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testi

ANTON CECOV

IL FIAMMIFERO SVEDESE


La mattina del 6 ottobre 1885 si presentò nell'ufficio del commissario di polizia rurale della seconda sezione del distretto di S. un giovanotto decorosamente vestito e dichiarò che il suo padrone, la cornetta della guardia a riposo Mark Ivànovic' Kliausov, era stato ucciso. Facendo tale dichiarazione, il giovanotto era pallido e oltremodo agitato. Le sue mani tremavano e i suoi occhi eran pieni di sgomento.

- Con chi ho l'onore di parlare? - gli domandò il commissario.

- Psekov, l'intendente di Kliausov. Agronomo e meccanico.

Il commissario e i testimoni giunti sul luogo insieme con Psekov trovarono quanto segue. Vicino all'ala della casa in cui dimorava Kliausov s'affollava una massa di gente. La notizia dell'accaduto era volata con la celerità del lampo per i dintorni, e la gente, grazie alla giornata festiva, si riversava verso la casa da tutti i villaggi circonvicini. C'era chiasso e vocio. Qua e là s'incontravano delle facce pallide, rosse di pianto. L'uscio della camera di Kliausov fu trovato chiuso. Dall'interno sporgeva la chiave.

- Evidentemente, i malfattori si sono introdotti da lui per la finestra, - osservò Psekov durante l'esame dell'uscio.

Andarono nel giardino, dove riusciva la finestra della camera. La finestra aveva un aspetto tetro, sinistro. Era munita d'una tendina verde, scolorita. Un angolo della tendina era lievemente accartocciato, il che dava la possibilità di guardar nella camera.

- Qualcuno di voi ha guardato per la finestra?-domandò il commissario.

- Per nulla, signoria, - disse il giardiniere Jefrèm, un piccolo vecchietto canuto con un viso di sottufficiale a riposo. - S'ha ben altra voglia che di guardare, quando ti tremano i ginocchi!

- Eh, Mark Ivanic', Mark Ivanic'!-sospirò il commissario.

guardando la finestra. - Te lo dicevo io che saresti finito male! Te lo dicevo, anima cara, - non m'hai dato ascolto! Gli stravizi non menano a bene!

- Va ringraziato Jefrèm, - disse Psekov, - senza di lui non ce ne saremmo neppur accorti. A lui per primo venne in mente che qui qualcosa non fosse in regola. Viene da me stamattina e dice: «Ma perché il nostro padrone dorme così a lungo dopo la sbornia? E' un'intera settimana che non esce di camera!». Come mi ebbe detto questo, fu come se qualcuno m'avesse colpito col dorso d'una scure...

Subito mi balenò un pensiero... Lui non si faceva vedere da sabato scorso, e oggi è domenica! Sette giorni: è uno scherzo a dirlo!

- Sì, poveretto... - sospirò ancora una volta il commissario. Un ragazzo intelligente, istruito, tanto buono in compagnia, si può dire, il primo degli uomini. Ma un dissoluto, si abbia il regno dei cieli!

Io mi aspettavo tutto! Stepàn! - si rivolse il commissario a uno dei testimoni: - passa sul momento al mio ufficio e manda Andriuska dall'"ispravnik", gli riferisca! Di': "hanno ammazzato Mark Ivanic'!".

Corri anche dal brigadiere: perché sta là a crogiolarsi? Che venga qui! E tu stesso recati, al più presto possibile, dal giudice istruttore: Nikolài Jermolaic' e digli di venir qua! Aspetta, gli scriverò una lettera.

Il commissario dispose delle guardie all'ala della casa. Scrisse la lettera al giudice istruttore e andò dall'intendente a prendere il tè.

Di lì a una decina di minuti era seduto su uno sgabello, mordeva cautamente nel pezzo di zucchero e sorbiva un tè caldo come i carboni ardenti.

- Ecco-diceva egli a Psekov. - Ecco... Nobile, ricco... beniamino degli dèi, si può dire, come si espresse Puskin, e che n'è venuto fuori? Nulla! Si ubriacava, faceva vita dissoluta e... eccoti!... l'hanno ammazzato.

Due ore dopo giunse in carrozza il giudice istruttore Nikolài Jermolaievic' Ciubikòv (così si chiama il giudice), un vecchio alto, robusto, sui sessanta, si esercita nella sua carriera ormai da un quarto di secolo. E' noto a tutto il distretto come uomo onesto, intelligente, energico e amante del suo mestiere. Arrivò sul luogo insieme con lui anche il suo immancabile compagno, aiutante e segretario Diukovski, un giovanotto alto, di circa ventisei anni.

- Ma possibile, signori? - prese a dir Ciubikòv, entrando nella stanza di Psekov e stringendo alla svelta la mano a tutti. - Possibile? Mark Ivanic'? L'hanno ucciso? No, è impossibile! Im-pos-si- bi-le!

- Guardate un po'... - sospirò il commissario.

- O Signore Dio mio! Ma se lo vidi la scorsa settimana alla fiera di Tarabànkova! Con lui, scusate, bevvi la vodka!

- Guardate un po' - sospirò un'altra volta il commissario.

Sospirarono, inorridirono, bevvero un bicchiere di tè a testa e andarono verso l'ala della casa.

- Scostatevi! - gridò il brigadiere alla gente.

Entrato dentro, il giudice istruttore attese innanzi tutto all'esame dell'uscio che metteva nella camera. L'uscio risultò di pino, dipinto in giallo e intatto. Segni particolari, che potessero offrire qualche indicazione, non ne furono trovati. Si procedette a forzarlo.

- Prego, signori, gli estranei di allontanarsi! - disse il giudice istruttore, quando, dopo un lungo battere e lunghi scricchiolii, l'uscio cedette alla scure e allo scalpello. - Prego nell'interesse dell'inchiesta... Brigadiere non lasciate entrar nessuno!

