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Biografia |
Uno spirito anarchico nella Milano del boom Anche se amava attribuirsi origini proletarie e un'infanzia da promessa del calcio, Luciano Bianciardi nasce a Grosseto il 14 dicembre del '22 in una famiglia borghese ed è un bambino studioso, poco sportivo e sempre primo della classe. Nel '41, ancora 18enne, entra alla Normale di Pisa, frequenta il corso di filosofia. Nel '43 viene arruolato, appena in tempo per assistere, in Puglia, ai bombardamenti e allo sbarco degli alleati. Nel '48 si laurea e torna a Grosseto, dove ottiene un posto da direttore della biblioteca Chelliana, si sposa ha un figlio Ettore. Anima un cineclub e in un'inchiesta per l'Avanti! Con Cassola denuncia le condizioni dei minatori della Maremma. Il 4 maggio del '54, per negligenza nelle misure di sicurezza, uno scoppio causa la morte di quarantatré lavoratori nelle viscere della terra di Ribolla. Convincendosi dell'inutilità, per un intellettuale, di operare in provincia, e nonostante la nascita della secondogenita Luciana, accetta di far parte della squadre di giovani al servizio di Giangiacomo Feltrinelli e della sua nascente impresa editoriale, si trasferisce a Milano. Gli anni del boom e i ritmi e logiche imposti anche nel settore culturale trovano in lui un irriducibile refrattario. Inadatto alla routine redazionale, dove, a suo dire, vengono premiati solo i fannulloni frenetici, ovvero coloro che battono i tacchi sollevando una nuvola di polvere per nascondercisi dentro, lui, che invece strascica i piedi e se ne infischia delle apparenze e delle piaggerie d'ufficio, viene licenziato per scarso rendimento. Nella modesta casa che condivide con la nuova compagna e il bambino avuto da lei, lavora come traduttore a cottimo per provvedere alla nuova e alla vecchia famiglia. Lo chiamerà il mio diuturno battonaggio e anche un lavoro di sterro e di ribaltatura comunicando la fatica quotidiana di voltare, letteralmente, un testo, riga per riga, da una lingua all'altra. Ma è traducendo Tropico del cancro che la sua scrittura, più misurata nei due primi romanzi, Il lavoro culturale (Feltrinelli, '57) e L'integrazione (Bompiani, '60), si libera e raggiunge la forza esplosiva del terzo: La vita agra (Rizzoli), con cui raggiunge il successo nel '62. Montanelli lo vorrebbe al Corriere ma lui rifiuta e mantiene la collaborazione con l'Unità e l'Avanti!. Anarchico e anarcoide, non riesce a emanciparsi dalle difficoltà materiali in una città che detesta in quanto emblema di un miracolo economico che giudica fittizio e disastroso per la società e la sua identità. Traduce un libro al mese, più di cento in dieci anni, da Miller a Mille idee per incrementare le vendite, pubblica un romanzo rinascimentale, La battaglia soda. Ma il senso di colpa per la famiglia abbandonata a Grosseto, i contrasti sentimentali, l'alcol del bar Giamaica e delle altre bettole bohémien di Brera, i problemi giudiziari, lo portano allo stremo che descrive nel suo ultimo lavoro, Aprire il fuoco (recentemente ristampato dalla figlia per ExCogita). Quando viene abbandonato dalla nuova compagna, Luciano tocca il fondo della disperazione e del declino fisico finendo in coma per la cirrosi e l'eccesso di tranquillanti e di alcol. Muore il 14 novembre del '71, un mese esatto prima del suo 49esimo compleanno. Dopo un periodo di oblio pressoché totale, nel '93, la biografia di Pino Corrias, Vita agra di un anarchico, edita da Baldini & Castoldi, ne riporta in auge l'opera, notevole per la qualità della scrittura, e l'attualissima vena antimoderna. |