Il 26 marzo
di questanno Marco Archetti ha compiuto trentanni. Un
traguardo al quale è arrivato in controtendenza con la
maggior parte dei suoi coetanei. Non lha festeggiato
vivendo coi genitori e avendo idee confuse sulla propria
vocazione, bensì consegnando a Feltrinelli il suo terzo
romanzo, Maggio splendeva. E raggiungendo, con esso, la
maturazione come scrittore: perché Maggio splendeva
mantiene linventività linguistica dei suoi due libri
precedenti, Lola Motel (uscito nel 2004 per Meridiano Zero) e
Ventanni che non dormo (uscito lanno scorso ancora
per Feltrinelli), ma, questinventiva, la esercita in modo
più selettivo. Perché ha una trama strepitosa. E
perché ha unambientazione storica, anziché
contemporanea: il Ventennio. La trama è questa: siamo
nel 1936, Leo Piccioni (nulla a che fare con lomonimo
studioso di Leopardi e Ungaretti) è un diciottenne appena
uscito dal liceo, che ha problemi frequenti col suo corpo; si
avverte staccato dalle sue terminazioni, sente le
farfalle frullargli nello stomaco, appena può si sfoga con
lonanismo, in bagno con una fotografia di Ginger Rogers.
Nellinterno borghese vive col padre Aristide, scienziato,
che chiuso nel suo studio disseziona rane, ma che ha anche
qualcosaltro da nascondere, la madre Iris dedita per lo più
a maestose dormite, a improfumarsi o a svenire per il troppo
freddo o il troppo caldo, una matrona del nulla, una che
vive il dramma della superfluità la definisce
Archetti, e la cameriera Maria che spolvera e spettegola. Poi, su
tutti, la zia Ester, che, dice il romanzo, era entrata
nelletà matura contromano. Come rideva, come
vestiva, quello che faceva. Sembrava letteralmente fuori di
senno. Zia Ester legge Freud, fuma, la dà a chi
vuole, sposati o non sposati, e coltiva un odio beffardo per il
Duce. Un giorno la vaporosità post-adolescenziale di Leo
si condensa e raggiunge un suo precipitato: Leo scopre di avere
una dote paranormale. Con lo sguardo può far scomparire
persone e oggetti. Zia Ester, a tradimento, gli allestisce una
carriera come fenomeno nei teatri di varietà. Intanto
sullo sfondo sfila la storia di quegli anni: dalla radio rimbomba
la voce che dice Italiani!, a tavola si parla di
guerre dAfrica e imminente Anschluss. Finché alla
zia Ester non viene in mente lidea che congiungerà
la vicenda di Leo e quella Storia: e se il nipote esercitasse il
suo potere facendo scomparire il dittatore quando saffaccia
dal balcone di palazzo Venezia? Sarà una coincidenza,
ma nel corso di questo 2006 è il secondo testo che ci
capita, di scrittore giovane, che si piglia il gusto di
restituirci, ingigantita come in un sogno, la mimica del Duce.
Laltro è stato L'arrobbafumu, straordinaria pièce
teatrale in dialetto calabrese di Francesco Suriano. Forse un
cipiglio simile, quello delluomo che ci ha governato per
cinque anni, li ha rimandati allantecedente? Siamo
seduti sul divano della nuova casa di Archetti: Milano, parte
meridionale di Città Studi, un telo rosso con lOm
appeso al muro, caffè al vetro perché le tazzine
ancora non ci sono. Ha traslocato qui con la sua ragazza, Alice,
da pochi giorni, dopo due anni trascorsi a Roma. A Roma ci
sono stato perché me ne ero innamorato. Lho
annusata, toccata, lho conosciuta. Ora lho esaurita
racconta. Milano, per lui nato a Brescia, lei a Bassano del
Grappa, è il posto dove sperano sia più facile
entrare nel giro delle gallerie darte: Alice dipinge, è
suo il ritratto di Bob Dylan dipinto con terra rossa del Salento
appeso nella microscopica cucina. Sì, la casa è un
fazzoletto. Ma anche Marco Archetti non è un gigante.
Trentenne,
lei riproduce sapori e odori del Ventennio come se ci fosse
vissuto. In più, lo usa come una piattaforma per questa
sua acrobazia inventiva. Come ha fatto?
I
miei debiti estetici, per questo romanzo, vanno a mia nonna, a
mio nonno, a Calvino e a Federico Fellini. Fellini per
lavanspettacolo, da un lato, e Amarcord, dallaltro. E
poi Pavese. E Fenoglio, perché mi svelato laltra
faccia della Resistenza.
Che
racconti le hanno fatto i suoi nonni sul fascismo?
Mio
nonno era medaglia al valore per la guerra dAlbania. In
realtà era a capo di un manipolo scombinato e loperazione
per cui ricevette la medaglia fu quella in cui, dopo una
votazione unanime, decisero di brandire dei pezzi di canottiera
come bandiere bianche ed entrare in un villaggio. Il paese si
svuotò e loro finalmente potettero mangiare. Mio nonno
raccontava in modo antieroico le sue gesta. La sua stessa vita
era così. Mia nonna, invece, è ancora viva e
racconta quel periodo in modo contraddittorio. Sul genere si
stava meglio quando si stava peggio, però se le dici
Mussolini fa la faccia schifata. Ho cercato di
immergermi in queste sue duplicità. Ed è nato
Maggio splendeva, un romanzo i cui personaggi sono tutti
contraddittori.
