MAURIZIO MAGGIANI

Il Secolo XIX 15/2/2001

Non sempre gli scienziati sono anche sapienti



 

Il nostro è un paese arretrato, profondamente arretrato. Lo è almeno rispetto ai comuni parametri che definiscono il progresso sociale, culturale e politico di un paese occidentale e prospero: siamo ricchi da far invidia e ignoranti da far pena. Possiamo ostentare dei primati al riguardo. Il più alto numero di televisioni commerciali e il più basso numero di lettori, la maggiore quantità di automobili e il minor rispetto delle normative europee sull’ambiente, due cellulari ogni famiglia e un abbandono scolastico ogni due., il costante aumento delle prebende dei parlamentari e la costante diminuzione dei fondi per la ricerca. L’arretratezza ha le sue immagini. Il leader di un partito prossimamente di governo che premia la bellezza di una fanciulla "dai caratteristici tratti somatici padani".

La folla degli abusivi della Valle dei Templi che si oppone all’esecuzione della legge innalzando ritratti di Padre Pio; il primo ministro, noto come Dottor Sottile, che vuole favorire i giovani volenterosi regalando loro i vecchi computer del ministero del Tesoro; il direttore di una rete televisiva che spiega alla Commissione di Vigilanza che cos’è la satira.

Gli scienziati che manifestano per le strade in nome della libertà della scienza. E’ questa è l’immagine di arretratezza più vivida che oggi possiamo vantare. Una cosa del genere poteva accadere in Europa, e non è accaduta, nell’Inghilterra di Cromwell o nella Francia del re centocinquanta, trecento anni or sono.

Da noi è successa nell’inverno dell’anno 2001. Da vergognarsi come ladri; per questo paese e per i suoi scienziati. Lo stato di frustrazione della ricerca in Italia è arcinoto da decenni ed è spunto di salaci battute nella comunità scientifica internazionale. Le migliori nostre menti se ne vanno all’estero. Se ne vanno ad imparare e fare qualcosa di buono, gratificate da un sistema meritocratico a noi ignoto. Da noi la ricerca pubblica è stretta nelle mani della baronia accademica, intenta a riflettere sul tema epistemologico del potere e del suo mantenimento.

I giovani ricercatori, o sono funzionali alle architetture baronali o hanno vita ben grama. Sloggiano appunto. Quelli che tornano, lo fanno di solito per godersi un meritato riposo nel paese del sole. O per sposare la più bella della città, come ha fatto un mio amico genetista: neanche i genetisti son tutti di legno.

E sono in particolare i genetisti oggi a protestare per la libertà della loro ricerca.

Visto che continuiamo a dire che i migliori se ne sono andati, logica vorrebbe che questi protestatari, i rimasti, sono i peggiori. Ma non è vero. Tra i promotori della protesta ci sono nomi eccelsi e indiscutibili, anche nomi di Nobel. Riconoscimento che, sia detto per inciso, se lo sono guadagnato con il loro lavoro di emigranti. Questi scienziati hanno ragioni da vendere, naturalmente. Tutti gli scienziati di questo paese avrebbero ragioni da vendere a rivendicare più libertà. La libertà si esercita avendo i mezzi per praticarla e il ruolo per affermarla, tutta roba di cui deficitano cronicamente.

Perché non spicchino a capo della protesta nomi di etologi, fisici delle particelle, antropologi, glottologi, astrofisici – tutte scienze altrettanto importanti per il genere umano – è un mistero, a meno che questi ultimi non siano talmente depressi da non avere manco più la forza di uscire per strada. Certo oggi non ci sono vescovi che vanno in giro per le specole a spaccare telescopi, ma ce ne sono invece che impongono una loro sottilissima dottrina sulle origini della vita come principio universale a cui far attenere il paese intero, in primis i ricercatori di genetica.

E ci sono ministri che, volendo affermare la loro incontaminata verdità, e non avendo a disposizione eccelse conoscenze nel settore genetico, ci danno dentro con l’accetta, tanto per non sbagliare.

E infine è la genetica il cuore pulsante del business del millennio, ed è naturale che gli animi, anche i più nobili, si scaldino un tantino vedendo depresse assieme alle capacità anche lo possibilità. Cionondimeno, avendo ascoltato le sante ragioni degli scienziati, qualcosa nelle loro parole mi turba. Il Nobel Levi Montalcini, ad esempio, si è più che generosamente spesa per affermare l’immacolata natura dello scienziato, della "comunità dei sapienti" come lei dice.

C’è una certa differenza tra scienziato e sapiente e non è detto che le due qualità debbano andare per forza di natura assieme, così come è noto che si possa essere sapienti anche senza essere scienziati. Mi turba l’affermazione di superiorità ed estraneità che sottende a ciò.

Uno dei più grandi genetisti del secolo è stato il dottor Mengele, scienziato emerito ma non sapiente, né, tantomeno, di qualità spirituali e civili superiori. Le sue ricerche, tanto importanti quanto criminali, furono sostenute dal potere nazista, ma anche da grandi aziende, le stesse aziende che oggi sostengono la ricerca di ben più sapienti scienziati. Almeno si spera.

Se la ricerca pubblica necessita di maggior liberà, non è detto che la trovi in quella privata. Il controllo – sapiente – della comunità della conoscenza e i suoi sviluppi, è un tema affrontato e superato assieme dagli scienziati e dai cittadini del mondo intero il giorno dopo Hiroshima. Maggiore libertà è maggiore responsabilità; verso Dio, se così piace, e verso gli uomini obbligatoriamente. Né la scienza né chi fa ricerca possono godere di extraterritorialità. Questa sarebbe, propriamente, la rivendicazione arretrata degli scienziati di un paese arretrato.

Maurizio Maggiani – IL SECOLO XIX – 15/2/2001