Il Secolo XIX 08/06/2001 |
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A sentire il misurato comunicato dei Nas che hanno violato nel cuore della notte le virginali stanze dei ciclisti, la scena era insieme orrida e grottesca, tragica e comica, come aver messo assieme l'Inferno illustrato dal Dorè con certe ipervignette di Altan; il tema dominante comunque era quello tipico dei due autori: il Disfacimento. Gente che si butta dalla finestra, una siringa sulla testa di un agente, giovanotti intubati in unità coronariche da asporto; bocce e boccette di eccitanti, antidolorifici, narcotici, anabolizzanti e ignoti liquami, ficcate ovunque; siringhe grondanti ormoni infilzate sotto i materassi e nei più subdoli recessi.
E sangue, soprattutto, sopra ogni cosa sangue. Sangue di atleta marcio, sangue per atleta puro e avvantaggiato. Perché è eminentemente il sangue che è in gioco quando si corre il Giro d'Italia. O il Tour, o la Vuelta. E' noto che nessuno biologo si sentirebbe di accreditare alla specie umana un campione di sangue estratto da un corridore impegnato in una gara di lunga durata.
Dicono che sia stata una notte di vergogna per lo sport. Non credo; lo sport è da un po' che non sa più cos'è la vergogna e, nella fattispecie, dubito che ci sia qualcuno tra i molti membri del ciclotruccato che si vergogni di qualcosa. Sì, di non vincere. Vale per lo sport professionistico, ma non solo. Si sa che molti ciclisti dilettanti sono sotto contratto per fare da cavia per conto da cavia per conto dei professionisti nella sperimentazione di nuove sostanze avvantaggianti. Il punto cruciale per chi vuole vincere è lì: non è questione è solo nel trovare doping non ancora inserito nelle tabelle ufficiali. La scienza che anticipa il Nucleo Anti Sofisticazioni.
C'è una decisione da prendere ed è una decisione che non riguarda gli atleti, le società, le federazioni e la polizia. Riguarda noi. Noi che stiamo a guardare e guardando teniamo in moto la baracca e il suo business. Vogliamo vedere i ciclisti andare a 40 all'ora su per lo Stelvio? Vogliamo vedere i calciatori giocare 180 partite l'anno? Vogliamo goderci l'emozione dei 100 metri in 8 secondi? Bene, se è questo che vogliamo l'industria del ramo non deve far altro che metterci a disposizione chi può farlo. E possiamo farlo solo dei mutanti drogati. Se invece ci piacciono Coppi, Mazzola e Berruti, Allora basta un po' di simpamina, qualche bistecca e tanto sudorino. Cosa scegliamo? Personalmente temo che le moltitudini dei consumatori di spettacolo sportivo manco se lo ricordano il modo di fare sport di quei tre e delle loro generazioni: sempre che qualcuno gliene abbia parlato.
Non si tornerà indietro: è la forza del mercato. E siamo noi che faremo in modo che la macchina continua a girare.
Allora, per piacere, basta con l'intermittenza ipocrita della morale dei farisei. Del resto, pensiamoci bene. Quanti padri di famiglia nel mondo sono stati costretti ad andare a lavorare a Cengio, in stati miniera, nei poli chimici, nelle centrali atomiche da bonificare, con la certezza di prendersi il cancro, l'asbestosi, la leucemia? Tanti, milioni. Per un pezzo di pane da portare a casa. Se dei giovanotti decidono liberamente di diventare dei mostri candidati alla morte precoce per tirare su un paio di miliardi da godersi nel breve periodo, dov'è il problema? Solo in noi, se poi è un problema un questione di morale e moralità, una faccenda di principi.
Pensiamo sinceramente che l'uomo possa ancora onestamente raggiungere i traguardi che può imporsi? Ci appassiona di più una competizione leale o una senza esclusione di colpi e di mezzi?
Non parlo soltanto di sport, naturalmente. Pochi giorni fa una mia amica è risultata inidonea in una selezione di personale per Mediaset perché lei non sarebbe in grado di pugnalare alle spalle il suo migliore amico se questo fosse necessario per raggiungere l'obiettivo, ciò che la nostra impresa invece pretende.
Quest'anno i corridori, stressati per la brutta nottata appena trascorsa, non saliranno la Cima Coppi. E' un peccato; in quarant'anni credo di non essermela mai persa. Su quella cima una volta ci è arrivato primo anche Del Rio, il ciclista della mia infanzia. Si allenava su per la Foce portando a casa una damigiana piena di vino sul manubrio. Il suo grosso problema non era farcela, ma farcela senza bersi tutti il vino. Si dice che per farlo tirare gli mettessero la simpamina dentro il panino con la cotoletta e la marmellata. Arrivò sulla Cima primo, ma alla fine della tappa con una ventina di minuti di ritardo: la simpamina aveva il difetto che mollava di colpo. Fino a quel punto riesco ancora a divertirmi, anche perché Del Rio è ancora vivo, più in là non ce la faccio. Ma nell'ambito del bacino dei consumatori appetibili per l'industria dello sport io sono un marginale, uno che non potrà mai creare ricchezza, uno che fa piangere la new economy. Uno che non pugnala alle spalle nessuno. Un conservatore.
Maurizio Maggiani IL SECOLO XIX 08/06/2001