Il Secolo XIX 03/06/2001 |
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Sabato 2 giugno, festa della Repubblica. Ho visto la parata militare, alla televisione naturalmente. Quanti anni erano che non mi capitava? Venti, trenta, non ricordo. Da bambino andavo a vederla ai giardini: ogni città aveva la sua sfilata.
Agli orfani del collegio Garibaldi mettevano la divisa grigio topo da militi ignoti, la stessa divisa che indossavano per i funerali, e con la bandierina tricolore in mano li piazzavano in prima fila, vicino all'ammiraglio e al sindaco. Li invidiavo, naturalmente, e invidiavo anche i marinai con le ghette e il moschetto e i carabinieri sul cavallo impennacchiato; io come tutti gli altri bambini.
Il maestro Marcucci teneva per tempo la sua lezione sulla Repubblica e ci spiegava che se non avevamo nessuna regione per invidiare gli orfani dovevamo averne di sacrosante per invidiare i soldati che erano lì a difendere la patria e i suoi ordinamenti. Soprattutto quelli che per questo ci avevano già lasciato la pelle. Poi ci faceva cantare l'inno di Mameli, e se eravamo abbastanza bravi la mattina della sfilata andavamo a ingrossare il coro del Patronato Scolastico.
Niente di così prestigioso come gli orfani del Garibaldi, ma pur sempre un ruolo di rilievo, anche perché, a uno sì e uno no, toccava la bandierina.
Di bandiera io ne avevo una grande, di stoffa, e il 2 giugno mio padre la stendeva alla finestra. On era il solo: molte finestre del centro città avevano la bandiera quel giorno. Tutte bandiere repubblicane tranne una, quella del farmacista, che era sabauda e non arrivava mai intatta la sera. Dalle stesse finestre qualche settimana dopo pendevano le più belle coltri di casa per la processione del Corpus Domini. Quella di casa mia non era mio padre ad appenderla, ma la mia vecchia nonna. Libera chiesa in libero stato in libera finestra di libera famiglia.
A diciotto anni ancora da compiere ho smesso di invidiare i carabinieri. E' stato quando me li sono trovati davanti che si esercitavano alla difesa della patria cercando di manganellarmi a sangue solo perché manifestavo contro la guerra del Vietnam. Di lì in poi, per un periodo non breve, ho provato una certa disaffezione per le parate e un certo qual dubbio sulle istituzioni repubblicane. Complice il fatto che sui palchi d'onore, impettiti e sfrontati, si sono esibiti a lungo i peggio nemici della Repubblica: militari golpisti e sovvertitori, politici complici, istituzioni colluse.
E poi, negli anni della normalizzazione, semplicemente non ci ho fatto più caso. E come me l'Italia intera. Credo che le sfilate siano state abolite. Di certo lo è stata la Festa. Per decreto. La Repubblica doveva fare così schifo agli uomini delle istituzioni che dovevano difenderla e promuoverla che evidentemente sembrò loro fuori luogo celebrarne la festa. In compenso fu mantenuta la festa dell'Immacolata Concezione. E il Paese tutto festeggia solennemente l'8 dicembre il fatto che la madre di Cristo sia stata concepita dai suoi genitori senza l'inoculamento del peccato originale. Azzarderei che neppure l'onorevole Casini, pio mariano, è al corrente della dottrina su cui si fonda quel dogma cattolico.
A proposito di pii mariani, mi sovviene solo un altro caso di alta carica istituzionale che termina il suo discorso di insediamento invocando la Madonna: Lech Walesa, Polonia, 1992. Non per portare jella, ma la carica propulsiva di quell'invocazione non ha impedito che l'uomo si consumasse in breve tempo nella decadenza e nella corruzione.
Ma ieri mattina l'onorevole Casini festeggiava anche lui la Repubblica e la sua bandiera; quella tricolore senza nient'altro sopra, né corone, né santini. Perché ora è tornata la Festa e con la festa la parata. Non ho gusto per la retorica ed è da un pezzo ormai che non invidio più gli orfanelli e i soldatini. Le parate militari del resto le hanno inventate i romani per celebrare i trionfi della loro Repubblica e del loro impero e, oggi come oggi, non mi sento un granchè trionfalista per quanto concerne la mia di Repubblica. Quando vedo sfilare gli eroici corpi di pace ho presente quali sono stati gli esiti nefandi della guerra del Kossovo, definita solo ieri santa e sacrosanta, e quando ammiro i robot adibiti all'umanitarissimo compito dello sminamento, mi ricordo che le mine le ha costruite e vendute l'industria di questo paese, industria che mai come oggi ha così tanto bisogno di sostegno.
Cionondimeno constato il fatto puro e semplice che si festeggia la mia repubblica e che sono arcicontento di ciò. Se questo paese è così civicamente e spiritualmente povero da aver bisogno di emozioni infantili per riconoscersi in un'istituzione, nell'Istituzione più grande, lo vorremmo privare di ciò?
Se per impedire che l'uomo di fiducia di colui che ha un proiettile pronto per ognuno dei giudici che gli ha rotto i c... diventi ministro della Giustizia, mi tocca cantare anche a me che schiava di Roma Iddio la creò, chi sono io per sottrarmi da così alto compito?
Dio sa se vorrei che tutto questo mi fosse risparmiato, se vorrei godermi la festa della Repubblica nello stile di tutti gli altri cittadini europei; ma oggi, in difesa dei principi fondanti della Repubblica, quelli scritti e sanciti, quelli tragicamente negletti, sono disposto a stringermi a coorte, son pronto alla morte. Glielo giuro, Presidente.
Maurizio Maggiani IL SECOLO XIX 03/06/2001