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Brigitte
Pètzold* |
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COLPIRE
L'UOMO PER SCREDITARNE L'OPERA |
Un
documentario sulla rete Arte, il 4, l'11 e il 18 febbraio.
Rappresentazioni teatrali: Judith von Shimoda, testo inedito in
dodici immagini per attori, musicisti e coro, messo in scena fino al
10 febbraio al Teatro Vascello di Roma da JÜrg Aufenanger e
Judith Kuckart, con la collaborazione del Berliner Ensamble.
Numerosi spettacoli e conferenze a Parigi da marzo a giugno,
all'Istituto Goethe e al Théatre de l'Europe. Bertolt Brecht è
di ritorno in tutta Europa.
Ma il centenario della sua nascita è
stato anche occasione di una virulenta polemica, lanciata dal
professor John Fuegi con una biografia al vetriolo che uscirà
prossimamente in Germania.
"Prima
la trippa, poi la morale." Questi versi, che i berlinesi
canticchiavano nel 1928 quando uscì l'Opera da tre soldi,
sarebbero particolarmente adatti a descrivere la persona del loro
autore. Questa, almeno, la tesi dell'ultimo ultimo biografo di
Bertolt Brecht, il britannico John Fuegi, docente di letteratura
comparata nel Maryland (Stati uniti). Dal suo Brecht & Co. (1)
lo scrittore esce a pezzi: accusato di aver sfruttato le sue numerose
collaboratrici attraverso rapporti di sex for text (sesso in cambio
di testi), trattato da opportunista senza scrupoli, avrebbe flirtato
con i nazisti prima di diventare stalinista, oltre a essere stato
antisemita nonché omosessuale.
Un libro-scandalo, subito
screditato da esperti brechtiani di varie parti del mondo. Su
International Yearbook del 1995 John Willet e i suoi collaboratori
hanno rilevato oltre 700 errori e false affermazioni su un centinaio
di pagine. La ricerca di un editore tedesco ha posto quindi qualche
problema. Ma infine, il 26 novembre 1997, la versione tedesca è
stata lanciata sul mercato, come un sasso nello stagno delle numerose
pubblicazioni commemorative in occasione del centenario brechtiano
(2).
Se il traduttore Sebastian Wohlfeil ha impiegato più di due
anni per portare a termine il lavoro, è perché le
citazioni contenute nell'edizione americana erano irte di errori di
traduzione. E' stato quindi necessario verificarle una per una, a
confronto con i testi originali conservati negli archivi tedeschi
(3).
Con acuto senso dell'opportunità, John Fuegi ha dedicato
quest'edizione tedesca non a Bertolt Brecht, ma alla sua principale
collaboratrice, Elisabeth Hauptmann, nata il 20 febbraio 1897, il cui
centenario "sarebbe altrimenti passato inosservato".
Elisabeth
incontra Brecht nel 1924. E' bella, colta, parla diverse lingue.
Sarebbe stata lei a scrivere dall'80 al 90 per cento dell'Opera da
tre soldi. Senza questa collaboratrice, sempre a quanto afferma John
Fuegi, non avrebbero visto la luce neppure Santa Giovanna dei
Macelli, Un uomo è un uomo e varie pièces didattiche.
Altre tre collaboratrici avrebbero scritto in realtà buona
parte dei testi teatrali di Brecht: la berlinese Margarete Steffin,
la danese Ruth Berlau e la finlandese Hella Wuolijoki. La Vita di
Galileo sarebbe dovuta in larga misura all'opera di Margarete
Steffin, morta di tubercolosi nel 1941 a Mosca. Ruth Berlau sarebbe
l'autrice del Cerchio di gesso del Caucaso, mentre Hella Wuolijoki
avrebbe fornito, con il suo racconto Un Bacco finlandese la trama de
Il signor Puntila e il suo servo Matti. Perché tutte queste
donne si sono sacrificate per il loro maestro fino a morirne (come
Margarete Steffin), a cadere nell'alcolismo e nella depressione (è
il caso di Ruth Berlau, perita tragicamente nell'incendio di un
ospedale psichiatrico nel 1974), o a tentare il suicidio (come
Elisabeth Hauptmann), senza contare gli aborti a ripetizione?
