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Nostalgia del futuro |
Franco è un vecchio felice. Un militante dello stupore. Mai nostalgico, tranne del futuro, da cui è commosso al punto che sembra già ricordarselo, sfavillante.Giunto alla fine, è stupefatto dall'inizio. Sono i vagiti di un vecchio. Quando cesseranno, sarò più triste di quando muore un bambino, perchè, anche se Franco ride battendo i piedi per terra come loro, ha una memoria di ottant'anni che non rimarrà da nessuna parte. E' un giornalista ignoto, come il milite. Con Ennio Flaiano avevano scritto un soggetto cinematografico rimasto inedito. S'intitolava La madre del Milite Ignoto. Era ispitato a una povera donna realmente esistita che girava per Roma nel '45, e la notte irrompeva al ristorante Cesaretto in Via della Croce reclamando a gran voce una pensione di guerra. Anche quella mattina era stata al Ministero, ma non c'era stato verso. Volete che un figlio non sia noto alla sua mamma? E morto in guerra poi?. Macchè, quelli si erano ficcati in testa il contrario: che il figlio era ignoto e non si poteva pretendere di smantellare quel popò di monumento con tutta piazza Venezia che gli ruotava intorno, per riconoscere una pensioncina di guerra a una madre non meno ignota di suo figlio. Così, ottenuta un po' di elemosina e un piatto di bucatini, la donna si chetava, ma il giorno dopo, scalmanata, si ripresentava dagli irremovibili burocrati del ministero e, in preda a insoddisfatti furori, dai commensali di Cesaretto.
Del soggetto di Franco e Flaiano non si girò un film perchè aveva un finale duro, che metteva in dubbio l'ignoto e perfino la Mamma (per non parlare della patria). Se era già un'offesa figlio di madre ignota, figurarsi madre di figlio ignoto. A farla breve, una notte, al termine di mille peripezie, la poveretta si arrampicava sull'altare della patria e, con gli occhi sbarrati e una voce di soprano, si rivolgeva alla causa di tutte le sue disgrazie: la tomba di un soldato raccolto a casaccio in qualche trincea della Grande Guerra. Dì finalmente come ti chiami a tutta Roma! Diglielo, parla, gridalo qual'è il tuo vero nome, figlio mio!. Dopo una terribile pausa, una voce metallica risuonava nella tomba: Otto Weininger!. Era tedesco.
Questo è il mondo di Franco, ma ormai lo sappiamo in pochi. I suoi migliori amici se ne sono andati: Flaiano, Visconti, Gassman, Stoppa, Festa Campanile e Steno che, incontrandolo alla fine della guerra, vedendolo più magro ma anche più cinico di prima, gli affibbiò come soprannome: L'Olocaustico.
Franco li cita come se avessero un appuntamento con loro, questa sera, da Rosati a Via Veneto. Intanto mi racconta di Eugenio Montale che assistette alla fucilazione di un disertore di diciott'anni. Mentre lo legavano per fucilarlo, il poverino gridava: Non posso morire! Sono il figlio di un professore di geografia!. Commenta Franco: immaginati questa frase pronunciata in una valle gelida davanti al plotone schierato. Sono il figlio di un professore di geografia!, l'assurdo che piomba sulla tragedia. Semmai era l'appartenenza alla borghesia che avrebbe potuto salvarlo, non l'ingenuità di ritenere intoccabile un insegnante di geografia. Come se oggi uno reclamasse: Non posso morire, sono un idraulico!.
Batte i piedi per terra, ride perché glien'è venuta in mente un'altra, feroce. La disse (l'altroieri? O domani?) la Borboni a Rascel durante le prove di una rivista al Sistina. Lui, il piccoletto, s'infuriò per una sentenza che la Borboni non sapeva recitare. E bofonchiò: Sta vecchia.... Ma la Borboni, nonostante l'età, ci sentiva bene. Rispose: Io sono vecchia, ma sono stata giovane. Lei alto, mai.
