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Pierpaolo
Venditti
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Saggio su Cernysevskij di Pierpaolo Venditti |
2.
Il confronto tra le concezioni estetico-filosofiche di Cernysevskij e
l'idealismo hegeliano
3
L'uomo nuovo nella critica letteraria russa e nel Che fare di
Cernysevskij
4.Confronto
tra il "Che fare?" di Cernysevskij e "Memorie del
sottosuolo" di Dostoevski
6.
Rapporti fra arte e realtà nell'estetica di Cernysevskij
7.
Gogol fondatore della scuola naturale
8.
Pisarev, come figura più rappresentativa dell'ultimo periodo
della grande critica russa
La critica letteraria in Russia esiste ed è di una notevole vivacità fin dagli inizi della storia letteraria russa. Essa compie pressappoco lo stesso ciclo di evoluzione e di sviluppo della critica letteraria europea, accogliendo da essa delle notevoli suggestioni e soggiacendo alla sua influenza, ma conservando sempre caratteristiche originali e autoctone. La creazione letteraria in Russia è stata sempre legata alle forme della vita sociale e sottoposta alle loro esigenze. Gli scrittori russi dell'ottocento, da Pushkin a Gogol, da Tolstoj a Dostoevskij, da Turgenev a Cechov, presentano tutti una problematica sempre varia in cui ritorna una nota costante: l'interesse per tutto ciò che è vitale e attuale attinente alla problematica sociale.
Una simile
aderenza alla problematica posta dalla vita sociale si riflette nelle
idee e nelle opere di singoli scrittori, che vanno dalla
subordinazione dell'arte agli scopi della propaganda sociale, fino ad
escludere ogni rapporto ed ogni influenza reciproca tra l'artista e
l'ambiente sociale che lo circonda. Tuttavia entrambe queste
posizioni rivelano la loro stretta dipendenza da una problematica
determinata che ha la sua origine in un determinato ambiente sociale,
e la coscienza di tale dipendenza è continuamente presente
alla mente dei letterati criticamente più illuminati. Nella
letteratura russa c'è vita, ecco perché gli scrittori
sono circondati da tanto rispetto....
"Il pubblico vede in
essi le uniche guide che possano difenderlo e salvarlo
dall'autocrazia, dall'ortodossia e dal nazionalismo".
Belinskij, ad
esempio, seppe dare la formulazione più viva di
quell'aspirazione costante nella letteratura russa e diventare
l'espressione più piena e completa di tutte le esigenze della
nazione. Egli occupa infatti una posizione centrale, è il nodo
dove si incrociano tutti i filoni più vivi del passato e da
dove partono i temi e i suggerimenti per il futuro. Belinskij si
trova cronologicamente all'inizio di quel periodo della storia della
letteratura e della critica russa, che vide la società
attraversare i mutamenti più importanti, che vide la
letteratura adeguarsi sempre più alla vita sociale,
rifletterne i motivi ideali, le lotte, le angosce, in uno scambio
continuo. L'inizio di tale periodo va posto negli anni che videro il
lento risollevarsi della Russia dalle disastrose condizioni in cui
l'avevano fatta piombare il fallimento della congiura dei decabristi
(1825) e gli anni oscuri di reazione e di torpore che l'avevano
seguita. La lenta ripresa si compie soprattutto attraverso le riviste
letterarie che dimostrano una grande vivacità e una grande
abilità nell'eludere la censura, e che permettevano di
trattare problemi di natura sociale o politica prendendo a pretesto
dei temi letterari.
Il periodo che va dal 1834 circa al 1848, periodo quasi interamente dominato dalla figura di Belinskij, coinciderà con il momento in cui si scatena la reazione più nera in corrispondenza con la scossa rivoluzionaria e la successiva reazione che interessano tutta l'Europa. La sconfitta nella guerra di Crimea, la morte di Nicola I° (1855) e l'ascesa al trono di Alessandro II° di cui erano note le idee liberali, determinarono un vivace movimento di idee e una serie di riforme che interessano i vari settori della vita sociale dell'immenso impero russo, e culminano nel decreto di liberazione dei contadini (1861). All'interno della società per qualche anno si realizzò una apparente concordia tra le due ali di opposizione, l'ala liberale rappresentante i proprietari terrieri e l'ala democratica e progressista rappresentante della classe piccolo-borghese che cominciava a spuntare alla luce della storia. In questo periodo i rappresentanti riconosciuti dell'ala sinistra del movimento di opposizione furono Cernisevskij e il suo allievo Dobroljubov, i quali furono in grado di condurre una lotta politica dalle colonne del "Contemporaneo", la rivista fondata da Pushkin. Nel campo della critica letteraria Cernysevskij riprese le idee espresse da Belinskij, mentre Dobroljubov le svolgeva nei suoi magistrali saggi di critica letteraria. Ma quell'apparente concordia tra le due ali di opposizione fu interrotta dal decreto di liberazione della servitù che scontentò un po' tutti: da una parte i democratici che videro una concessione ai proprietari terrieri, perché ai contadini veniva fatto obbligo di comprare la terra su cui avevano sempre lavorato e che consideravano ormai loro proprietà inalienabile; dal canto loro i proprietari si vedevano privati di quei privilegi che li avevano distinti dalla classe dei servi. Il governo tentò di fare marcia indietro spaventato dalle sanguinose rivolte dei contadini. Cominciò una dura campagna repressiva, Cernysevskij fu arrestato e con lui Pisarev altro esponente rivoluzionario, fu limitata la libertà di stampa, chiusa l'università. Nell'anno 1861 circa si sviluppa l'attività di Pisarev; nei suoi articoli pubblicati sulla rivista "La parola russa" portò alle estreme conseguenze le teorie estetiche di Cernysevskij, giungendo alla dissoluzione dell'estetica. Tuttavia a differenza di Cernysevskij, Pisarev non ebbe una grande rilevanza politica ma esclusivamente letteraria, anche se a causa delle peggiorate condizioni della censura, ancora per poco i cosiddetti "nichilisti" potevano scrivere liberamente anche solo sulle riviste letterarie.
