò il suo primo scritto
edito, Il trattato Del disordine e de
rimedi delle monete nello Stato di Milano nel 1762, Lucca, Giuntini,
1762, frutto della sua adesione alle teorie filosofiche,
sociali ed economiche degli illuministi francesi.
Anche il tema
del suo secondo trattato, Dei delitti e delle
pene, gli fu proposto da Pietro e Alessandro Verri gli fece da
consulente.
Pubblicato anonimo a Livorno nel 1764
(Stamperia Coltellini; ed. in facs. a cura di L. Firpo,Torino, Utet, 1964), il libro ebbe uno straordinario successo, soprattutto per la protesta contro la
tortura e la pena di
morte, ma fu anche al centro di polemiche reazionarie, sia di tipo
religioso, sia di tipo morale e subì un violento attacco dalla
Chiesa, che arrivò a metterlo all'indice.
Per quell'epoca,
"Dei
delitti e delle pene"
fu un opera di capitale importanza tanto da un punto di vista
contenutistico quanto da un punto di vista formale, un'opera che al
rigore logico univa il pathos umanitario e che avallava le esigenze
dello stato illuminato.
Nel 1766 fu accolto con esultanza a Parigi, dove si era recato insieme con Alessandro Verri, ma egli preferì tornare velocemente a Milano e i suoi rapporti con i Verri ne risentirono notevolmente.
Frattanto aveva pubblicato sul «Caffè» articoli teorici come quello sullutilità delle gazzette come strumenti di divulgazione della cultura (De fogli periodici, t. II, foglio I, anno 1765-66) e laltro, sulla libertà dello stile dallautorità della tradizione letteraria (Frammento sullo stile, t. I,
foglio
XXV, anno 1764-65), che fu alla base delle successive più
ampie
Ricerche intorno alla natura dello
stile, Milano, Galeazzi, 1770, in cui Beccaria teorizzava il
rinnovamento dei generi letterari e la stretta adesione delle parole
alle cose.
Rifiutò linvito di Caterina II a
recarsi in Russia per presiedere alla riforma del codice penale ma
accettò di ricoprire la cattedra di economia politica, per lui
creata, nelle Scuole Palatine di Milano nel 1768, dove insegnò
due anni;
dette alle stampe la Prolusione del corso (ibid. 1769) ma non le lezioni, che furono
edite postume (insieme alla Prolusione e a Del disordine nella collana «Scrittori
classici italiani di economia politica. Parte moderna», voll. XI-XII, a c. di
P. Custodi, Stamperia De Stefanis, Milano 1804; rist. anast. Bizzarri, Roma I966;
facs.
del ms. Iceb Milano 1978).
Nel 1771 fu nominato membro del
Supremo consiglio di economia, poi magistrato provinciale per la
Zecca 1778), quindi capo di dipartimento del Consiglio di governo
(1786).
Contemporaneamente aderì alla Società
patriottica, un club promotore di riforme socio-politiche, in cui si
ritrovava con il Parini e P. Verri; fu nominato membro della Giunta
per la riforma del sistema giudiziario civile e criminale 1791).
A
questa attività nella pubblica amministrazione sono connesse
le Consulte, documenti di carattere
burocratico non destinati alla pubblicazione.
Rimasto vedovo nel
74, si risposò lanno stesso con Anna Barbò;
dai due matrimoni ebbe quattro figli: la primogenita, Giulia, fu
madre di Alessandro Manzoni.
Morì a Milano nel 1794.
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