Franco ha ottant'anni, trentatrè più di me. E' stato l'unico caporedattore a farmi provare a scrivere un articolo, quando a vent'anni, nel '73, facevo il giro delle redazioni più o meno come la madre del milite ignoto faceva quello dei ristoranti nel dopoguerra. L'anno scorso mi ha accompagnato a Cuba dove giravo un programma per la tv. Le ragazze dell'Avana l'hanno soprannominato picaflor, per le sue carezze pirate, e oggi, accanto al telefono in corridoio, Franco tiene un vocabolario italiano-spagnolo perchè lo chiamano in continuazione da Cuba, quasi tutte le notti (Accetta la chiamata?) raccontadogli crucci e progetti, mentre lui cerca come un matto le parole d'amore in spagnolo. Tanto non dorme. Vive solo, nel suo appartamentino in Prati, conversando con i suoi amici immortali: Montaigne, Miguel de Cervantes, George Bernard Shaw. Dice che le loro parole sono vive, accanto e di fronte a lui, nel salottino, sedute.
Recentemente si è un po' alterato per La vita è bella di Benigni, visto a un d'essai. Non contesta il lato comico del film, ma il fiabesco. Quando mai era possibile portare con sé un bambino in un campo di concentramento?. Teme che il successo del film diventi l'anticamera della rimozione della memoria, come se la gente si sia stufata di parlare dell'Olocausto. Paventa che un ragazzo di oggi possa dire: Bè, in fondo nei campi non stavano così male.
Due settimane prima delle elezioni, mi ha raccontato un sogno. Franco e Flaiano, come sempre, sono a cena da Cesaretto. Ed Ennio, a voce bassa e guardandosi intorno, attacca a raccontargli l'ultima su Berlusconi. Franco non ci sta e sbatte il tovagliolo sul piatto. E no, basta, che facciamo? Si ricomincia daccapo con le barzellette? Come con Mussolini? Io non ce la faccio più!. Si è svegliato dall'incubo con il cuore in gola e la paura di non essersi liberato mai. Come se i tedeschi fossero ancora a Roma. Però ha attribuito l'incubo anche alla cataratta. L'hanno operato così così, e per leggere usa una lente con la lampadina incorporata. Illumina una parola per volta, ma resiste. E leggerà anche questo, ma reggendosi alle righe. E' forte, Franco, ed ottimista sul futuro della civiltà. Passeggiamo per Via della Croce dove il ristorante Cesaretto ha cambiato casacca, o a Via Veneto dove il suo bar Rosati è una banca. Io fumo come un turco e lui mi cammina alle spalle deliziandosi del fumo passivo. Non può più fumare, e di morire ha solo un pizzico di umana stizza. Vedi? mi fa indicando la commessa di un negozio di cravatte. Quel giorno sarà come adesso, entrerà un giapponese e quella stronza gli venderà una cravatta. Tutto uguale, e digrigna i denti, simpatico. Ricordo un'intera notte da praticante trascorsa al suo fianco nelle tipografie a piombo di una volta. L'ho visto riscrivere una didascalia trecento volte finchè non gli è venuta perfetta. Peccato che il giornale non uscì per colpa di una didascalia. Era l'alba. Lui si volta e mi guarda come se fossi entrato in quel momento: Già qua?. Da giovane era assai più vecchio: un pignolo. Criticava tutti: da Pasolini a Montale. Poi, per rispetto, di suo non scriveva una riga. Era altrettanto autocritico. Negli ultimi dieci anni è rifiorito. Vedovo, senza figli, non condivide le mie perplessità sull'ultima generazione e ha regalato la playstation ai miei bambini, coi quali intrattiene ardite discussioni sui Pokémon, che mi isolano e mi scandalizzano. Se incrociamo una bella donna, Franco la squadra come nei paesi, poi sbuffa perché il corpo da vecchio gli sta stretto e sedurle a parole è come, ad un cenone, contentarsi di un semolino. Quello che gli dispiacerà di più lasciare sono le donne e le stagioni, spiega. Gli piacerebbe molto vivere fra cent'anni perché non ci saranno differenze tra i sessi, né scandali, né gelosie, né sciocchezze. Per ora è una rivoluzione a metà. Dice che nel Sessantotto era già vecchio, ossia nel girone di quelli che erano contestati, ma lui si sentiva dal'altra parte della barricata. Precisa: Non con i sessantottini, quelli non li ho mai sopportati. Io stavo con il Sessantotto, Gli piaceva la caduta di tutte le autorità. E' come con il femminismo, insiste. Le femministe sono fastidiose ma il femminismo è straordinario. Franco detesta quelli che si fanno subito sacerdoti di una religione.
