JORGE AMADO |
Intervista
a Jorge Amado 1998 |
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AVVENTIMENTILIBRI
1995
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Intervista
a Jorge Amado
uno scrittore laureato dalla Sorbonne ma dimenticato
dal Nobel
di Elena Grecchi
Parigi
23 Marzo 1998: Jorge
Amado
riceve la laurea honoris causa alla Sorbonne. In omaggio al grande
scrittore, erewhon pubblica una sua intervista inedita rilasciata a
Parigi, nel Maggio 1989.
Per
questa intervista prenderò le mosse dalla recente "innovazione
in materia di romanzi", lanciata nel suo ultimo libro: la
"corrispondenza coi lettori". Sarà quindi su tale
romanzo, "O Sumiço da Santa", che verteranno le mie
prime domande:
Nella sua "corrispondenza",
lei allude alla "senilità" e "rimbambimento"
dell'autore, e tutti sappiamo che la diagnosi è del tutto
fuori luogo. Perché l'ha fatto? C'è in questo una punta
di polemica? E diretta a chi?
JORGE AMADO - Senilità?
Rimbambimento? Senilità e rimbambimento
dell'Autore-personaggio, che entra in scena in vari dei miei romanzi
(In Tieta, per esempio) e che dialoga e a volte discute
coi lettori. Nel "Sumiço" l'autore è spesso
presente, si può dire che esponga ai lettori tutta la
struttura del romanzo, la sua costruzione. Ma se "senilità"
e "rimbambimento" sono quelli dell'Autore-personaggio, non
nego che il personaggio autore abbia molto in comune con me e che,
parlando di rimbambimento eccetera si tenda a prendere un po' in
giro, in modo più scherzoso che polemico, certa critica
sussiegosa, modernosa, di conventicola, molto presente in
Brasile, per la quale non esiste, come espressione letteraria degna
di nota, che le "dernier cri". Una critica dogmatica che si
stima inappellabile ed è solo ottusa.
Lei si
descrive come un autore "vecchio d'età e di battaglie
perdute". Eppure, considerando la sua vita e la sua opera,
l'impressione che se ne ritrae è che, in primo luogo l'autore
non sia poi così vecchio - forse anziano solo per quanto
riguarda i dati anagrafici - e che, inoltre, se ha perduto qualche
battaglia non ha certo perso la guerra. Lei è conosciuto e
amato (se bene o male amato è un altro discorso) in tutto il
mondo; i "dati del teorema" cominciano ad essere modificati
secondo quanto da lei auspicato; un certo umanitarismo comincia a
insinuarsi nei rapporti fra i popoli e fra la gente; il suo paese ha
raggiunto una nuova forma di democrazia. Dove, allora, si considera
sconfitto, e da chi?
JORGE AMADO - Ciò che l'autore
dice in merito alla propria vecchiaia, battaglie perdute eccetera, lo
dice sempre in tono scherzoso, facendosi beffe dei critici dogmatici
di cui sopra. Nella mia attività letteraria, nel corso di
oltre cinquant'anni di lavoro - il duro e affascinante lavoro del
romanziere - credo di aver seguito una certa evoluzione, che da
posizioni iniziali strettamente ideologiche mi ha condotto a una
posizione umanista in cui i pregiudizi di ogni sorta, ivi compresi
quelli ideologici, sono ampiamente superati.
Non mi considero
sconfitto. Se vengo combattuto, contestato, a volte negato, è
proprio da parte di coloro che non ammettono che si possa pensare
liberamente, in modo indipendente. In cambio, un immenso pubblico mi
apprezza, sia in Brasile che fuori. Ho un posto a tavola ovunque io
vada, ho dovunque degli amici, gente che ama i miei libri.
Se
ad apparirle una sorta di sconfitta è il fatto che la critica
"non si polluisce dal piacere" alla lettura dei suoi
"scartafacci di linguaggio povero, vuoti di idee, popolareschi",
allora le chiedo:
a) Non le pare che questo mancato godimento da
parte della critica sia la riprova che la sua opera letteraria - come
tutta la grande, autentica letteratura - è fatta per fare
appello al cuore della gente e non alla speculazione della critica
accademica?
b) A quale critica allude in particolare, viste le
recensioni entusiastiche che ovunque salutano la comparsa dei suoi
nuovi romanzi?