Ciubikòv, il suo aiutante e il commissario aprirono l'uscio e, incerti, uno dopo l'altro, entrarono nella camera. Ai loro occhi si presentò il seguente spettacolo. Presso l'unica finestra stava un gran letto di legno con un'enorme materassa di piume. Sulla materassa ammaccata giaceva la coperta sgualcita, ammucchiata. Il guanciale in federa di percalle, pure fortemente gualcito, era buttato sul pavimento. Su un tavolino davanti al letto c'erano un orologio d'oro e una moneta d'argento del valore di venti copeche. Stavan lì anche degli zolfanelli. Oltre il letto, il tavolino e un'unica sedia, non c'era nella camera altra mobilia. Dato uno sguardo sotto il letto, il commissario scorse un paio di decine di bottiglie vuote, un vecchio cappello di paglia e un quarto di vodka. Sotto il tavolino giaceva uno stivale coperto di polvere. Abbracciata con uno sguardo la stanza, il giudice istruttore aggrottò le ciglia e si fece rosso.

- Furfanti! - borbottò, stringendo i pugni.

- Ma dov'è Mark Ivanic'? - domandò piano Diukovski.

- Vi prego di non immischiarvi! - gli disse rudemente Ciubikòv. - Vogliate osservare il pavimento! il secondo caso del genere nella mia pratica, Jevgràf Kuzmìc', - si rivolse al commissario, abbassando la voce - Nel 1870 mi accadde un caso uguale. Ma voi di sicuro ricorderete... L'assassinio del mercante Portretov. Là pure fu così. I furfanti l'avevano ucciso e avevan portato via il cadavere attraverso la finestra...

Ciubikòv si avvicinò alla finestra, tirò da una parte la tendina e spinse cautamente la finestra. Questa si aprì.

- Si apre, dunque non era stata chiusa.... Uhm.... Tracce sul davanzale. Vedete? Ecco le tracce d'un ginocchio... Qualcuno s'arrampicò di là... Sarà necessario esaminare la finestra come si deve.

- Sul pavimento non si nota nulla di speciale, - disse Diukovski - Né macchie, né graffiature. Ho trovato soltanto un fiammifero svedese bruciato. Eccolo. Per quanto ricordo, Mark Ivanic' non fumava; nella vita quotidiana poi usava zolfanelli, e nient'affatto fiammiferi svedesi. Questo fiammifero può servire d'indizio...

- Ah. state zitto, per piacere. -scosse la mano il giudice istruttore. - Vien fuori col suo fiammifero! Non posso soffrire le teste vulcaniche! Invece di cercar fiammiferi, fareste meglio a esaminare il letto.

Dopo l'esame del letto Diukovski riferì:

- Né macchie di sangue, né altre d'alcun genere... Strappi freschi pure non ce ne sono. Sul guanciale tracce di denti. La coperta è stata bagnata con un liquido che ha l'odor della birra e ne ha anche il gusto... L'aspetto generale del letto dà il diritto di pensare che su di esso sia avvenuta una lotta.

- Lo so anche senza di voi che ci fu lotta! Non vi si domanda della lotta. Invece di cercar la lotta, fareste meglio...

- Uno stivale è qui, l'altro non risulta presente.

- Be'. che c'è?

- C'è che l'hanno soffocato quando si cavava gli stivali. Non fece in tempo a cavarsi l'altro stivale che...

- Già ha preso la mano! E come fate a sapere che l'hanno soffocato?

- Sul guanciale ci son tracce di denti. Il guanciale stesso è stato fortemente brancicato e scagliato a due "arscini" e mezzo dal letto.

- E discorre, il cicalone! Andiamo piuttosto in giardino. Fareste meglio a guardare in giardino, invece di rovistar qui... Questo lo farò io anche senza di voi.

Arrivati in giardino, l'inchiesta si occupò innanzi tutto dell'esame dell'erba. L'erba sotto la finestra era calpestata. Un cespuglio di bardana sotto la finestra proprio contro il muro apparve pure calpestato. A Diukovski riuscì di trovarvi alcuni ramoscelli rotti e dei pezzetti di ovatta. Sui capolini superiori furon trovati dei fini peluzzi di lana azzurra scura.

- Di che tinta era il suo ultimo vestito? -domandò Diukovski a Psekov.

- Giallo, di tela grossa.

- Benissimo. Loro dunque eran vestiti di azzurro.

Alcuni capolini di bardana furono recisi e accuratamente involtati in una carta. In questo momento arrivò l'"Ispravnik" Artsibascev- Svistakovski col dottor Tiutiuev. L'"ispravnik" salutò e subito si accinse a soddisfare la sua curiosità: il dottore invece, un uomo alto e sommamente scarno con occhi infossati, naso lungo e mento aguzzo, senza salutar nessuno e senza domandar di nulla, sedette su un ceppo, sospirò e proferì:

- E i serbi son di nuovo sottosopra! Che cosa occorre loro, non Capisco! Ah Austria, Austria! Questa è opera tua!

L'esame della finestra dall'esterno non diede proprio alcun risultato; l'esame dell'erba invece e dei cespugli prossimi alla finestra fornì all'inchiesta molte utili indicazioni. A Diukovski riuscì, per esempio, di seguire nell'erba una lunga striscia scura costituita da chiazze, che si stendeva dalla finestra nell'interno del giardino per alcune tese. La striscia terminava sotto uno degli arbusti di lilla con una gran macchia d'un bruno scuro. Sotto lo stesso arbusto fu trovato uno stivale che risultò fare il paio con quello trovato in camera.

- Questo è sangue non recente! - disse Diukovski, esaminando le chiazze.

Il dottore alla parola "sangue" si sollevò e pigramente di sfuggita gettò un'occhiata alle macchie.

- Sì, è sangue, - borbottò.

- Dunque non fu soffocato, se è sangue! - disse Ciubikòv, dato uno sguardo sarcastico a Diukovski.

- In camera lo soffocarono, qui poi, temendo che si riavesse, lo colpirono con qualcosa di tagliente. La macchia sotto il cespuglio mostra ch'egli restò lì disteso un tempo relativamente lungo, mentr'essi cercavano come e su che cosa portarlo fuori dal giardino.

