Il Secolo XIX 3/3/2001 |
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Il circo sovrasta le canzoni |
Che ci faccio io qui? Già Languo in una stanza dalbergo seppellito in una discarica di kleenex madidi dei miei fluidi senza nemmeno la forza di tirare su la borsa e tornarmene a casa. Dal televisore più in basso sul primo canale, la signora Carrà si riprende dalle scovolgenti emozioni dal Io non ci sto io non ci sto, pocanzi esalato dal promettente signor Meneguzzi, raccomandando le delizie di un automobile di mirabile fattura. Lo fa con il brio di chi legge lelenco delle vittime di un disastro aereo.
Forse la signora è stanca, forse la casa produttrice non ha pagato il supplemento "radioso entusiasmo". Il tono di mezzo straniamento non mi induce allimmediato acquisto via Internet del prestigioso modello. Male: risparmiate magari sui freni, ma non sulla pubblicità, dico io.
Nella fragile lucidità del gripe influenzale mi rendo improvvisamente conto che la signora Carrà non solo parla italiano in modo esemplarmente corretto, ma lo fa anche senza alcuna inflessione particolare tale da far presumere una specifica provenienza etnica, o culturale, o umana.
E litaliano delle segreterie centralizzate, dei centralini automatici, dei traduttori simultanei dal giapponese. Un italiano elettronico con un dizionario standard compreso delle esclamazioni di base. Sintetizzate non proprio alla perfezione, ma le softerhouse ci stanno ancora lavorando. Constato peraltro che è lunica la Carrà tra i parlanti sopra, a lato e dietro il palco, ad usare la lingua italiana e non un dialetto o gergo specifico.
In una manifestazione canora così esposta allinsorgenza nella gioventù di passioni violente e incontrollabili che si sta svolgendo inopinatamente a ridosso dei ben noti tragici avvenimenti delittuosi, la signora Carrà è la sola presenza che può placare tensioni e umori. Una presenza che può tarpare qualsiasi pulsione, benigna o maligna che sia. Il tipo di emozioni che evoca è del genere suscitato dal grazie e arrivederci della macchinetta dispensatrice di scontrini al casello autostradale.
Ma che ci faccio io qui? Sono venuto a sentire canzoni e ne ho sentite poche. Non che non ce ne siano di canzoni: ce nè, ce nè, e ho anche imparato a canticchiarne una o due. Nonostante tutto il Paese esprime ancora almeno unombra di nazionale e di popolare. E che se alla radio le canzoni sono tutto, qui sono il meno, sovrastate da tutto il resto. Il resto che è fatto di pioggia, pozzanghere e Auditel; grugni di latta, pugni di pappa e sorrisi di cera; scemenze in backstage, cartacce per terra, assessori in platea; guardie di stato, guardie giurate, viceguardie giurate e assistenti volontarie delle guardie; sgomberate signori, a bona!, che fico! Agenti, agenzie, fregnoni e sedicenti esclusivi, dive dallanca divelta, divazze in prolasso mammario; pensatori dellocculto microfonati, digitalizzati, frattalizzati. Laltro che mi ridotto, in questalbergo marino molto fuori stagione, febbricitante e spossato.
Non è un posto da dilettanti Sanremo; qui ci vogliono i meglio professionisti, gente di zona di guerra, immuni alla malaria, con figli a carico da dover stringere i denti e andare avanti. Gente che se la signorina Megane dice che vorrebbe cantare, riesce perfino ad abbozzare.
Maurizio Maggiani IL SECOLO XIX 3/3/2001