Parla per aforismi, come Flaiano. Adora la grazia di Fitzgerald quando descrive la società, anche se descrive una società di cretini. Una sera tempestosa sul Malecon di Cuba, con il sole rosso che s'infilava nell'oceano come una padella bollente nella schiuma del lavabo, stavamo discutendo della leggerezza antica dei cubani, personaggi senza passaporto. E Franco li ha paragonati ai conti e alle contesse di Proust. La grandezza di Proust, ha detto, è nel fatto che ti inchioda ad interessarti ad una serie di stronzi assoluti.
Da partigiano, innescando una bomba, si è massacrato le mani. Nell'esplosione ha perso tre dita, così, quando ti parla, sembra che gesticoli la storia. Ieri notte, 13 maggio, mi ha telefonato con la voce roca e affannata di chi si sveglia di soprassalto. Ma c'era la terza proiezione Abacus e l'ho lasciato lì, col fiato sospeso, e il mio nome interrogativo sulle labbra. Diego? Ma che succede? Ricominciamo? Forse aveva rifatto l'incubo della barzelletta di Flaiano su Mussolini.
Nei giorni scorsi Franco mi aveva avvertito: Sulla mia lapide ci dovrai scrivere:
FRANCO RISPOLI
Nato sotto Mussolini
Vissuto sotto Andreotti
Morto sotto Berlusconi.
Adesso, finito questo pezzo per MicroMega, vado a chiamarlo. Mi sa che è giù. Il fatto di avere nostalgia del futuro non esclude un certo malessere del presente. Credo che stasera andremo da Cesaretto, o come diavolo si chiama ora. Voglio chiedere a Franco perché, un'ora fa, mi ha fatto recapitare una busta anonima con una lettera che Flaiano scrisse alla figlia il 25 luglio '43.
Cara Lelè,
questa è la prima lettera che ti scriviamo per dirti che oggi il tiranno d'Italia è stato mandato a spasso. Si chiamava Mussolini. Un giorno tu ti sorprenderai quando racconteremo quello che si è sofferto in ventun'anni di miseria morale. Non vorrai crederci. E forse ci rimprovererai dicendo: Perché non l'avete cacciato prima? Lelè, era impossibile. (...) Mai, nemmeno nelle epoche più tristi della storia del mondo, s'era visto un tale spiegamento di forze contro gli innocenti. Una parola e si andava dentro. Due, e si veniva uccisi. Migliaia di persone hanno pagato con la vita il lusso di un'opinione diversa da quella ufficiale. Ma ora è finita, grazie a Dio! E tu potrai essere educata libera da ogni nefasta influenza fascista. Non sappiamo quel che l'avvenire ci riserba. Ma una cosa è certa: Dio si è svegliato.
Caro Franco, in un certo senso oggi è Lelè, siamo noi, i figli, nuovi padri, a dovervi spiegare che cos'è improvvisamente successo. Ma stasera no, proprio non saprei dirvelo, e di tutta questa mediatica chiacchiera politica, io non ne posso più. L'unica reale spiegazione che trovo è la caduta della compassione. La compassione, quella infinita solidarietà intrecciata tra memoria e futuro, in un oceano di ricordi e speranze condivise, che ha permesso alla vostra generazione di rovesciare una dittatura. La compassione che oppone le vite come la tua, le vostre, al primato del nulla, e le giustifica, le avvalora. Mentre quello che ora vedo in Italia è il trionfo dell' Io che non può essere e non sarà mai vera democrazia, mai Noi. Noi, credo, siamo diventati uomini senza compassione. Per questo, Dio sembra essersi di nuovo addormentato.
Diego Cugia La primavera di MicroMega n. 6
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