- Be' e lo stivale?

- Questo stivale conferma anche più il mio pensiero che l'uccisero mentr'egli, prima di andar a dormire, si cavava gli stivali. Uno stivale se lo tolse, l'altro invece, cioè questo, fece in tempo a cavarselo soltanto a metà. Lo stivale tolto solo a mezzo venne via da sé durante gli scossoni e la caduta...

- Che immaginativa, guarda un po'! - sogghignò Ciubikòv. - E parla così reciso, così reciso! Ma quando perderete l'abitudine di venir fuori coi vostri ragionamenti? Invece di ragionare, fareste meglio a prendere un po' d'erba col sangue.

Dopo il sopralluogo e la rilevazione della pianta del sito, gl'inquirenti si diressero dall'intendente per redigere il verbale e far colazione. Durante la colazione si misero a discorrere.

- L'orologio, il denaro e il resto... tutto è intatto. - cominciò la conversazione Ciubikòv. - Come due per due fa quattro, l'assassinio non è stato commesso a fin di lucro.

- E' stato commesso da persona evoluta, - mise bocca Diukovski.

- Da che cosa lo deducete?

- Viene in mio aiuto il fiammifero svedese, il cui uso i contadini del luogo ancora non conoscono. Usano tali fiammiferi solo i proprietari, e anche non tutti. A proposito, non lo uccise uno solo, ma furono al minimo tre: due lo tenevano, e il terzo lo soffocava. Kliausov era forte, e gli assassini dovevano saperlo.

- A che poteva servirgli la sua forza, s'egli, poniamo, dormiva?

- Gli assassini lo sorpresero mentre si cavava gli stivali. Stava cavandosi gli stivali, dunque non dormiva.

- Non è il caso d'inventare! Mangiate piuttosto!

- Ma secondo il mio concetto, alta signoria , - disse il giardiniere Jefrèm, mettendo in tavola il samovàr - proprio questa infamia non l'ha fatta nessun altro che Nicolaska.

- Possibilissimo, - disse Psekov - E chi è questo Nikolaska?

- Il cameriere del padrone, alta signoria, - rispose e Jefrèm. - Chi altri poteva farla, se non lui? Un malfattore, alta signoria! Un ubriacone e un libertino che ce ne preservi la Regina dei Cieli! Al padrone lui portava sempre la vodka, il padrone lui lo metteva in letto... Chi dunque, se non lui? E ancora per giunta, mi prendo l'ardire di farlo presente a vossignoria, si vantò una volta alla bettola, il furfante, che avrebbe ammazzato il padrone. Tutto è venuto per causa di Akulka per causa d'una donna... Lui ci aveva una tale, moglie d'un soldato... Al padrone era piaciuta-egli l'aveva avvicinata a sé, be', e lui, si sa, s'era adirato... Adesso è sdraiato in cucina. Piange... Va cianciando che il padrone gli fa pena...

- Ma realmente per Akulina ci si può adirare, - disse Psekov. - E' moglie d'un soldato, una campagnuola ma... Non per nulla Mark Ivanic' l'aveva soprannominata Nanà . C'è in lei qualcosa che ricorda Nanà... un che d'attirante...

- L'ho vista... So... - disse il giudice istruttore, soffiandosi il naso in un fazzoletto rosso. Diukovski arrossì e abbassò gli occhi. Il commissario prese a tamburellare col dito sul piattino. L'"ispravnik" ebbe un accesso di tosse e cercò qualche cosa nella borsa delle carte.

Sul solo dottore, evidentemente, non aveva fatto alcuna impressione il ricordo di Akulka e di Nanà. Il giudice istruttore ordinò che si conducesse Nikolaska. Nikolaska, un giovanotto di campagna, spilungone, dal naso lungo, butterato e dal petto incavato, in giacca smessa dal padrone, entrò nella stanza di Psekov e s'inchinò al giudice fino a terra. Il suo viso era assonnato e rosso di pianto.

Egli poi era ubriaco e a stento si reggeva in piedi.

- Dov'è il padrone? - gli domandò Ciubikòv.

- L'hanno ammazzato, alta signoria.

Detto ciò, Nikolaska prese a batter gli occhi e a piangere.

- Sappiamo che l'hanno ammazzato. E dov'è ora? Il suo corpo dov'è?

- Dicono che l'han tirato fuori per la finestra e sotterrato in giardino.

- Uhm!... I risultati dell'inchiesta son già noti in cucina...

Malissimo. Caro, dov'eri tu quella notte, quando fu ucciso il padrone?

Sabato, cioè?

Nikolaska levò in su la testa, protese il collo e si mise a pensare.

- Non posso sapere, alta signoria, - disse. - Avevo bevuto e non rammento.

- Un "alibi" ! - mormorò Diukovski, sogghignando e fregandosi le mani.

- Sì. Ma perché sotto la finestra del padrone c'è del sangue?

Nikolaska alzò il capo e si mise a pensare.

- Pensa più svelto! - disse l'"ispravnik".

- Subito. Quel sangue c'è per una cosa da nulla, alta signoria. Avevo sgozzato una gallina. L'avevo sgozzata molto semplicemente, come al solito, ma essa a un tratto mi sfuggì di mano, a un tratto scappò via... E proprio per questo c'è il sangue.

Jefrèm testimoniò che, realmente, Nikolaska ogni sera ammazzava delle galline e in vari posti, ma nessuno aveva visto che la gallina non bene sgozzata fosse corsa per il giardino, il che, per altro, non si poteva negare.

- Un "alibi", - sogghignò Diukovski. - E che alibi sciocco!

- Con Akulka eri in relazione?

- Feci peccato.

- E il padrone te la soffiò?

- Nient'affatto. A me Akulka la portò via, ecco, lui, il signor Psekov, Ivàn Michailic', e a Ivàn Michailic' la portò via il padrone.

Così fu la cosa.