Risposta di Fuegi: lo sfruttamento sessuale, fondato
sull'irresistibile fascino di Bertolt Brecht. Evidentemente, un
docente universitario uscito dallo stampo di una società
mercantile non riesce a comprendere come queste militanti comuniste
abbiano potuto lavorare gratuitamente o quasi per la lotta
antifascista (4).
Ad esempio Elisabeth Hauptmann ha chiesto, per sua propria scelta,
solo il 12,5% dei diritti d'autore dell'Opera da tre soldi. Per
conferire una qualche credibilità alle sue tesi, il biografo
sottolinea di aver incontrato negli anni 70 alcune di queste donne
(che oggi non ci sono più a confermare le sue affermazioni)
tra cui anche Elisabeth Hauptmann. Werner Hecht, che è stato
suo amico e ha collaborato con lei per l'edizione delle opere di
Brecht, ha così descritto quell'incontro: "In capo a
un'ora è stata costretta a metterlo alla porta. Sulla sua vita
personale Elisabeth era molto discreta; ed è stata oltremodo
irritata dalle domande insidiose di quell'uomo, che voleva a ogni
costo farle dire determinate cose". Werner Hecht ha peraltro
pubblicato, dopo 35 anni di ricerche, una cronaca della vita di
Brecht, dal giorno della sua nascita ad Augsburg, il 10 febbraio
1898, fino alla sua morte, avvenuta a Berlino il 14 agosto 1956 (5).
Nella postfazione della sua cronaca, Hecht precisa che "la
verifica di varie date e di alcuni episodi citati da John Fuegi ha
posto in risalto errori eclatanti, che dimostrano la mancanza di
serietà del suo libro (6)".
Sabine
Kebir, una delle rare donne specializzate in letteratura brechtiana,
ha dedicato un'attenzione particolare ai rapporti di Brecht con le
donne della sua vita (7).
Ha approfondito in particolare la vita di Elisabeth Hauptmann,
principale "vittima" dello "sfruttatore", notando
tra l'altro che dopo la loro separazione questa donna non ha più
prodotto opere di rilievo.
Aveva bisogno del suo genio, o del
lavoro in comune, per trovare ispirazione? La produzione letteraria
di Bertolt Brecht è invece proseguita senza intoppi, con
collaboratrici diverse. Un altro argomento contro la tesi del
biografo è la coerenza dello stile brechtiano, che si avverte
nelle sue lettere come in ogni minima annotazione. Infine, Sabine
Kebir è colpita dal fatto che, al di là del comune
impegno antifascista, per Elisabeth Hauptmann la collaborazione con
Brecht era stata fonte di grande piacere. "Abbiamo riso molto
insieme ha detto . Era un divertimento, per quanto grandi fossero le
difficoltà del lavoro." Certo, in questo sforzo
collettivo indispensabile alla creazione è impossibile
riconoscere il contributo esatto di ciascuno. Ma pare che nessuno se
ne preoccupasse, dato che il concetto di proprietà individuale
era respinto da tutti come un valore piccolo borghese. Lo conferma il
regista svizzero Benno Besson, che era stato discepolo del maestro
tra il 1949 e il 1956, "derubato", secondo John Fuegi, del
suo lavoro su Don Giovanni: "Non ero minimamente interessato
alla questione dei diritti d'autore. Ciò che mi premeva era
lavorare con Brecht (...).
Aveva il dono di fecondare gli altri.
Li partoriva. Li rendeva produttivi. E gli altri a loro volta
rendevano produttivo lui (9)".
Quanto
a Ruth Berlau, è il caso di ricordare che era danese, e non
riuscì mai a imparare bene il tedesco. Perciò è
difficile credere che abbia potuto scrivere un testo poetico quale Il
cerchio di gesso del Caucaso. Per convincersene basta leggere una
sola delle sue lettere a Brecht, scritte in un tedesco molto
approssimativo.
