Sta
ancora in quella casa rattoppata del quartiere Belgrano Osvaldo
Bayer el rebelde, che Osvaldo Soriano el gordo criticò
e poi conobbe in anni feroci. Una vita a scrivere e fuggire
Osvaldo Soriano scrisse in un
articolo che Osvaldo Bayer era l'ultimo ribelle, che
senza di lui sarebbe stato più facile dimenticare.
Ho incontrato Bayer nel quartiere Belgrano di Buenos Aires, in
quella casa che Soriano chiamava il tugurio. La
memoria di Bayer è una sorgente meravigliosa di aneddoti.
Racconta dell'esilio, della dittatura, dell'amicizia col
gordo.
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Questo
posto Soriano lo chiamò El Tugurio, perché
la prima volta che venne qui... a lui piaceva provocare...venne
qui, si guardò intorno, vide tutto e mi disse: Vivi
in un vero e proprio tugurio. Non t'offenderai per questo?
E io risposi: Tugurio... me gusta, lo metterò
sulla porta di casa....
La condanna a morte
La
storia della mia fuga ha inizio nell'ottobre 1974, quando mi
iscrissero nella lista nera della Tripla A, l'Alleanza
Anticomunista Argentina, che era una manica di assassini
ufficiali comandati da López Rega, ministro di Isabel
Perón. Una mattina sul giornale c'era questa nota: ...è
stato condannato a morte dalla Tripla A il signor Osvaldo Bayer.
Mi davano ventiquattro ore per lasciare il paese altrimenti ero
un uomo morto. Ce l'avevano con me per il film La Patagonia
rebelde, di Héctor Oliveira, che si ispirava al mio
libro. Parlai con mia moglie, non potevamo correre rischi perché
gli assassini facevano sul serio. Quello che prima di me era
stato condannato a morte, il decano della facoltà di
filosofia, si rifiutò di lasciare il paese: gli misero una
bomba sotto casa e ammazzarono il suo unico figlio, che aveva sei
mesi. Il giorno dopo mia moglie e i miei quattro figli partirono
per la Germania, mentre io rimasi da solo qua in Argentina,
perché non me ne potevo andare, non era giusto. Invitai i
militari che mi avevano condannato a un dibattito pubblico
nell'Aula magna della Facoltà di Filosofia, ma non si
presentò nessuno. Allora corsi a nascondermi. Mi
nascosero gli amici anarchici in una villetta di Quilmes, stavo
con un vecchio anarchico in una villetta avvolta dalla
vegetazione. Era estate e lì faceva molto fresco, però
mi sentivo tagliato fuori dal mondo. Il mio anarchico era il
classico tipo vecchio stampo, non comprava i giornali, non aveva
radio né televisore, perché, diceva, qui non
entrano le notizie della borghesia!. Però, claro,
uno doveva essere informato anche delle notizie della
borghesia... lui mi diceva: non aver paura, si alzava la giacca e
tirava fuori una pistola... Acá no entra nadie
...sì, qua non entra nessuno, ma se viene un commando di
venti persone, vuoi vedere come entrano... Iniziai a uscire, a
passeggiare, la mattina andavo alla stazione, compravo il
giornale, lo leggevo, mi infettavo di tutto il mondo borghese e
poi lo buttavo nel cestino, così che tornavo a casa
pulito. Non avevo paura, quando ti minacciano così, la
paura non la senti più, pensi che non arriveranno a
toccarti, che non ti faranno nulla. Un giorno me ne andai proprio
nel centro di Buenos Aires, nell'incrocio tra l'Avenida 9 de
Julio e Corrientes, e guarda caso con chi mi incontro? Con
Rodolfo Walsh, lo scrittore argentino che poi è stato
ammazzato dai militari, uno dei tanti finiti nel
tritacarne della dittatura. Walsh mi disse: Che ci fai
qui?. Risposi: Io? E tu?. E lui: È
diverso. Tu hai scritto La Patagonia rebelde. E
tu hai scritto Operacion Masacre, che è molto più
pericoloso!. No, però non è lo stesso,
non è lo stesso,... vamos a tomar un
café.