Psekov si turbò e prese a grattarsi l'occhio sinistro. Diukovski gli piantò gli occhi in faccia, vi lesse il turbamento e sussultò. Addosso all'intendente aveva veduto dei calzoni azzurri, ai quali prima non aveva fatto attenzione. I calzoni gli ricordarono i peluzzi azzurri trovati sulla bardana. Ciubikòv, a sua volta, guardò sospettosamente Psekov.

- Vattene! - diss'egli a Nikolaska. - E ora permettete che vi si rivolga una domanda, signor Psekov. Voi certo, tra il sabato e la domenica foste qui?

- Sì, alle dieci cenai con Mark Ivanic'.

- E poi?

Psekov si turbò e si alzò da tavola.

- Poi... poi... Davvero, non rammento, - borbottò. - Allora avevo bevuto molto... Non rammento dove e quando mi addormentai... Perché mi guardate tutti così? Come se io l'avessi ucciso!

- Dove vi svegliaste?

- Mi svegliai nella cucina della servitù sopra la stufa.. Tutti possono confermarlo. Come fossi capitato sulla stufa non so...

- Non agitatevi... Akulina la conoscevate?

- Qui non c'è nulla di speciale...

- Da voi era passata a Kliausov?

- Sì... Jefrèm, servi ancora dei funghi! Volete del tè, Jevgràf Kuzmìc'?

Seguì un silenzio greve, angoscioso, che si prolungò un cinque minuti.

Diukovski taceva e non staccava i suoi occhi pungenti dal viso impallidito di Psekov. Il silenzio fu rotto dal giudice istruttore.

- Sarà necessario, - egli disse, - passare alla casa grande e là parlare un po' con la sorella del defunto Maria Ivànovna. Chi sa che non ci dia qualche indicazione.

Ciubikòv e il suo aiutante ringraziarono per la colazione e andarono alla casa padronale. La sorella di Kliausov, Maria Ivànovna, una zitella quarantacinquenne, la trovarono che pregava davanti all'alto stipo familiare delle immagini. Scorgendo nelle mani dei visitatori delle borse e dei berretti con coccarda, ella impallidì.

- Vi reco, innanzi tutto, le mie scuse per aver turbato, dirò così, la vostra pia disposizione, - cominciò strisciando una riverenza, il galante Ciubikòv. - Veniamo da voi con una preghiera. Voi, certo, avete già sentito... si ha il sospetto che vostro fratello, in qualche modo, sia stato ucciso. E' il voler di Dio sapete... Alla morte nessuno sfugge, né gli zar né i bifolchi. Non potreste voi aiutarci con qualche indicazione o schieramento?

- Ah, non domandatemi! - disse Maria Ivànovna, impallidendo ancor di più e coprendosi il viso con le mani. - Io non posso dirvi nulla!

Nulla! Vi supplico! Io nulla... Che posso io? Ah, no, no... nemmeno una parola di mio fratello! Dovessi morire, non la direi!

Maria Ivànovna si mise a piangere e se n'andò in un'altra stanza.

Gl'inquirenti si scambiarono uno sguardo, si strinsero nelle spalle e si ritirarono.

- Donnetta del diavolo! - la ingiuriò Diukovski, uscendo dalla casa grande.-Evidentemente, sa qualcosa e lo nasconde. Anche la cameriera ha qualcosa scritto in faccia... Ma aspettate, diavoli!

Decifreremo tutto!

La sera Ciubikòv e il suo aiutante, illuminati da una pallida luna, se ne tornavano a casa; erano seduti nel sarabachino e facevano nelle loro teste il bilancio della giornata trascorsa. Entrambi erano affaticati e tacevano. A Ciuhikòv, in generale, non piaceva parlare in viaggio, e il chiacchierone Diukovski stava zitto per far piacere al vecchio. Alla fine del cammino però l'aiutante non resse più al silenzio e si mise a dire:

- Che Nikolaska abbia parte in questa faccenda, - diss'egli, - "non dubitandum est" . Anche dal suo muso si vede che tomo sia...

L'alibi ce lo dà mani e piedi legati. Non c'è dubbio anche che in questa faccenda non è lui l'iniziatore. Egli è stato soltanto uno stupido, prezzolato strumento. Siete d'accordo? Non rappresenta l'ultima parte in questa faccenda nemmeno il modesto Psekov. I calzoni azzurri, il turbamento, il dormir sulla stufa dalla paura dopo l'assassinio, l'"alibi" e Akulka...

- Macina! Jemelia, è la tua settimana ! Secondo voi, dunque, l'assassino è colui che conosceva Akulka? Eh, testa calda! Il poppatoio dovreste succhiare, e non istruir cause! Voi pure corteggiavate Akulka: allora anche voi siete complice in questa faccenda?

- Anche in casa vostra Akulka è stata un mese come cuoca, ma... io non dico nulla. La notte avanti quella domenica giocai con voi a carte e vi vidi, altrimenti mi sarei attaccato anche a voi. La faccenda, "bàtenkca", non sta nella donna. La faccenda sta in un sentimento vigliacchetto, sudicetto, bruttino... Al modesto giovanotto dispiacque, vedete, che non fosse stato lui ad aver la meglio. L'amor proprio, vedete... Gli venne voglia di vendicarsi. Poi... Le sue grosse labbra parlano fortemente della sua sensualità. Ricordate che schiocchi faceva con le labbra, quando paragonava Akulka a Nanà? Che lui, il farabutto, arda di passione è indubitabile! E così: amor proprio offeso e passione inappagata. Ce n'è a sufficienza per commettere un assassinio. Due sono nelle nostre mani; ma chi è il terzo? Nikolaska e Psekov lo tenevano. Ma chi l'ha soffocato? Psekov è timido, impacciato, in generale è un vile. I Nikolaska poi non sanno soffocar con un guanciale; essi agiscono con la scure, col dorso della scure... L'ha soffocato un qualche terzo, ma chi e?

Diukovski si calcò il cappello sugli occhi e si mise a pensare. Egli tacque fino a che il sarabachino non s'accostò alla casa del giudice istruttore.