Il lassismo di Brecht in materia di proprietà
intellettuale era ben noto, molto prima che John Fuegi se ne
scandalizzasse. E del resto, lui stesso lo rivendicava. Fin dagli
anni 20, i critici Kurt Tucholsky e Alfred Kerr lo avevano
rimproverato per aver utilizzato nell'Opera da tre soldi alcuni versi
di Villon senza citarlo. In seguito, anche Rimbaud fu preso a
prestito per il Libro di devozioni domestiche. La sua pièce
giovanile, Un uomo è un uomo, è ispirata al Woyzzec di
Georg Bfchner; l'Opera da tre soldi a un lavoro del britannico John
Gay (l'Opera del mendicante) e Il Cerchio di gesso del Caucaso a
Klabund. Ma forse che Shakespeare non ha copiato Francis Bacon, e
Molière non ha fatto lo stesso con Corneille?
Altri
biografi, quali Werner Hecht, Klaus VÜlker (10)
e Werner Mittenzwei (11)
avevano già menzionato questi "prestiti" letterari
di Brecht; e non avevano lasciato alcun dubbio sulla partecipazione
attiva delle sue collaboratrici, considerando però che stava a
loro reclamare o meno la propria quota. La sola che avrebbe potuto
farlo era comunque Elisabeth Hauptmann (che ha rinunciato per propria
scelta) poiché Margaret Steffin è morta nel 1941, e
Ruth Berlau è sprofondata nell'alcolismo.
Hella Wuolijoki
si era accordata con Brecht per il versamento del 50% della sua quota
percentuale a titolo di riconoscimento del suo contributo a Puntila;
ma purtroppo l'editore non l'ha mai retribuita. Se almeno l'ambizione
di John Fuegi fosse stata davvero la difesa dei diritti di queste
donne, trascurati da Bertolt Brecht, dal suo editore Peter Suhrkamp e
dai suoi eredi, Barbara e Stefan Brecht. Ma sotto mentite spoglie
femministe, il suo disegno è un altro: demolire un grande del
XX secolo, creatore di un teatro politico e popolare che rivela, con
la chiarezza della parabola, i retroscena di un mondo in cui l'uomo è
lupo verso il suo simile, e lancia un appello per trasformarlo. In
un'epoca in cui l'ultraliberismo e la mondializzazione imperversano,
riportando la disoccupazione e la povertà ai livelli degli
anni 20, Brecht minaccia di tornare di moda. Ed ecco arrivare John
Fuegi per farne un criminale! La ricetta è ben nota, ma il
nostro ha voluto strafare, perdendo così ogni credibilità.
Come si può arrivare ad accusare Brecht di antisemitismo,
quando oltre tutto sua moglie, l'attrice Helene Weigel, era un'ebrea
austriaca? E sospettarlo addirittura di simpatie naziste? Come si fa
a parlare di un "potere diabolico esercitato sul pubblico da
Hitler, ma anche da Brecht, nella Monaco del 1920"? Diabolico
com'era, Bertolt Brecht non poteva non diventare stalinista. E qui
John Fuegi si allinea con Stéphane Courtois (12).
Oggetto del suo astio è con ogni evidenza lo scrittore
marxista che incontrò un giorno, nel 1926, il sociologo Fritz
Sternberg e il marxista eterodosso Karl Korsch, poi divenuti suoi
maestri di economia politica e di un marxismo ispirato a Rosa
Luxemburg.
Il giustiziere John Fuegi descrive oltre tutto Brecht
come un consumato opportunista. Non è mai stato iscritto al
partito comunista tedesco? Perché rifiutava di impegnarsi. E'
sfuggito alla caccia alle streghe del senatore McCarthy? Nessun
dubbio: ha tradito il suo ruolo di resistente. Non ha aderito, il 17
giugno 1953, alla manifestazione dei lavoratori della Rdt in rivolta?
