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la scrittrice francese Eliette Abécassis, da pochi giorni
in libreria con il nuovo romanzo: Clandestino (Marco
Tropea, pp. 125 pagine, 10). Già autrice, fra gli
altri, di Ripudiata, da cui il regista israeliano Amos
Gitai ha tratto la sceneggiatura del film Kadosh e di Mio
padre sul difficile e conflittuale rapporto tra un padre e
una figlia alla ricerca della propria identità e dopo il
successo di Qumran, thriller a sfondo storico-teologico.
Eliette Abécassis, classe `69, docente di filosofia
all'Università di Caen, è nata a Strasburgo, ha
origini ebraiche sefardite. Clandestino racconta
dell'incontro fatale fra un uomo e una donna in viaggio sullo
stesso treno che riporterà lei verso casa e lui, immigrato
irregolare senza biglietto né documenti, verso la speranza
di una vita migliore.
Tutto si svolge in una sola notte,
scatta tra loro una forte attrazione che spingerà lei ad
aiutarlo e a difenderlo dei piccoli e grandi arbitrii che un sans
papier è normalmente costretto a subire all'interno
della fortezza europea. Apparentemente diversi, i protagonisti si
riconoscono come estranei al mondo, entrambi in fuga. Lui dalla
polizia, lei da una vita grigia ed insoddisfacente. Personaggi
anonimi, ai quali è negato persino un nome, che si muovono
in una stazione ferroviaria di una qualunque città,
indefinita, in un romanzo che si presta ad una valenza
universale, una storia che potrebbe accadere a chiunque e in
qualunque paese europeo.
Nessun documento per lui,
guardato con sospetto e disprezzo, presenza scomoda per la sua
diversità: Sul volto era impresso il marchio dello
straniero. Non gli andava di sentirsi diverso. Avrebbe voluto
essere anonimo nella folla... è diverso nel loro sguardo.
Lo sarà sempre. Un migrante, dunque, che vive con
sentimenti alterni tra rabbia e vergogna lo sguardo inquisitorio
degli altri. E quando accarezza l'idea di sedurre e conquistare
la sua casuale compagna di viaggio, si ritrae quasi con vergogna
per aver coltivato un desiderio che lui stesso reputa
irraggiungibile. La diversità e il rifiuto da parte degli
altri sono una ferita aperta, perché sa che «non lo
voleva nessuno. Nessuno l'avrebbe mai voluto. Gli avrebbero
sempre detto che era altro, diverso».
Nei giorni
scorsi abbiamo incontrato la Abécassis, a Bologna per la
rassegna La parola immaginata, letture sceniche con
autori, musica dal vivo ed immagini.
Come mai ha scelto
di raccontare la storia di un Clandestino...
Per
diverse ragioni, per parlare in forma romanzata di un problema
che sta diventando uno dei maggiori problemi del nostro tempo e
delle nostre società europee, l'immigrazione di persone
che partono da altri paesi e arrivano da noi e del problema
politico e sociale che questo comporta.
Come sta
vivendo la Francia questo fenomeno?
In maniera
complessa e problematica, perché si cercano soluzioni, ma
si finisce per escludere i clandestini o metterli in campi, come
è accaduto in Francia nel nord del paese, oppure rispediti
in campi nei paesi maghrebini.
Non è un caso che
i due personaggi del romanzo non abbiano un nome e che la storia
si svolga in un paese indefinito. Lo ha fatto per attribuire ai
protagonisti un senso di anonimato assoluto e mostrarci un
clandestino qualunque?
Sì. E' stata una scelta
voluta non inquadrare il racconto in maniera precisa, perché
ritengo che questa storia avrebbe potuto svolgersi oggi in un
qualunque paese europeo. Ognuno potrebbe ambientarlo nel paese
che preferisce.
Ma lei cosa intende per clandestino?
Chi è senza documenti o tutti quelli che si sentono tali
anche nel loro paese?
Siamo tutti clandestini.
Clandestini del cuore. Tutte le persone che hanno un altrove e
qualcosa di estraneo a loro stessi, in questo senso tutti noi lo
siamo. I due personaggi sono clandestini, la donna lo è
nei confronti della sua vita, perché non vive la sua
esistenza pienamente, come vorrebbe. E' l'incontro di due
clandestini. Chiunque può riconoscersi, anche chi è
ben integrato nella società, se si sente clandestino alla
sua stessa vita. Ho voluto anche mettere nero su bianco il nodo
irrisolto dell'identità nelle società in cui c'è
un buon sviluppo economico. Molti degli abitanti dei paesi
europei si domandano spesso chi sono, qual è il loro
passato e neanche dove stanno andando.
Cosa pensa della
decisione di Sharon di ritirare i coloni dalla striscia di
Gaza?
Penso che sia una risoluzione da accogliere come
un manovra verso la pace.
Intervista di Linda
Chiaromonte IL MANIFESTO 12/12/2004
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