- "Eureka"! - disse, entrando nella casetta e togliendosi il pastrano. - Eureka, Nikolài Jermolaic'! Non so soltanto come ciò non mi sia venuto in mente prima. Sapete chi è il terzo?

- Lasciate, per favore! Ecco, la cena è pronta! Sedete e cenate!

Il giudice istruttore e Diukovski si misero a cena. Diukovski si versò un bicchierino di vodka, si sollevò, si protese e, con gli occhi sfavillanti, disse:

- Allora sappiate che il terzo che ha agito di concerto col furfante Psekov e l'ha soffocato è stato una donna! Sissignore! Parlo della sorella dell'ucciso, di Maria Ivànovna!

A Ciubikòv la vodka andò per traverso ed egli fissò gli occhi su Diukovski.

- Voi... non siete un po'...? La vostra testa... non è un po'...? Non vi duole?

- Io sto benone. Va bene, sarò impazzito, ma come spiegate voi il suo turbamento al nostro apparire? Come spiegate la sua riluttanza a farci dichiarazioni? Ammettiamo che queste sian bazzecole: sta bene!

d'accordo! allora ricordatevi dei loro rapporti. Lei odiava suo fratello! Lei è una vecchia credente , lui era un dissoluto, un ateo... Ecco dove s'annida l'odio! Dicono ch'egli fosse riuscito a convincerla d'essere lui un angelo di satana. In sua presenza s'occupava di spiritismo!

- Be', e che c'è?

- Non capite? Lei, vecchia credente, l'ha ucciso per fanatismo! Nonché aver soppresso la mala erba, un dissoluto, ha liberato il mondo dall'anticristo, e in ciò, ella pensa, è il suo merito, la sua grande impresa religiosa! Oh, voi non conoscete queste vecchie zitelle e vecchie credenti! Leggete un po' Dostoievski! E quel che scrivono Leskov, Pecerski! ... E' lei, è lei, anche se m'ammazzaste! Lei l'ha soffocato! Oh, perfida donna! Forse che non stava presso le icone, quando noi entrammo, solo per stornare i nostri sguardi? Come a dire: ecco, mi metto lì a pregare, e loro penseranno che io son tranquilla, che non li aspetto! E' il metodo di tutti i criminali novellini. Colombello, Nikolài Jermolaic'! Diletto mio! Affidate a me questa faccenda! Lasciate che io personalmente la conduca a termine!

Mio caro! Io l'ho cominciata, e io la condurrò a termine.

Ciubikòv tentennò il capo e si accigliò.

- Sappiamo anche noi decifrare le faccende difficili, - disse. - E non è affar vostro impicciarvi dove non tocca. Scrivete sotto dettatura, quando vi si detta: ecco il vostro compito!

Diukovski s'infiammò, sbatté la porta e uscì.

- Testa fina, il briccone! - borbotta Ciubikòv, seguendolo con lo sguardo.-Gra-an testa fina! E' soltanto focoso a sproposito.

Bisognerà comprare alla fiera un portasigari per fargliene un presente...

La mattina del giorno dopo fu condotto al giudice istruttore da Kliausovka un ragazzotto di campagna dalla testa grossa e il labbro leporino che, qualificatosi il pastore Danilka,fece un'interessantissima deposizione. - Avevo bevuto, - disse. - Fino a mezzanotte ero stato dalla comare. Andando a casa, ubriaco com'ero, entrai nel fiume per bagnarmi. Mi bagno... e che vedo? Vanno lungo la diga due uomini e portano qualcosa di nero. «Olà!», gridai loro.

Quelli si presero paura e a tutte gambe via verso gli orti di Makàrievo. Che Dio mi fulmini, se non trascinavano il padrone!

In quello stesso giorno verso sera Psekov e Nikolaska furono arrestati e inviati sotto scorta al capoluogo del distretto. In città furon messi in carcere.



Trascorsero dodici giorni.

Era mattina. Il giudice istruttore Nikolài Jermolaic' stava seduto in casa davanti a una tavola coperta di panno verde e sfogliava la pratica «di Kliausov»; Diukovski inquieto, come un lupo in gabbia, camminava da un angolo all'altro.

- Voi siete convinto della colpevolezza di Nikolaska e di Psekov,- egli diceva, stiracchiando nervosamente la sua giovane barbetta. - Ma perché non volete convincervi della colpevolezza di Maria Ivànovna?

Avete forse pochi indizi?

- Io non dico di non essere convinto. Sono convinto ma, in certo qual modo, non posso credere... Indizi veri non ce ne sono, ma è tutta non so che filosofia... Il fanatismo, e questo e quello...

- Ma a voi bisogna assolutamente presentare una scure, delle lenzuola insanguinate!... O giuristi! Allora io vi farò vedere! Voi la smetterete di trattare con tanta noncuranza il lato psicologico della faccenda! La vostra Maria Ivànovna dovrà andare in Siberia! Lo proverò! Se la filosofia non vi basta, io ho qualcosa di materiale.

Esso vi mostrerà quanto è giusta la mia filosofia! Lasciatemi soltanto fare un giretto.

- A che proposito questo?

- A proposito del fiammifero svedese... L'avete dimenticato? Io invece non l'ho dimenticato.Saprò chi l'accese nella stanza dell'assassinato! Non l'accese Nikolaska, né Psekov, presso i quali nella perquisizione non si trovarono fiammiferi, ma un terzo, cioè Maria Ivànovna. E lo proverò!... Lasciate solo che faccia un giro per il distretto, che m'informi...

- Be', d'accordo, sedete... Lasciatemi fare un interrogatorio.

Diukovski sedette a un tavolino e ficcò il suo lungo naso nelle carte.

- S'introduca Nikolài Tetiochov! - gridò il giudice istruttore.

Introdussero Nikolaska. Nikolaska era pallido e magro come un truciolo. Tremava.

- Tetiochov! - comincia Ciubikòv. - Nel 1879 voi foste giudicato dal giudice del primo mandamento per furto e condannato a pena carceraria. Nel 1882 foste giudicato una seconda volta per furto e per la seconda volta andaste in carcere... A noi tutto è noto...