JORGE AMADO - Ripeto che non mi sento
sconfitto, in nessun campo. Che una certa critica non ami i miei
libri non mi disturba affatto. Scrivo per essere letto, di preferenza
dal popolo, per "parlare al cuore della gente", come dici
tu. Che esista una certa inteligentzia che ripudia la mia opera è
la prova migliore che riesco a toccare "il cuore della gente".
Non c'è mai stata, intorno ai miei libri, una critica
unanimemente favorevole: sono uno scrittore discusso. E meno male,
perché l'unanimità è sempre pericolosa, è
una cosa negativa.
Fra le cause della reticenza di alcuni
critici in merito alla sua opera, vorrei elencarne alcune,
chiedendole quale - o quali - a suo avviso sono quelle che motivano
precipuamente la freddezza di certi critici:
a) la tendenza
generalizzata a una certa forma di categorizzazione, per cui non si
ammette che un'opera fondamentalmente seria possa anche divertire;
b)
il rifiuto di un messaggio considerato più politico che
umano;
c) la libertà con cui nella sua opera sono trattati
sesso ed erotismo;
d) la superficialità di giudizio che
impedisce di cogliere dietro al "linguaggio povero" la
consistenza di una cultura profonda ed eclettica;
e) lo snobismo
letterario di chi, per principio, non è disposto ad esaltare
che opere "modernose, seriose e noiose".
JORGE
AMADO - A mio avviso tutte queste ragioni hanno un peso nelle
restrizioni che taluni critici fanno rispetto alla mia opera. Credo
tuttavia che la ragione fondamentale ne sia il fatto che i miei libri
esprimono oggi una posizione di umanismo scevro di qualsiasi
compromesso ideologico: non appartengo a conventicole, scuole o
correnti di alcun genere. Ecco la ragione principale.
A
proposito di letteratura moderna - e modernosa, seriosa e noiosa -
esiste qualche titolo in particolare che etichetterebbe con questi
tre aggettivi?
JORGE AMADO - Ne esistono parecchi, ma
preferisco non citarne alcuno. Rispetto il lavoro degli altri
scrittori, anche quando non corrisponde ai miei gusti
letterari.
Cambiando argomento: molti dei suoi romanzi,
specie quelli che la critica include nel cosiddetto "ciclo
baiano", mettono in scena personaggi ed eventi reali della vita
di Bahia. A parte la registrazione di musiche e danze per "Le
Grand Echiquier" di Jacques Chancel, c'è nel "Sumiço"
qualcos'altro che sia stato estrapolato dalla cronaca della città?
Per esempio, le due esposizioni - quella d'Arte Religiosa di Bahia, e
quella del Banco do Desenvolvimento - sono state realmente presentate
al pubblico, come si sarebbe tentati di credere, oppure sono una
creazione della sua fantasia? E se si tratta di eventi reali,
trasfigurati da quella sua personale polvere del pirlimpimpim, è
lecito concludere - come suggerisce lo scrittore Antonio Olinto - che
la sua opera narrativa, realistica ma impregnata di elementi magici,
s'inquadri nel cosiddetto "realismo magico"?
JORGE
AMADO - Nei miei libri io cerco di ritrarre la realtà
brasiliana, di ricreare la vita del popolo; i temi che tratto sono
presi dalla realtà, i miei personaggi sono colti in mezzo al
popolo. Nei miei romanzi a volte compaiono eventi reali, vi si
aggirano personaggi reali. Nel "Sumiço da Santa"
questo avviene con una certa frequenza. Oltre alla registrazione per
"Le Grand Echiquier", vari altri episodi sono citazioni
estrapolate dalla cronaca della città, ed esistono, accanto a
Chancel, vari altri personaggi che sono in realtà persone in
vista nel mondo baiano: Carybé per esempio.
Nessuna delle
due esposizioni menzionate è stata effettivamente presentata,
ma tutti gli artisti citati fra gli espositori del Banco do
Desenvolvimento (e alcune delle opere cui si fa allusione) sono
reali, e di grande peso nella vita artistica del Brasile.
Non
apprezzo particolarmente gli "ismi" (e del resto il
realismo magico non è una novità in letteratura), ma
posso affermare che la mia opera si ispira fondamentalmente alla
realtà baìana, estremamente ricca di elementi
magici.
Per quanto riguarda i personaggi, non è
difficile notare nei suoi romanzi la presenza ricorrente di certe
figure che, sotto nomi diversi, in situazioni analoghe o differenti,
appaiono a più riprese, come se lei portasse loro un affetto
particolare che le impedisce di separarsene. Detto questo, potrebbe
lei affermare, come Italo Svevo, di non avere scritto in realtà
che un unico romanzo? Oppure si tratta di una serie a puntate, di un
lungo feuilleton, come lei spesso ama definire le sue opere? E,
sempre in materia di letteratura popolare, quale la ragione dei suoi
frequenti clins d'oeil verso i libretti di ballate popolari?