L'esilio
A quel tempo
ti ammazzavano se ti vedevano per strada, ma se capivano che
stavi uscendo dal paese ti lasciavano andare. Me ne andai nel
febbraio del `75, la condanna a morte era arrivata nell'ottobre
del `74, quindi sono stato quattro mesi nascosto. Sono rimasto un
anno in Germania, finché non appresi dai giornali che
Isabel Perón aveva annunciato le elezioni. Bueno,
mi sono detto, se ci sono le elezioni ci sarà più
democrazia, più libertà, almeno così
dicevano i giornali borghesi. Ma forse sui giornali aveva ragione
il vecchio anarchico che mi aveva nascosto un anno prima: dopo
tre settimane dal mio ritorno a Buenos Aires ci fu il golpe dei
militari. Dovetti scappare di nuovo, ma adesso non era più
tanto facile, se provavi a scappare ti arrestavano. Io non
appartenevo a organizzazioni guerrigliere, non avevo appoggi per
scappare all'estero. Il giorno che uccisero il capo della polizia
la città era sottosopra, c'era polizia e esercito
dappertutto, la gente veniva fermata per strada, chiedevano
documenti, informazioni, precedenti. Io dovetti rifugiarmi
nell'ambasciata tedesca. L'addetto culturale dell'ambasciata mi
accompagnò in auto fino all'aeroporto di Ezeiza, nel
tragitto verso l'aeroporto l'esercito ci fermò ma il mio
accompagnatore disse che ero sotto la protezione dell'ambasciata.
Arrivati nell'aeroporto dovetti mostrare i miei documenti. Mi
rinchiusero a chiave con l'addetto dell'ambasciata in una stanza,
pensavo che mi avrebbero arrestato. A un certo punto arrivò
il comandante di Ezeiza, il brigadiere generale Santuccione, mi
disse: Lei signore ora se ne va, la facciamo partire per
intercessione dell'ambasciata tedesca, ma si ricordi, mai più,
mai più tornerà a calcare il suolo della patria.
Mentre volavo sopra i tetti di Buenos Aires ero convinto che il
militare avesse ragione, che non avrei mai più rimesso
piede in Argentina, e non potevo cantare, come Carlos Gardel, Mi
Buenos Aires querido.
L'amicizia con
Soriano
Bueno, con Soriano al primo incontro lo
insultai. Credo fosse il 1970, era uscito il mio libro
sull'anarchico Severino Di Giovanni circa un anno prima, e un
giorno comprai la rivista Semana gráfica e lessi un
articolo su Severino Di Giovanni di un certo Osvaldo Soriano,
allora sconosciuto, che sosteneva che Di Giovanni era un
delinquente comune, che rubava, che assaltava, che ammazzava la
gente, e mi venne un'indignazione così grande: Chi
sarà questo Soriano? Allora chiamai per telefono il
direttore della Semana, che era mio amico, e gli dissi:
Come avete potuto pubblicare un articolo che è una
menzogna, una falsità assoluta?. Il direttore della
rivista se ne lavò le mani, mi disse: Ti metto in
contatto con il redattore che ha scritto il pezzo e te la vedi
con lui. Pronto, qui parla Soriano..., sento
nella cornetta. «È lei che ha fatto questo
articolo? Sì, perché?, risponde.
Lei non sa niente di niente, questa che lei ha scritto è
la versione della polizia, lei non è un giornalista, in
questo modo quello che dice la polizia è la verità.
E Soriano mi dice: Io metto quello che trovo negli archivi,
ho trovato nell'archivio... ho preso nell'archivio quello che
dicevano i quotidiani dell'epoca e ho scritto. Bene,
gli dico, ma i quotidiani dell'epoca riportavano la versione
della polizia! Ascolti..., dice lui. No,
non ascolto nulla - non so come mi è uscito,-usted es
poco hombre, lei non è un uomo.
