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MUSICA

Bersani: “Io che Berlusconi non lo voterò mai”

Sulla copertina di un giallo acceso spicca il disegno di un omino sorridente e vestito di nero. Nel libretto di Caramella Smog, il nuovo album di Samuele Bersani, non c'è neppure una sua foto. Come se il cantautore romagnolo non volesse distogliere l'attenzione di chi legge dai testi delle sue canzoni. Testi ancora una volta poetici e profondi. Testi che, legati come sono a delle melodie molto belle e fascinose, ti si insinuano pian piano nella mente e nel cuore. Non sono molti, i cantautori italiani che sanno raccontarci a noi stessi con tanta finezza e tanta impietosa precisione. E' difficile, se non impossibile, scegliere una canzone che ci piaccia più delle altre.

Da dove saltano fuori il titolo e il marchio “Caramella Smog”?

Il proprietario della casa in cui ho fatto il disco, in campagna tra San Lazzaro e Ozzano, è un rigattiere che vende e compra mobili antichi e modernariato: Un giorno sono andato da lui a comprare un mobile e mi ha regalato questo barattolo di caramelle Smog. Cercavo un titolo per il disco che non fosse Socio di minoranza, perché con un titolo così l'album rischiava di prendere un'aria troppo polemica. Possono esser polemiche le canzoni, il titolo non ha bisogno di esserlo, e cercavo qualcosa di più velenoso. Sai quando cerchi gli occhiali e li hai sul naso? Avevo il barattolo davanti e l'ho trovato perfetto. Pensavo che alcune canzoni fossero parecchio velenose come possono esserlo le caramelle e mi è sembrato che fosse giusto così. Mi piaceva anche il logo. Ho fatto una ricerca non solo su Internet, ma anche con i massimi esperti di Novecento pubblicitario e alla fine sono entrato addirittura in possesso del brevetto di queste caramelle.

Mi ha sempre colpito la naturalezza con cui usi un linguaggio molto complesso. Qual'è il segreto della tua scrittura?

Il mio segreto è di essere nato e cresciuto in una famiglia in cui si parlava così, di essere nato a cresciuto in Romagna, dove la gente è matta. E' una caratteristica che ho, non mi sforzo ad essere così. Invidio molto quelli che fanno cinema perché hanno più tempo per raccontare. Siccome ho poco tempo, in quei quattro minuti devo mettere esattamente quello che voglio dire. Le mie canzoni sono come cortometraggi e cerco di metterci tutto. Il disco magari è un po' faticoso perché è denso di immagini e pieno di cose, ma è il mio modo di scrivere. Questa volta poi sono importanti gli arrangiamenti, che sono come le scenografie di un film. Aiutano a raccontare meglio la storia. Mi hanno anche fatto venire in mente i testi.

Come funziona il tuo lavoro?

Io entro in studio senza avere neppure una canzone. Con la tecnologia di oggi è possibile ritoccarle prima di masterizzare il disco e questo è un grande vantaggio. Lo svantaggio, come diceva Peter Gabriel, è che la tecnologia non ti fa mai decidere che è arrivato il momento di darci un taglio. Non capisci mai quando è il momento di chiudere.

Tu usi molto spesso la prima persona o una forma impersonale...”si dovrebbe”, “bisognerebbe”...Questo fa si che chi ascolta identifichi con te i vari personaggi delle canzoni.

Questo disco è meno introspettivo di Oroscopo speciale. L'ho scritto affacciato a una finestra immaginaria. Ho guardato molto il televideo la notte. Quando finivo di lavorare accendevo la tv e facevo un po' il riassunto, giorno dopo giorno, di quello che avveniva. Mi sono confrontato con un mondo. Anche se poi uso la prima persona, in una canzone come Salto la convivenza non racconto la mia storia. Un mio punto di vista sincero c'è, perché sono uno di quelli che hanno l'impressione che oggi ci si sposi per divorziare. Molti hanno paura di frequentarsi, di conoscersi, di approfondire e prima di approfondire, fanno quel passo per cui sono contenti gli avvocati. Mi viene più naturale mettermi in mezzo alle cose, non parlare per bocca di un altro, ma anche se uso la prima persona, non è necessario l'autobiografismo. E' necessario scrivere bene.

Prima dicevi che “Socio di minoranza”, che hai messo proprio in apertura, avrebbe potuto dare il titolo a tutto il disco. Ti sembra giusto considerarla come una chiave di lettura per questo tuo lavoro?

Qualcosa l'ha presa addirittura come un manifesto politico. Io non lo so. E' la prima canzone che ho scritto quando sono entrato in studio. Ancora prima di Che vita, che poi è stata messa nella raccolta dell'anno scorso. Mi sembrava giusto mettere in scaletta, per onestà, le canzoni nell'ordine in cui erano nate. E comunque sì, può servire anche per immergersi nel resto dell'album. Ti porta subito in un mondo che sposi o rifiuti.

Cosa pensi della polemica che mette di nuovo a confronto i cantautori e gli intellettuali?

Il cantautore ha anche una funzione sociale. Non è che la categoria dei cantautori sia più sincera di quella degli scrittori. Forse ha più possibilità di venire a contatto con delle persone durante i concerti, durante i viaggi in treno. Io vengo da una famiglia di sinistra. I miei erano due compagni negli anni '70 in Romagna. In questo momento farsi sinceramente fatica a sposare un partito, a trovare una persona che mi piaccia. L'unico che mi piace, insieme forse a Cofferati, è Prodi. Per il resto non so cosa dirti. Ho ascoltato stamattina Francesco Rutelli da Costanzo e non lo voterò mai nella mia vita. Così come non voterò mai Berlusconi. L'unica cosa intelligente a livello politico nelle ultime due settimane l'ha fatta Fini. Non voterò neppure Fini, ma dall'altra parte vedo arrancare e aspettare delle mosse false. E vedo anche commetterne di mosse false...Forse la mia è una posizione un po' qualunquistica, ma la mossa di Violante non l'ho capita. In questo momento bisognerebbe stare fermi e aspettare che si facciano del male con le loro mani.

Intervista di Giancarlo Susanna – L'UNITA' – 25/10/2003



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