JORGE
AMADO - Temi e personaggi si ripetono, in molti dei miei romanzi.
Mastro Manuel e Maria Clara, per esempio, che appaiono per la prima
volta in Jiubiabá, un romanzo del 1935, e
ritornano in vari altri miei libri, ricompaiono nel "Sumiço
da Santa". Sono personaggi, come altri, cui porto un grande
affetto: in realtà, è vero, potrei dire, come Svevo, di
avere scritto un unico romanzo.
Sono ripetitivo; credo anzi che
questa sia una caratteristica della mia opera, dovuta proprio al
fatto che essa ricrea la vita popolare baiana. Quanto ai miei
ripetuti richiami al feuilleton e alla ballata popolare, essi servono
a sottolineare e dimostrare l'intimo legame in temi e strutture,
esistente fra i miei libri e la letteratura popolare.
Fra i
personaggi dalla presenza ricorrente nei suoi romanzi ci sono varie
figure di uomini di Chiesa - i buoni pastori, i cattivi pastori -:
proprio come nei Promessi Sposi. Se le motivazioni di Manzoni,
scrittore cattolico con inclinazioni gianseniste, sono estremamente
chiare, un po' meno lo sono le sue. A meno che la sua esperienza
giovanile di allievo dei Gesuiti non le abbia lasciato latente un
interesse particolare, una sorta di perplessa curiosità, nei
confronti degli ecclesiastici. E, per quanto riguarda la sua
personalità, ritiene lei di dovere qualcosa ai Gesuiti della
sua giovinezza?
JORGE AMADO - La Chiesa Cattolica, in
Brasile, è profondamente divisa - il fatto è
indiscutibile, sarebbe sciocco negarlo. Da un lato, parte del clero e
buona parte delle autorità ecclesiastiche continuano ad agire
e a predicare secondo la dialettica di una Chiesa a servizio delle
classi dominanti. Dall'altro lato, parte del clero e una minoranza di
autorità ecclesiastiche agiscono e predicano in difesa dei
poveri, della stragrande maggioranza del popolo brasiliano diseredato
e oppresso, rompendo la tradizione di una Chiesa da secoli alleata
dei ricchi. Non essendo io cattolico - non professo alcuna religione,
sono un materialista - non mi è lecito intervenire in
questioni dottrinarie; posso però constatare, come faccio nei
miei libri, e soprattutto nell'ultimo, che il clero cattolico delle
comunità di base e della teologia della liberazione si è
mobilitato a fianco del popolo, contribuendo in modo attivo e a volte
eroico alla lotta per la soluzione dei nostri gravissimi problemi
sociali e per una vita più decente per i poveri. Questo clero
merita tutto il mio rispetto e il mio plauso. Ho quindi cercato,
nella mia opera, di rendere giustizia a questi sacerdoti, a questi
vescovi.
Ai Gesuiti debbo qualcosa - o piuttosto debbo qualcosa ad
alcuni di loro di cui sono stato alunno. Debbo loro alcune buone
abitudini prese in loro compagnia: quella della lettura per
esempio.
In effetti l'azione più recente della
Chiesa - o almeno quella delle comunità di base che prendono
le mosse dal Concilio Vaticano II sul possesso dei beni della terra -
sembra averla impressionata profondamente.
Questo nuovo volto
della Chiesa, conscia dei diritti dei poveri e degli abusi dei ricchi
è, a suo avviso, la manifestazione di una breve stagione
felice legata alla figura carismatica del Papa Giovanni XXIII,
oppure, malgrado le tendenze controriformiste del Papa attuale, è
destinato a durare contro venti e maree?
JORGE AMADO -
Credo che durerà. Il Papa attuale, uomo politico e a volte
estremamente reazionario, ha colpito più volte sacerdoti e
vescovi progressisti, ma non credo che sia riuscito a smuoverli dalla
loro posizione in difesa degli interessi dei poveri, e probabilmente
non ci riuscirà mai. Nel fare l'elogio di questi sacerdoti,
tuttavia, non posso omettere di rilevare un certo loro dogmatismo che
li spinge a posizioni contraddittorie. Si veda, per esempio, il
dibattito sul celibato del clero.