Poi
dimenticai quell'episodio. Mi trovavo in esilio in Germania
quando mi invitarono alla Fiera del libro di Francoforte del
1975. C'erano alcuni scrittori latinoamericani, e intanto era
uscito il primo libro di Soriano, Triste, solitario y final,
che mi era piaciuto tantissimo, e non mi ricordavo che era il
solito Soriano che avevo insultato per telefono. Arrivai nel
gruppo degli scrittori latinoamericani, e c'era un gordito,
un grassottello che mi guardava strano. Un messicano mi disse:
Voi non vi conoscete? No, risposi, non la
conosco. Sono Osvaldo Soriano, l'autore di Triste,
solitario y Final. E io: Ah, mi congratulo! Un
libro eccellente, magnifico, muy muy bien!. E lui:
Sì, però sono poco hombre.
Risposi: Perché mi dice questa cosa? Perché
lei mi insultò per telefono, mi disse che ero un ometto.
Ah, mi dispiace, ad ogni modo andiamo a farci un caffè.
Ce lo bevemmo e fu l'inizio di una grande amicizia.
Nunca
mas
Soriano tornò a Buenos Aires un anno prima
di me, tornò quando la dittatura stava cadendo. Poi tornai
anch'io e iniziammo a fare un raduno di intellettuali, ci
riunivamo in cinque, sempre qui, nel patiecito di casa
mia, che è un vero e proprio tugurio, David Viñas,
León Rozitchner, Tito Cossa, l'uomo di teatro, Soriano e
io. E Soriano arrivava sempre un po' in ritardo, e portava la
nota provocatoria. Per esempio faceva delle affermazioni solo per
accendere la miccia, diceva: Non so, stavo pensando che non
mi sembra così male il cattolicesimo.... E allora
scoppiava un inferno, si arrabbiavano Rozitchner, Cossa e Viñas,
si mettevano a discutere, e continuavano infuriati tutta la
notte, mentre io e Soriano bevevamo e li ascoltavamo.Poi
Rozitchner diceva a Soriano: Che hai qualche rimasuglio
cattolico?, e Soriano rispondeva: No, ma bisogna
portare rispetto..., solo per farlo arrabbiare. Che
devo rispettare? - diceva Rozitchner a Soriano, che veniva
accusato di cattolicesimo - voi cattolici avete un torturato sul
muro, un crocifisso, un elemento di tortura che tenete in tutte
le camere, sopra il letto, e fate l'amore guardando il torturato,
fate i figli pensando alla tortura... e continuavano a
questo modo per tutta la notte. Sempre Soriano arrivava in
ritardo, e tirava fuori un tema di discussione, li provocava, gli
altri si arrabbiavano, e poi si metteva da parte con me, io e
Soriano li ascoltavamo e ci bevevamo sopra. Quando Soriano morì,
nunca mas nos volvimos a reunir. Non ci incontrammo. Mai
più.
Intervista di Alberto Prunetti
IL MANIFESTO 10/05/2005
Osvaldo Bayer (Santa Fe, Argentina, 1927) è uno degli
scrittori argentini più popolari. I suoi lavori di
indagine storica, posti al crocevia tra il romanzo e l'indagine
archivistica, hanno rivelato la ferocia del potere istituzionale
e riscattato dall'oblio le storie dimenticate di ribelli e
refrattari. Tra le sue opere: La Patagonia Rebelde;
Severino Di Giovanni, el idealista de la violencia; Los
anarquistas expropiadores; Simón Radowitzky,
¿mártir o asesino?; La masacre de Jacinto
Aráuz; A La Patagonia Rebelde, proibito negli
anni della dittatura militare argentina, si ispirò
l'omonimo film di Héctor Oliveira, vincitore di un Orso
d'argento al festival di Berlino.
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