Sul viso di Nikolaska si dipinse la meraviglia. L'onniscienza del giudice istruttore l'aveva sbalordito. Ma ben presto la meraviglia fu sostituita da un'espressione di supremo dolore. Egli si mise a singhiozzare e chiese il permesso di andare a lavarsi e calmarsi. Lo condussero fuori.

- S'introduca Psekov! - ordinò il giudice.

Introdussero Psekov. Il giovanotto negli ultimi giorni si era fortemente mutato in viso. S'era fatto magro, pallido e affilato. Nei suoi occhi si leggeva l'apatia.

- Sedete, Psekov, - disse Ciubikòv. - Spero che questa volta sarete ragionevole e non starete a mentire, come le altre volte. In tutti questi giorni avete negato la vostra partecipazione all'assassinio di Kliausov, nonostante tutta la massa d'indizi che parlano contro di voi. Ciò è irragionevole. La confessione allevia la colpa. Oggi discorro con voi per l'ultima volta. Se oggi non confesserete, domani sarà troppo tardi. Su via, narrateci...

- Io non so nulla... E i vostri indizi non li conosco, - bisbigliò Psekov.

- Avete torto! Be', allora permettete a me di narrarvi come fu la cosa. Il sabato sera voi vi tratteneste nella camera di Kliausov e beveste con lui vodka e birra. - (Diukovski affondò il suo sguardo nel viso di Psekov e non ne lo distolse per tutta la durata del monologo).-Vi serviva Nikolài. Verso l'una Mark Ivànovic' vi espresse il suo desiderio di coricarsi. Verso l'una si coricava sempre. Mentre si cavava gli stivali e v'impartiva gli ordini per l'azienda, voi e Nikolài, a un segno dato, afferraste il padrone alticcio e lo rovesciaste sul letto. Uno di voi gli sedette sulle gambe, l'altro sulla testa. In questo momento entrò dall'andito la donna a voi nota, vestita di nero, che in precedenza s'era accordata con voi circa la sua partecipazione a quest'azione criminosa. Ella afferrò il guanciale e prese a soffocarlo. Durante la lotta si spense la candela. La donna tirò fuori di tasca una scatoletta di fiammiferi svedesi e riaccese la candela. Non è così? Io vedo dalla vostra faccia che sto dicendo la verità. Ma poi... Dopo averlo soffocato ed esservi convinti che non respirava più, voi e Nikolài lo trascinaste fuori attraverso la finestra e lo posaste vicino alla bardana. Temendo che non si riavesse, lo colpiste con qualcosa di tagliente. Quindi lo portaste via e lo posaste per un certo tempo sotto il cespuglio di lilla. Dopo esservi riposati e aver riflettuto, lo portaste fuori...

Lo faceste passare attraverso la siepe... Poi seguiste la strada...

Più in là viene la diga. Vicino alla diga vi spaventa un certo contadino. Ma che avete?

Psekov, pallido come un cencio, si solleva e barcollò. - Soffoco! - disse. - Bene... e sia... Ma io esco fuori... per favore.

Psekov fu condotto fuori.

- Ha pur confessato infine! - e Ciubikòv si stirò dolcemente. S'è tradito! Come l'ho fatto cascare abilmente però! L'ho tempestato addirittura...

- E la donna vestita di nero non la nega! - si mise a ridere Diukovski. - Mi tormenta però enormemente il fiammifero svedese! Non posso pazientare più a lungo!

Diukovski si mise il berretto e partì. Ciubikòv cominciò a interrogare Akulka. Akulka dichiarò di non saper nulla di nulla...

- Io son vissuta soltanto con voi, e con nessun altro! - Disse.

Verso le sei di sera tornò Diukovski. Era agitato come non mai. Le sue mani tremavano a tal punto che non era in grado di sbottonare il pastrano. Le sue guance ardevano. Si vedeva ch'era tornato non senza novità.

- "Veni, vidi, vici"! - disse, piombando nella stanza di Ciubikòv e lasciandosi cadere in una poltrona. - Vi giuro sul mio onore che comincio a credere nella mia genialità! Ascoltate, che il diavolo ci porti! Ascoltate e meravigliatevi, vecchio mio! E' una cosa buffa e triste! Nelle nostre mani ce ne sono già tre... non è così? Io ho trovato il quarto o, più esattamente, la quarta, poiché anche questa è una donna! E che donna! Solo per poterle toccare le spalle darei dieci anni della mia vita! Ma... ascoltate... Sono andato a Kliausovka e mi son messo a descriverle intorno una spirale. Ho visitato in cammino tutte le bottegucce, le bettole, le cantine, chiedendo dappertutto dei fiammiferi svedesi. Dappertutto mi dicevano «no». Ho scarrozzato fino a questo momento. Venti volte perdetti la speranza e altrettante volte la riacquistai. Ho gironzolato tutto il giorno e solo un'ora fa mi sono imbattuto in ciò che cercavo. A tre verste da qui. Mi danno un pacchetto di dieci scatolette. Una sola scatola manca... Subito: «Chi ha comprato questa scatola?». «La tale... Le eran piaciuti... fanno un sibilo». Colombello mio! Nikolài Jermolaic'! Quel che può fare a volte un uomo che fu cacciato di seminario e ha letto e riletto Gaboriau la mente non lo può concepire! A datare da oggi comincio a stimarmi!... Ufff!... Be', andiamo!

- E dove?

- Da lei, dalla quarta... E' necessario affrettarsi, altrimenti...

altrimenti io brucerò dall'impazienza! Sapete chi è? Non indovinerete!

E' la giovane moglie del nostro commissario di polizia rurale, il vecchione Jevgràf Kuzmic', Olga Petrovna: ecco chi è! Fu lei a comprare quella scatola di fiammiferi!

- Voi... tu... voi... sei impazzito?