A proposito di "venti
e maree", espressione tipicamente francese, non le sembra che
con la sua lunga permanenza al Quai des Célestins la lingua di
Voltaire e Montesquieu si sia in certo qual modo insinuata nel suo
linguaggio, dando a questo suo ultimo romanzo un petit piment
français - estremamente gradevole del resto?
JORGE
AMADO - Se a te sembra così, sono d'accordo.
Sempre
a proposito della Francia, paese dove lei è particolarmente
ammirato e dove ha ricevuto dal Presidente Mitterrand la Commenda
della Legion d'onore, i suoi personaggi che "hanno viaggiato"
- parlo in particolare del poeta Antonio Bruno di "Farda fardão"
- mostrano un amore profondo, evidentemente il suo, per la France
éternelle, una vera e propria gola per formaggi vini e bevande
- non escluso il terribile Cassis dolciastro - e, naturalmente, un
debole confessato per la letteratura francese.
I nomi che vengono
in mente, in relazione alla sua opera, sono quelli di Zola e
Maupassant. Trova lei che questi autori le abbiano in effetti
trasmesso qualcosa, che abbiano contribuito in qualche modo alla sua
ispirazione?
JORGE AMADO - L'amore di Antonio Bruno - come
di molti altri miei personaggi - per la Francia è,
naturalmente, un riflesso del mio proprio amore verso un paese al
quale tanto dobbiamo, noi brasiliani. La sua cultura è stata
la luce che ha illuminato il nostro cammino di popolo. Lettore di
letteratura francese, goloso, come dici con ragione, di formaggi e
vini (non però del Cassis dolciastro, che è invece una
delle bevande preferite di Zélia), ho certamente subito
l'influenza della Francia e dei suoi scrittori. Di Zola e Maupassant
(che tu citi), ma anche e soprattutto di Rabelais, che considero uno
dei più grandi scrittori di tutti i tempi.
Passando
a questioni d'interesse più generale: come ha avvertito la
perestroika? Trova che l'evento rappresenti in qualche modo una
risposta a esigenze sue?
JORGE AMADO - La perestroika è,
a mio avviso, una vera e propria rivoluzione, forse la più
importante della seconda metà del XX secolo, e il destino di
tutti gli uomini dell'intero pianeta, la scelta fra la pace e la
guerra, dipendono dalla sua vittoria o sconfitta. Ciò che sta
accadendo in URSS non riguarda solo il popolo sovietico, riguarda
tutti noi e condiziona l'avvenire di tutti, in ogni parte del mondo.
Esattamente come accadde con la Rivoluzione Francese e, nel 1917, con
la Rivoluzione Russa. Stiamo assistendo a una nuova rivoluzione
contro l'arretratezza, l'oscurantismo, la violenza, l'illegalità,
il reazionarismo, la burocrazia, il disprezzo dei diritti dell'uomo,
e a favore dell'individuo.
In posizione diametralmente
opposta, che pensa della recente recrudescenza di fanatismo e
intolleranza che si manifesta un po' ovunque (alludo soprattutto ai
casi Scorsese e Rushdie)?
JORGE AMADO - L'intolleranza
continua a esistere e assume oggi nuove forme, religiose e politiche,
che a volte si mascherano dietro una facciata di sinistra
(conquistandosi così l'appoggio dei mass-media condizionati
dalle sinistre). I due casi che citi sono due buoni esempi. La
condanna a morte di Rushdie è indubbiamente una macchinazione
politica dell'ayatollah, ma è allo stesso tempo un sintomo
dell'esplosione di violenza e d'intolleranza che sta sconvolgendo il
mondo. Stiamo tornando al Medioevo e all'Inquisizione.
Se
ha letto i "Versi satanici", che opinione si è fatto
del libro? Lo trova buono, oppure le è parso
modernoso-serioso-noioso?
JORGE AMADO - Non ho ancora
letto "I Versi satanici", aspetto la traduzione francese,
visto che non leggo l'inglese. Di Rushdie ho letto "I figli
della Mezzanotte", un romanzo che ho trovato bello, importante,
benché non di facile lettura - ma io sono un vecchio
masticatore di romanzi. In sostanza mi è piaciuto. Dello
stesso autore ho anche letto un libriccino sul Nicaragua: anche
quello mi è piaciuto, oltre tutto è piuttosto
divertente.
Sempre in merito ai "Versi satanici":
le pare che l'accusa di blasfemia abbia un qualche fondamento? Non
abbiamo illustri precedenti di libri altrettanto se non più
"blasfemi" che quello di Rushdie, pubblicati senza che
nessuno se ne inquietasse né andasse a inquietare il prossimo?