E
lidea del potere paranormale di Leo, da dove le è
nata?
Da
un aneddoto molto divertente sulla vita di Mozart. Il piccolo
genio veniva portato nei teatri dal padre. Il quale chiedeva ai
presenti di sottoporgli una partitura inedita, da far eseguire
allimpronta al suo fenomeno. Una sera un genio del male
propose una partitura che richiedeva luso di tre mani. E il
piccolo fenomeno usò la destra, la sinistra, e poi la
punta del naso. Leo non centra niente con questo. Ma il
mistero della genialità da gestire è lo stesso.
Questa è stata la prima scintilla. A un certo punto Leo
non capisce più chi è, non sa se è un
mostro. Sente di non contenere un potere, ma di
essere quel potere. E questo, appunto, non è
il problema dell'identità?.
In
Ventanni che non dormo cerano
delle odiate zie, personaggi ingombranti. Con la figura di zia
Ester voleva risarcire la categoria?
Ester
è più di un personaggio, è una persona. È
emotiva, è un bastian contrario più che essere
antifascista. È lo sberleffo, la capacità di
salvarsi vedendo il lato grottesco delle situazioni. Uno
scrittore da me amatissimo, Sergej Dovlatov, emigrato dallUrss
negli Stati Uniti, scrive di un suo amico che gli veniva negato
il visto con questa motivazione, perché il compagno
ride troppo. Una volta è stato visto addirittura
sghignazzare. Tra fascismo e comunismo ci sono grosse
differenze. Ma le dittature si muovono secondo schemi
riconoscibili, hanno sempre paura delle stesse cose.
Lei
è vissuto per due anni a Cuba. Perché ci è
andato?
Ho
avuto la classica adolescenza e giovinezza fortemente
politicizzata. Magazzino 47, il centro sociale a
Brescia, la battaglia per Lupo Alberto contro la
Jervolino. A Cuba sono andato perché volevo vedere se
esisteva davvero il paradiso sulla Terra. Però, purtroppo,
mi sono svegliato amaramente. La prima volta ci sono andato in
vacanza per due settimane e sono tornato che ero lufficio
stampa di Fidel Castro. Sono i traumi della verità. Ci
sono tornato per un anno e mezzo, dal 2001 al 2003. Ho
frequentato la dissidenza. Quella di sinistra, non gli squallidi
figuri di Miami. Posso fare un nome, Omar Pérez, un poeta
importantissimo, lì, per una decina danni. Oggi vive
in Danimarca e fa il monaco zen. Correva voce, a Cuba, che fosse
uno dei figli non riconosciuti di Che Guevara. AllAvana
vivevo coi pesos, non coi dollari, insomma, facevo la vita del
cubano. E facevo la cosidetta scuola di scrittura:
ero riuscito a filtrare dei libri lì vietati, Cabrera
Infante e Ricardo Arenas, e li leggevamo insieme. Poi alcune
persone sono state spiate e seguite e hanno avuto problemi e lì
è finita.
Quando
ha saputo di queste conseguenze, come si è sentito?
«Ho
tentato di aiutare qualcuno di loro. Ma è stato
im-pos-si-bi-le. Quello cubano è stato il periodo più
bello e più brutto della mia vita. Lì ho conosciuto
le persone più generose e impegnate intellettualmente. Ma,
per gli stessi motivi, così doloroso».
Senta,
Archetti, a trentanni lei già annovera anche altro.
Di famiglia medio-borghese, un padre dirigente dazienda,
madre insegnante, un fratello minore di dodici anni, liceo
classico, un paio danni di Scienze politiche. Ma a quindici
anni ha cominciato a guadagnarsi qualche lira lavorando da un
benzinaio. A diciotto è stato selezionato nientemeno che
al festival di Castrocaro e stava per finire a Sanremo...
Mi
sono defilato allultimo momento. Ho corso il rischio di
diventare un cantante confidenziale. Per fortuna non ero
soddisfatto dei testi piuttosto lugubri che scrivevo. Daltronde,
anche prima di pubblicare Lola Motel ho scritto sei romanzi che
sono rimasti nel cassetto.
Che
cosa pensa dei suoi coetanei che neppure in tre vite
sperimenteranno tutto questo?
Io
sanziono questa loro indolenza. Detesto, per dirla con un
ossimoro, questo cliché verissimo.
Tornando
a Maggio splendeva vediamo se soddisfa la
nostra curiosità: Leo spedisce davvero in una quarta
dimensione persone e oggetti che fa scomparire? Comè
che alla fine un certo scomparso riappare?
Perché
glielo dovrei dire?
Così,
per capire se nello scrivere è tolstoiano, sa tutto della
sua storia.
A
volte è molto bello scoprire che tu stesso sei ingannato
da quello che scrivi. Un romanzo si comincia come un viaggio:
metti in valigia venti cose, poi ne userai dieci. E io rivendico
il sacrosanto diritto dello scrittore a divertirsi, mentre
scrive.
Intervista di Maria Serena
Palieri L'UNITA' 08/11/2006
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