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Massimo Carlotto |
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Carlotto, la vendetta e il perdono |
Diversi livelli di lettura, una storia sorprendente, colpi di scena mozzafiato, il tutto a partire da una trama che parrebbe delle più banali: il cittadino che si fa giustizia da sé. Massimo Carlotto costruisce sulla vendetta cruenta di un uomo che ha perso il figlio e la moglie durante una rapina, un romanzo originalissimo, con una storia impeccabile e, come sempre, un invito a riflettere su argomenti di grande attualità.
In L'oscura immensità della notte Carlotto racconta la storia del rapinatore, che è in carcere, malato terminale e chiede la grazia. Che può essere concessa soltanto con l'assenso delle vittime. Ma il sopravvissuto, non ha superato il trauma e il dolore, ha cambiato vita radicalmente e si è isolato dal mondo. La domanda di grazia scatena una reazione imprevedibile anche per lui, che architetta il suo piano. Tra colpi di scena e ribaltamenti improvvisi della situazione, il lettore non può che porsi parecchie domande, che abbiamo rivolto all'autore. Prima fra tutte, il suo punto di vista sulla grazia. Prendo una posizione molto precisa, sostengo che lo Stato deve decidere nell'interesse generale senza delegare ai parenti delle vittime. Questi ultimi infatti dovrebbero già avere avuto tutta la giustizia possibile dal processo.
Ma la storia non è un tantino simbolica?
Sì, però svela un'ipocrisia. Le vittime concedono raramente il perdono, per loro la pena non basta mai. Un esempio per tutti sono le urla di giubilo dei parenti delle vittime quando, negli Stati Uniti, escono dal luogo dove è avvenuta l'esecuzione. Tutto questo per dire che, quando delega ai parenti una decisione di quel tipo, lo Stato si riduce a una dimensione tribale.
Mi sembra che nel suo libro si parli parecchio anche di carcere.
Questo è un libro contro l'ergastolo e a favore della seconda possibilità. Tutti ne hanno diritto, se non non si spiega il fine rieducativo della pena che è sancito dalla Costituzione.
Il fine rieducativo si vede poco, se vede bene invece quanto la reclusione influisce sulla personalità.
Il carcere cambia enormemente le persone in bene o in male. Ma cambia in profondità e i parenti delle vittime non possono percepire il cambiamento, lo Stato invece sì.
Contin, uno dei due protagonisti, è una figura emblematica di parente delle vittime?
Il problema delle vittime e dei parenti è che la comunità che li circonda dovrebbe farsi carico di rimarginare le loro ferite dal punto di visto sociale e umano. Invece succede il contrario, si verifica una sorta di emarginazione. Contin rappresenta le estreme conseguenze di questa emarginazione.
E Beggiato, il contrario, l'opposto, il coprotagonista, cosa rappresenta?
Volevo sottolineare l'insensatezza delle scelte di etica criminale. In assoluto, ma soprattutto quelle legate a situazioni del genere. Perché, per quanto insensate, fanno parte della realtà.
Cosa pensa delle disavventure della legge Boato che, se approvata, avrebbe favorito la grazia a Sofri?
Che avrebbe migliorato le cose. E che ci sia stato un voltafaccia su accordi stretti in precedenza, semplicemente per tornaconto elettorale. E' il trionfo della parte liberticida del Paese, quella che ha espresso il ministro della giustizia, evidentemente.
Intervista di Antonella Viale IL SECOLO XIX 26/04/2004