Ad esempio: fra "Giuseppe e i suoi fratelli" e i "versetti"
di Rushdie, quale a suo avviso si può considerare più
blasfemo?
JORGE AMADO - La blasfemia può esistere,
nei libri citati. E con ciò? uno scrittore ha il diritto di
esprimersi liberamente, anche di essere blasfemo se ne ha voglia, e
non può in nessun modo essere censurato né condannato
per aver esercitato questo suo diritto.
Un'ultima domanda
su questo argomento: non trova che Khomeini col suo intervento abbia
ottenuto il doppio effetto di moltiplicare la vendita del libro di
Rushdie, e di svilire l'Islam?
JORGE AMADO - Con la sua
azione Khomeini ha ottenuto esattamente ciò cui mirava:
rafforzare i propri poteri dittatoriali, allontanare dal governo del
suo paese i moderati. In contropartita, condannando a morte l'autore,
ha favorito il successo editoriale del libro. Quanto all'Islam,
nessuno è in grado di svilirlo. Esso fa parte dei grandi
movimenti dell'umanità, e questo al di là di Rushdie,
grande romanziere, e di Khomeini, miserevole dittatorello dei nostri
tempi.
Torniamo un momento a parlare del Brasile: il suo
paese conosce attualmente, dopo lunghi anni di oppressione, un
governo democratico, liberamente eletto. Pensa lei che gli scrittori
brasiliani, che come lei hanno contribuito al ritorno della
democrazia, abbiano ora un altro compito da svolgere? Mi riferisco in
particolare alla gravissima situazione della foresta amazzonica che,
secondo quanto asseriva il rimpianto Chico Mendes, viene
sistematicamente distrutta a solo vantaggio di una mezza dozzina di
grandi allevatori di bestiame. C'è qualcosa che gli scrittori
brasiliani si propongono di fare, acciocché la morte di Chico
Mendes non sia stata inutile?
JORGE AMADO - Viviamo, in
Brasile, l'era della democrazia. Democrazia di diritto, con la
promulgazione della nuova Costituzione. Il governo Sarney è
riuscito a realizzare con grande abilità la transizione dalla
dittatura militare alla democrazia costituzionale, e questo malgrado
le enormi difficoltà, soprattutto d'ordine economico, che ha
dovuto affrontare. Si può dire che la società
brasiliana abbia ritrovato la sua voce, e cominci ad agire prendendo
coscienza dei grandi problemi sociali del paese e tentando di
risolverli. Primo fra questi il problema della terra e il suo
sfruttamento, la riforma agraria, i problemi dell'ecologia,
l'Amazzonia, gli Indios: problemi di portata non solo nazionale ma
mondiale. Gli scrittori brasiliani che si sono battuti contro la
dittatura hanno una tradizione che li onora: si sono sempre trovati a
fianco del popolo che lottava per un avvenire migliore. Sono sicuro
che continueranno a lottare per il Brasile e per il suo popolo.
La
ringrazio.
Pubblicato in EREWHON
Il piu' popolare scrittore brasiliano, Jorge Amado, bahiano di 82 anni, e' l'autore di piu' di trenta romanzi tradotti in quarantacinque lingue. Sono soprattutto famosi i suoi personaggi femminili, come Gabriela, Teresa Batista, Tieta do Agreste. L'ho intervistato, in Portogallo, dove e' stato insignito del premio "Camoes" per la letteratura. Dall'incontro emerge la figura di un uomo semplice, con una grande voglia di vivere e un grande amore per il popolo brasiliano che ha sempre ispirato i suoi romanzi. Da che cosa nascono i suoi libri? Le mie principali fonti di ispirazione sono il cacao e il popolo della Bahia. Quando comincio a scrivere non ho un'idea precisa sul libro. Ma faccio lavorare il mio cuore e la mia testa e, poco a poco, nasce il libro. Mai pero' sapendo che cosa succedera' domani. Lei legge i suoi libri dopo averli finiti? No, non sono un lettore di Jorge Amado. Penso di non aver mai letto un mio romanzo finito. Mentre scrivo, vivo solo in funzione del libro, giorno e notte. E quando il romanzo e' finito non mi appartiene piu'. Diventa proprieta' dell'editore e soprattutto dei lettori. Mia figlia sta correggendo alcuni miei vecchi scritti come "Terra do Sem Fin" e quando ha dei dubbi io le rispondo di lasciare molte cose come erano state scritte in origine perche' quella era la mia vita nel 1942. In 62 anni di attivita' letteraria lei ha scritto piu' di