- E' comprensibilissimo! In primo luogo, fuma. Secondariamente, è innamorata fin sopra i capelli di Kliausov. Lui aveva respinto il suo amore per un'Akulka qualunque. Vendetta. Adesso rammento di averli sorpresi una volta in cucina dietro il paravento. Lei gli faceva dei giuramenti, e lui fumava la sigaretta di lei e gliene mandava il fumo sul viso. Andiamo però... In fretta, ché già si fa buio... Andiamo!

- Io non sono ancora impazzito al punto di andare, per un qualche ragazzetto, a incomodare di notte una donna distinta e onesta!

- Distinta, onesta... Dopo di ciò siete un cencio voi e non un giudice istruttore! Non mi ero mai preso la libertà di sgridarvi, ma adesso mi ci costringete! Un cencio! Un parruccone! Su via, caro, Nikolài Jermolaic'! Ve ne prego!

Il giudice istruttore scosse la mano e sputò.

- Vi prego! Vi prego non per me, ma nell'interesse della giustizia! Vi supplico, infine! Fatemi un favore almeno una volta nella vita!

Diukovski s'inginocchiò.

- Nikolài Jermolaic'! Su via, siate così buono! Chiamatemi farabutto, buono a nulla, se m'inganno riguardo a quella donna! Che processo, sapete! Che processo! Un romanzo, e non un processo! La fama ne andrà per tutta la Russia! Vi faranno giudice istruttore per cause di speciale importanza! Capitela, vecchio irragionevole!

Il giudice aggrottò le ciglia e, irresoluto, tese la mano al cappello.

- Be' che il diavolo ti porti! - disse. - Andiamo.

Era già scuro, quando il sarabachino del giudice istruttore s'accostò al terrazzo del commissario rurale.

- Che porci siam noi! - disse Ciubikòv, afferrando il cordone del campanello. - Disturbiamo la gente.

- Non fa nulla, non fa nulla... Non intimiditevi.. Diremo che ci è saltata una molla.

Ciubikòv e Diukovski li accolse sulla soglia una donna alta, pingue, di forse ventitré anni, dai sopraccigli neri come la pece e le labbra carnose, rosse. Era Olga Petrovna in persona.

- Ah... molto piacere! - ella disse, sorridendo con tutto il viso.

- Siete arrivati proprio in tempo per la cena. Il mio Jevgràf Kuzmìc' non è in casa... S'è trattenuto dal pop ... Ma noi faremo anche senza di lui... Sedete! Venite da un'inchiesta?...

- Sì... Ci è saltata una molla, sapete, - cominciò Ciubikòv, entrando in salotto e accomodandosi in una poltrona.

- Sbalorditela... di colpo! - gli bisbigliò Diukovski.

- Una molla... Mm... sì... E difilato siam venuti qua.

- Sbalorditela, vi si dice! Indovinerà, se la tirerete in lungo!

- Be', allora fa' tu come sai, e me dispensami! - borbottò Ciubikòv, alzandosi e andando verso la finestra. - Non posso! Tu hai cucinato questo pasticcio, e tu pappatelo!

- Si una molla... - cominciò Diukovski, avvicinandosi alla moglie del commissario e raggrinzando il suo lungo naso. - Siamo venuti non già... e-e-e.. per cenare, né per trovare Jevgràf Kuzmìc'. Siamo venuti per domandarvi, egregia signora, dove si trova Mark Ivànovic' che voi avete ucciso.

- Che cosa? Che Mark Ivanic? - balbettò la moglie del commissario, e il suo largo viso d'un tratto, in un attimo, s'inondò di una tinta vermiglia. - Io... non capisco.

- Ve lo domando in nome della legge! Dov'è Kliausov?

- Per mezzo di chi? - domandò piano la signora, non reggendo allo sguardo di Diukovski.

- Vogliate indicarci dov'è!

- Ma da chi avete saputo? Chi vi ha raccontato?

- A noi tutto è noto! Lo esigo in nome della legge.

Il giudice istruttore, rinfrancato dall'imbarazzo della moglie del commissario, s'avvicinò a lei e disse:

- Indicatecelo e ce ne andremo. Altrimenti noi...

- Ma che bisogno avete di lui?

- A che scopo queste domande, signora? Vi preghiamo d'indicarcelo! Voi tremate, siete turbata... Sì, lui è stato ucciso e, se volete, ucciso da voi! I complici vi hanno tradita!

La moglie del commissario impallidì.

- Andiamo, - ella disse piano, torcendosi le mani. - E' nascosto da me nel bagno. Soltanto, per amor di Dio, non ditelo a mio marito!

Ve ne supplico! Non ci reggerebbe.

La signora tolse dal muro una grossa chiave e condusse i suoi visitatori, attraverso la cucina e l'andito, in cortile. In cortile era buio. Piovigginava. La moglie del commissario andò avanti.

Ciubikòv e Diukovski si avviarono dietro a lei per l'erba alta, respirando gli odori della canapa selvatica e delle rigovernature che sciaguattavano sotto i loro piedi. Il cortile era grande. Ben presto finirono le rigovernature e i piedi sentirono sotto di sé la terra coltivata. Nell'oscurità apparvero i contorni di alberi e, fra gli alberi, una piccola casetta dal fumaiuolo storto.

- E' il bagno, - disse la moglie del commissario.-Ma vi supplico, non ditelo a nessuno!

Accostatisi al bagno, Ciubikòv e Diukovski videro sulla porta un enorme lucchetto che pendeva.

- Preparate un pezzo di candela e dei fiammiferi! -bisbigliò il giudice istruttore al suo aiutante.

La moglie del commissario aprì il lucchetto e fece entrare i visitatori nel bagno. Diukovski sfregò un fiammifero e illuminò l'entrata del bagno. In mezzo all'entrata stava una tavola. Sopra la tavola, accanto a un piccolo samovàr panciutello, c'erano una zuppiera con minestra di cavoli raffreddata e un piatto coi resti d'un qualche intingolo.

- Più avanti!

Entrarono nella stanza seguente, il bagno. Là pure c'era una tavola.

Sulla tavola un gran piatto con prosciutto, una damigianetta di vodka, piatti, coltelli, forchette.

- Ma dov'è dunque... lui? Dov'è l'ucciso? - domandò il giudice istruttore.