Un'altra prova del suo stalinismo. Quale fu in realtà
l'atteggiamento di Brecht al momento dell'insurrezione operaia contro
le autorità della giovane Repubblica democratica tedesca
(Rdt)? Manfred Wekwerth, uno dei suoi discepoli del Berliner
Ensemble, era allora al suo fianco.
"Fin dall'annuncio degli
scioperi, ci ha raccontato, ha riunito la troupe nella sua casa di
Berlino Weissensee. All'inizio approvava lo sciopero; alla mia
domanda Che fare?, ha risposto: Bisogna armare gli operai. L'indomani
siamo scesi in strada, dove però abbiamo sentito slogan del
tipo Morte ai comunisti, urlati da provocatori infiltrati,
provenienti da Berlino Ovest.
A questo punto Brecht ha parlato di
pericolo fascista. Ero accanto a lui; l'ho visto discutere con gli
operai. Li ha incoraggiati a proseguire lo sciopero, mettendoli però
in guardia contro questo pericolo".
La verità è
che Bertolt Brecht ha anche cercato di fare da mediatore, chiedendo
alle autorità di cedere le antenne radio alla troupe del
Berliner Ensemble. Ha proposto al governo di avviare un dialogo con
la popolazione, di riconoscere e spiegare alcuni errori. Ma della sua
lettera al dirigente comunista Walter Ulbricht è stata
pubblicata solo l'ultima frase: "Tengo a esprimere in questo
momento la mia solidarietà con il partito socialista unificato
(13)."
Brecht si era dunque buttato nel bel mezzo della mischia; non era
affatto rimasto ai margini, come immaginò Gfnter Grass nella
sua pièce I plebei provano la rivoluzione (14).
Lungi dal rinchiudersi nel suo teatro come in una torre d'avorio, era
sceso in strada. E aveva scritto, in seguito a questi eventi, i suoi
celebri versi: se il popolo non può sciogliere il governo,
"non sarebbe più semplice che il governo sciolga il
popolo e ne elegga un altro?".
Di fatto, gli apparatchiks
dell'Rdt hanno sempre diffidato di Brecht. Il suo teatro non era
abbastanza conforme ai dogmi del realismo socialista. Lo
rimproveravano di essere troppo "formalista", "cosmopolita"
e "pacifista". Le sue opere peccavano per l'assenza di eroi
positivi della classe operaia.
Soltanto la sua fama internazionale
valse a proteggerlo da più pesanti attacchi. Werner Hecht
ricorda in proposito alcune frasi lucidissime di Helene Weigel: "Non
eravamo come avrebbero voluto.
Ma non volevano neppure perdere ciò
che rappresentavamo per loro". A incominciare, ovviamente, dal
prestigio internazionale .
.. L'ambiguità dello status di
Bertolt Brecht nella Rdt è confermata dal regista Peter Voigt,
che nel 1954 arrivò ventenne al Berliner Ensemble come
assistente alla regia: "Il suo teatro era contemporaneamente
criticato e sovvenzionato". Sempre nel 1954, Peter Voigt ha
assistito al successo trionfale della troupe al Teatro Sarah Bernard
di Parigi, e ricorda una frase di Brecht: "Abbiamo amici veri
solo in Polonia e in Francia".
Bertolt Brecht opportunista?
Per rispondere a questa domanda bisognerebbe oltre tutto spiegare
perché, convinto com'era che il teatro potesse contribuire a
trasformare il mondo, dopo la guerra abbia scelto di vivere nella
Rdt, e perché vi sia rimasto.
Per interesse, lascia
intendere John Fuegi: gli avevano messo a disposizione una sala,
fruiva di sovvenzioni, aveva ricevuto il premio Stalin e altri
privilegi. Diverso il parere di Giorgio Strehler, fondatore del
Piccolo Teatro di Milano e amico di Brecht: "Sperava che questo
socialismo senza libertà si potesse trasformare in un
socialismo delle libertà (15)".