trenta libri, tradotti in quarantacinque lingue. Qual e' il romanzo che le piace di piu'? Mi piacciono tutti perche' i libri sono come i figli. E' difficile dire quale sia il migliore. E quello che per me e' il piu' bello, non lo e' per gli altri. Forse gli ultimi libri sono i meglio strutturati. Do molta importanza a "La bottega dei miracoli" perche' parla della nascita della nazione brasiliana, del mio popolo. "Mar Morto", scritto nel 1936, mi emoziona molto perche' parla della mia adolescenza a Bahia. Che puo' dire del romanzo "Boris il rosso", al quale sta lavorando da dodici anni? Boris e' un giovane vissuto negli anni 70, durante la dittatura militare. Non ha nessuna cognizione politica, gli piacciono le donne, e' un po' vagabondo e non lavora. La mia idea e' di presentarlo sia come un bandito che come un eroe. Boris e' esattamente un giovane brasiliano di 19 anni, ne' piu' ne' meno. Ragazzo "sarara'" perche' ha i capelli rosso ruggine, completamente diverso dagli altri, e potrebbe essere accusato dalla polizia per reati mai commessi. Ma in questo momento ho lasciato Boris nel cassetto perche' penso a un altro libro. Come vede il Brasile quando torna dall'Europa? Una volta sono stato sei mesi in Europa. Alla televisione ho visto dei reportage terribili sul Brasile. Sono arrivato depresso per la morte dei bambini della Candelaria. Ma stando insieme alla gente, camminando per le strade, nei mercati, avendo contatti quotidiani, ne sono uscito un'altra volta rinvigorito e ho potuto constatare che quello che si vedeva in televisione era realta', ma ce n'era anche un'altra: la lotta del popolo. Il Brasile e' un paese razzista? No, ma ospita milioni di razzisti, soprattutto fra i ceti alti della popolazione. Ci sono alcuni riflessi del sentimento della schiavitu', che si manifestano nel modo di scrivere e di parlare. Ma diversamente dagli Stati Uniti dove un bianco non si mescola ai neri, se non quando un nero occupa un'alta posizione nella societa', in Brasile invece le razze piu' diverse sono mescolate e si frequentano. Anche l'antirazzismo porta pero' a un razzismo e definire il popolo brasiliano razzista significa insultarlo. Che cosa pensa della sua militanza socialista? Da stalinista che ero, soprattutto durante l'esilio, ho vissuto tutti i mutamenti del socialismo. Nel 1952 ricevetti persino il premio "Stalin" che mi ha dato uno status speciale. In seguito pero' ho visto alcune cose che mi hanno turbato e che cercavano di nascondere: una parte vergognosa e crudele che mi ha messo in crisi con il partito. Ho abbandonato la militanza senza pero' rompere le relazioni con il comunismo. Non sono diventato anticomunista. Bisogna cambiare la societa', trasformare il mondo in meglio e senza ingiustizie, senza miseria e fame e dove tutti abbiano diritto al lavoro. Questo e' il mio ideale. Crede ancora nel socialismo? Credo che il socialismo rappresenti il futuro dell'umanita' perche' il capitalismo non e' un ideale politico. E' un sistema basato sul lucro, che conduce spesso alla guerra e al razzismo. Per arrivare al socialismo bisogna seguire un cammino democratico e ci vorra' molto tempo, perche' modificare l'uomo e' difficile. E' piu' facile prendere il potere. Nel suo ultimo romanzo, lei parla della colonizzazione del Brasile. C'e' stata per i cinquecento anni dalla scoperta dell'America molta polemica: da un lato i portoghesi e gli spagnoli e dall'altro gli indigeni e i discendenti di schiavi neri che furono vittime del genocidio. Noi dobbiamo comprendere che siamo il risultato di tutto cio' e che l'importante siamo noi oggi e cio' che noi siamo. Non possiamo negare una realta' per affermarne un'altra, e nemmeno dire che la scoperta sia stata una civilta' che si e' insediata o dire che la scoperta sono state civilta' che si sono distrutte. Noi brasiliani, argentini, cubani e messicani, siamo il risultato vivo di questi processi passati e l'unica cosa che dobbiamo fare e' ottenere che tale processo diventi armonioso e conduca a una societa' migliore. Copyright Avvenimenti-Sial
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