- E' sul palco di sopra! - bisbigliò la moglie del commissario, tuttora pallida e tremante.

Diukovski prese in mano il moccolo e s'arrampicò sul palco superiore.

Là vide un lungo corpo umano che giaceva immobile sopra una gran materassa di piume. Il corpo emetteva un lieve ronfio...

- Ci prendono in giro, che il diavolo mi porti! - gridò Diukovski.

- Non è lui! Qui è disteso non so che tanghero vivo. Ehi, chi siete, che il diavolo vi porti?

Il corpo inspirò l'aria con un fischio e si mosse Diukovski lo urtò col gomito. Quello levò in alto le mani, si stirò e alzò il capo.

- Chi viene a ficcarsi qui? - domandò una voce arrochita, greve, di basso. - Che ti occorre?

Diukovski portò il moccolo al viso dello sconosciuto e mandò un grido.

Nel naso porporino, nei capelli arruffati, spettinati, nei baffi neri come pece, dei quali uno solo era baldanzosamente arricciato e guardava con insolenza il soffitto, aveva riconosciuto il cornetta Kliausov.

- Voi... Mark... Ivanic'?! Non è possibile!

Il giudice istruttore gettò un'occhiata in alto e tramortì...

- Son io, sì... E siete voi, Diukovski! Che diavolo v'occorre qui? E là in basso, che altro muso c'è? Padri miei, il giudice istruttore!

Qual buon vento?

Kliausov scese giù di corsa e abbracciò Ciubikòv. Olga Petrovna guizzò dietro la porta.

- Per quale vicenda? Berremo, che il diavolo mi porti! Tra-ta-ti-to- tom... Berremo! Chi v'ha condotti qua però? Di dove avete saputo ch'ero qui? Del resto, fa lo stesso! Berremo!

Kliausov accese una lampada e mescé tre bicchierini di vodka.

- Cioè, io non ti capisco, - disse il giudice istruttore, allargando le braccia. - Sei tu o non sei tu?

- Smettila... Vuoi farmi la morale? Non darti la briga! Giovincello Diukovski, vuota il tuo bicchierino! Trascorriam dunque, ami-ci, questa... Perché guardate? Bevete!

- Tuttavia non posso capire,-disse il giudice istruttore, tracannando macchinalmente la vodka. - Perché sei qui?

- E perché non dovrei esser qui, se qui mi trovo bene?

Kliausov bevve e mangiò un po' di salame.

- Abito presso la moglie del commissario, come vedi. In un recesso, fra le selve, come uno spirito folletto qualunque. Bevi! Mi venne pietà di lei, fratello! M'impietosii, sì, e vivo qui, in un bagno abbandonato, da eremita... Mi rimpinzo. Nella prossima settimana penso d'alzare i tacchi... Ormai m'è venuto a noia...

- Inconcepibile! - disse Diukovski.

- Ma che c'è qui d'inconcepibile?

- Inconcepibile! Per amor di Dio, come capitò in giardino il vostro stivale?

- Che stivale?

- Abbiamo trovato uno stivale in camera, e l'altro in giardino. - E a che scopo volete saper questo? Non è affar vostro... Ma bevete, su, che il diavolo vi porti. M'avete svegliato, dunque bevete! E' una storia interessante, fratello, quella dello stivale. Non volevo venire da Olia Non ero in vena, sai, avevo alzato il gomito... Lei arriva sotto la finestra e comincia a ingiuriare... Sai come sono le donne... in generale... Io, da ubriaco, senz'altro le tiro uno stivale... Ah-ah!... Non ingiuriare, dico. Lei s'arrampicò per la finestra, accese la lampada, e avanti a cazzottarmi, ubriaco com'ero.

Me ne diede un sacco, mi trascinò qua e mi rinchiuse. Adesso mi rimpinzo... Amore vodka e antipasti! Ma dove andate? Ciubikòv dove vai?

Il giudice istruttore sputò e uscì dal bagno. Dietro a lui, a testa bassa, uscì Diukovski. Entrambi salirono in silenzio sul sarabachino e partirono. Mai in altro momento la strada era parsa loro così noiosa e lunga come quella volta. Entrambi stavan zitti. Ciubikòv per tutta la strada tremò dalla rabbia, e Diukovski nascondeva la sua faccia nel bavero, come temendo che il buio e la pioggia che cadeva minuta non gli leggessero la vergogna in viso.

Giunto a casa, il giudice istruttore trovò là il dottor Tiutiuev. Il dottore era seduto accanto alla tavola e sospirando profondamente, sfogliava la "Niva" .

- Ma quali cose avvengono al mondo! - diss'egli, accogliendo il giudice con un malinconico sorriso. - Di nuovo quell'Austria!... E anche Gladstone in certo qual modo...

Ciubikòv buttò il cappello sotto la tavola e si scrollò.

- Scheletro del diavolo! Non mi seccare! Mille volte t'ho detto di non seccarmi con la tua politica! Non s'ha la testa alla politica qui! E a te, - si rivolse Ciubikòv a Diukovski, scotendo il pugno, - e a te... per tutti i secoli del secoli non dimenticherò!

- Ma... e il fiammifero svedese! Potevo io sapere?

- Strozzati col tuo fiammifero! Vattene e non irritarmi, se no di te lo sa il diavolo quel che farò! Non metter più piede qui!

Diukovski sospirò, prese il cappello e uscì.

- Andrò a berci su! - stabilì, uscito dal portone, e si trascinò tristemente in trattoria.

La moglie del commissario, giunta dal bagno in casa, trovò il marito in salotto.

- Perché è venuto il giudice istruttore? - domandò il marito.

- E' venuto a dire che Kliausov l'hanno trovato. Figurati che l'hanno trovato presso la moglie di un altro!

-Eh, Mark Ivanic', Mark Ivanic'! - sospirò il commissario di polizia rurale, levando gli occhi in alto.-Te lo dicevo che il libertinaggio non mena a nulla di buono. Te lo dicevo: non hai dato ascolto!-


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