I motivi della scelta iniziale di vivere nella Rdt sono comunque
chiaramente indicati dallo stesso interessato, per bocca del
protagonista di uno dei suoi Racconti di Keuner, che spiega: tra un
salotto elegante e una cucina, aveva scelto di stare in cucina, per
mettere le mani in pasta insieme con le cuoche (16).
E la decisione di rimanervi si comprende bene anche da uno scambio di
battute: nel dicembre 1955, a un allievo che gli chiedeva cos'altro
avrebbe voluto trasformare con il suo teatro dialettico, in uno stato
socialista in cui lotta di classe non esisteva più, Brecht
rispose che vi sarebbero state sempre contraddizioni da rivelare e da
risolvere (17).
Ma
l'aspetto più sorprendente del libro di John Fuegi è
che il suo autore, docente di letteratura comparata, non tenta la
benché minima analisi delle opere teatrali di Brecht. Eppure è
evidente che, al di là degli attacchi contro l'uomo, il
bersaglio è la sua opera, la forza del suo impatto. Brecht
rimane l'autore teatrale più rappresentato in Germania. A
Mosca, l'autunno scorso, l'Opera da tre soldi, nell'allestimento di
Vladimir Maschkow, è stata applaudita da una platea stracolma;
e non a caso. Quando Bertolt Brecht raffigura un mondo affaristico
corrotto quanto quello della teppaglia, i moscoviti non stentano a
riconoscervi la società mafiosa di casa propria. Resta da
sapere cosa provano quando canticchiano con Mecky Messer "Cos'è
mai rapinare una banca? Molto meglio fondarne una!" Senso di
rivolta, o voglia di sognare?
di
Brigitte Pètzold, Giornalista, Berlino
note:
*Giornalista,
Berlino
(1)
La versione americana è stata pubblicata sotto il titolo
Brecht & Co., Sex, Politics and the Making of the Modern Drama,
da Grove Press, New York, nel 1994. La versione francese è
apparsa qualche mese dopo, nell'aprile 1995: John Fuegi, Brecht et
Compagnie., Sexe, politique et l'invention du théatre moderne,
Fayard, Parigi, 876 pagine., 240 F.
(2)
John Fuegi, Brecht & Co., Biographie, Europèische
Verlagsanstalt, Amburgo, 1997, 1086 pagine.
(3)
Stefan Brecht, figlio di Bertolt Brecht e di Helene Weigel, ha donato
alla Harvard University di New York, e resa accessibile a John Fuegi,
copia del contenuto dell'archivio brechtiano tedesco conservato a
Berlino.
(4)
In numerose lettere che queste donne scambiarono con Brecht, la lotta
antifascista è stata definita "la terza cosa".
(5)
Werner Hecht, Brecht Chronik, Suhrkamp, Francoforte, 1997.
(6)
Idem, p. 1259.
(7)
Sabine Kebir, Ein alezeptablo Mann. Der Morgen, Berlin, 1987.
(8)
Sabine Kebir, Ich fragte nicht nach meinem Anteil, Aufbau, Berlino,
1997.
(9)
Le Monde, 10 maggio 1995.
(10)
Klaus VÜlker, Bertolt Brecht. Carl Hanser, Monaco, 1976.
(11)
Werner Mittenzwei, Das Leben des Bertolt Brecht, 2 volumi, edizione
tascabile, Aufbau Taschenbuch Verlag, Berlin, 1996.
(12)
Leggere "Comunismo, le falsificazioni di un libro nero", le
Monde diplomatique/il manifesto, dicembre 1997.
(13)
Werner Mittenzwei, op. cit., vol. II, pag. 494.
(14)
Gfnter Grass, "I plebei provano la rivoluzione", in Tutto
il teatro, Feltrinelli, 1968.
(15)
Giorgio Strehler in Brecht après la chute. Confessions,
mémories, analyses, L'Arche, Parigi, 1993, p.109.
(16)
Idem, pag. 108.
(17)
Hans Mayer, Brecht, Suhrkamp, Francoforte, 1996, pagine.
296-
298.
(Traduzione di P.M.)
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