Loccasione
di fuga è un impiego a stipendio fisso alla Feltrinelli
Editore, a Milano "città grande e sconosciuta, città
operaia, svizzera e lavorativa". È il 1954 quando
Luciano Bianciardi arriva nella zona di Brera: a Grosseto, la sua
città, non tornerà più. Vita agra di un
anarchico a Milano - Luciano Bianciardi a Milano è un
libro di Pino Corrias uscito presso Baldini&Castoldi nel
1991, dunque quasi un decennio (e a Corrias questa biografia era
costata anni di incontri, viaggi e riflessioni). Parlarne oggi
non è fuori luogo: Bianciardi conserva una attualità
che continua a perseguitarlo perché il suo essere attuale
prende inizio non appena la sua breve parabola giunge a
compimento.
Corrias
ricostruisce il percorso umano e intellettuale di un "un
uomo comune finito in una vita comune per circostanze
eccezionali", di un grossetano maledetto come lo sono
i toscani in forza di un topos letterario, ma come lo
possono essere tranquillamente umbri piuttosto che molisani o
veneti che espletate le pratiche del curricolo di figlio
della piccola borghesia, ceppo negletto quanto formidabile, studi
universitari, servizio militare, matrimonio, impiego
nellamministrazione dello stato, avverte nel volgere di un
soffio la ruvidezza di uno scorsoio che non gli lascia e mai gli
avrebbe lasciato scampo.
Si
avverte uno scarto, un cambio di velocità tremendo tra i
due tempi di questa vicenda, tra gli anni in Maremma e quelli
milanesi. Grosseto e Milano come poli opposti, un qua e un là,
un prima e un dopo, Rapallo a parte breve parentesi quasi un
apostrofo tra le parole "sto morendo".
"Meglio
essere tagliati fuori che tagliati dentro" insegna Gino
Patroni. Bianciardi fu un tagliato dentro che fece di tutto per
essere tagliato fuori. Non fu Milano ad ucciderlo la
ferita preesisteva e non fu nemmeno la nervina aria di
provincia ad ammorbarne lanima, ma certo il salto fu grosso
da una biblioteca di Grosseto a palazzo Feltrinelli. Il passaggio
di cilindrata ci fu e non dovette essere né semplice né
indolore; pure, seguendo le evoluzioni di quella vita difficile
in filigrana si avverte un senso di ineluttabilità, un
tragico sentore di morte annunciata.
Anche la
narrazione risente di questa duplicità: distesa, con un
ritmo dolce e lento allorquando si tratta di descrivere gli anni
in provincia, quelli della formazione, tra sogni di gloria e
alzate di ingegno, aperitivi e lavoro culturale, nervosa e
concitata quando invece occorre seguire il filo degli anni
milanesi, zeppi di lavoro, di incontri, difficoltà,
ribellioni. Dal quarto di copertina "Con questo libro
Corrias
riaccende una per una le mille luci di una Milano
che non esiste più, tra trattorie e case editrici, studi
di pittori e cantieri di grattacieli. locali notturni e latteria
diurne."
Scorrono veloci le
immagini di un mondo magmatico fatto di personaggi col timbro
dellunicità, famosi e sconosciuti, da Tadini a Ugo
Mulas, Giangiacomo Feltrinelli e Valerio Riva, Ormanno Foraboschi
e Giampaolo Dossena, Morlotti e Saba Sardi pittori e
giornalisti, viaggiatori e visionari avvolti e cullati dallutero
cordiale di un quartiere: "È il quartiere di Brera
isola popolare e ancora tollerante (anche per via dei bordelli
che abbondano) chiusa in una mezza dozzina di strade dai nomi
insoliti via Pontaccio, via Fiori Chiari, via Fiori
Oscuri, via dellOrso". Sono gli anni del Bar Giamaica:
il racconto diventa una chanson de gestes dove, per questa
volta, al centro cè Bianciardi, riluttante
protagonista di un avventura al sapore di grappa balorda e
nazionali comuni, libri tradotti con ritmo da catena, notti aspre
e bruschi risvegli, libri scritti e pensati, unavventura
breve quanto intensa chiusa con delirante pervicacia "quando
ormai aveva deciso che al gioco della torre sarebbe stato lui a
lasciarsi cadere".
La terza parte del
libro percorre con ostinazione chirurgica la via crucis di
Bianciardi; lultima stazione è quella della morte,
cercata quasi invocata, della solitudine disperata e,
paradossalmente, quella del successo dello scrittore che pubblica
libri famosi, dei film tratti dalle sue invettive. Altro giro,
altri testimoni, Bocca e Montanelli, Vaime, Del Buono e Jannacci,
Walter Valdi, Arpino, Domenico Porzio. Bianciardi affoga
letteralmente nellalcol e nella solitudine, muore il 14
novembre 1971 dopo 20 giorni di agonia. Ai funerali si trovano in
quattro. Vicenda a tinte forti con un eroe senza speranza e
un'eroina, Maria, la donna che condivide con disperata tenacia la
vita del suo uomo e trova la forza di non morire, e di
raccontare.
http://www.brera.net/cultura/bianciardi.htm
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