Il termine "nichilismo" era già stato usato da Bauer e da Stirner, ma è nel 1862 quando Turgenev pubblica il suo romanzo "Padri e Figli" che diviene popolare. L'autore riesce a sintetizzare nel romanzo le idee della giovane generazione degli anni ‘60; il protagonista Bazarov è un uomo che non si piega davanti a nessuna autorità, un personaggio che rigetta tutte le convenzioni sociali e appunto per questo viene denominato "nichilista". Il termine però non era stato ben scelto, infatti la parola nichilista significa fermarsi ad una negazione senza proporre alternative; i Populisti protestarono contro tale termine, su "Il Contemporaneo" uscì una lunga recensione di "Padri e Figli" dove Turgenev veniva condannato per aver falsato la realtà, ma nonostante tutto il termine rimase. Sarà Pisarev ad accettare tale termine in un suo trattato di estetica che chiamerà: La distruzione dell'estetica, dove rompe totalmente col culto della bellezza e attacca in modo particolare "l'arte per l'arte" rivoltandosi contro l'estetica ufficiale. Rompendo con l'arte per l'arte nell'estetica, nella letteratura e specialmente nella critica russa compare quell'elemento definito ad essa costante ed essenziale della compenetrazione dell'attività letteraria con la situazione sociale.
Tra la fine del ‘600 e l'inizio del ‘700 la Russia assiste al gigantesco fenomeno delle riforme introdotte da Pietro I° il Grande che imprimono al paese una notevole spinta in avanti. Tali riforme svolsero una azione efficace anche nel campo letterario; cominciarono a cadere le barriere che separavano la cultura russa da quella Europea e i russi cominciarono a familiarizzare con la letteratura europea attraverso le prime traduzioni di scrittori francesi: Voltaire, gli Enciclopedisti, il trattato di estetica del Boileau, etc...
Tra la fine del XVIII° e l'inizio del XIX° secolo assistiamo al sorgere in Russia di una vita letteraria molto vivace, ma la soluzione dei problemi più gravi veniva ostacolata dal fatto che mancava la necessaria libertà per dibatterli. I problemi puramente letterari dei letterati erano soprattutto due: il problema del linguaggio letterario e il problema della creazione di una letteratura nazionale indipendente. L'interesse e l'ammirazione per la letteratura francese aveva allarmato la reazione di una minoranza per la perdita del "carattere nazionale". Ma una tale reazione non era riuscita a arrestare il dilagante processo di occidentalizzazione. Tra i vari letterati lo scrittore che ebbe la massima importanza nella Russia del I° ottocento fu certamente Karamzin, il quale affermò la "necessità per il russo di distaccarsi dalle forme invecchiate dello slavo-ecclesiastico per sostituirvi le forme più eleganti della lingua francese".(1) Contro Karamzin si scatenò la reazione dei conservatori che trovarono il loro campione nell'ammiraglio Scishkov, il quale insorse a difesa dello slavo-ecclesiastico sostenendo che era la più ricca di tutte le lingue. La questione della lingua e quella del carattere nazionale della letteratura russa venivano ormai dibattute con continuità. Karamzin svolse una critica meramente letteraria, istituendo un nuovo criterio di giudizio delle opere letterarie, criterio a cui non seppe però attribuire un significato positivo. Egli infatti rifiutò il ben ordinato sistema dell'estetica classica in nome della libertà del gusto, senza però riuscire a dare del gusto stesso una definizione chiara e concreta. Scrive Karamzin: "Giudicando delle opere del sentimento e dell'immaginazione non dimentichiamo che i nostri giudizi si basano esclusivamente sul gusto, il quale è inesplicabile per l'intelletto; non dimentichiamo che tali giudizi non possono sempre essere decisivi: il gusto infatti varia da persona a persona ; il piacere estetico ha origine nel lettore da una misteriosa simpatia per l'autore, e non sottostà alle leggi della ragione".(2)
Karamzin non fu in grado di fondare una nuova estetica, ma ne diede una vaga anticipazione.
Toccò invece a quella che si è convenuto chiamare "critica decabrista" pronunciare una parola veramente nuova e progressiva nel campo della critica letteraria. Sotto il nome di critica decabrista si intende alludere ad un certo numero di critici legati al movimento di riforma; i più autorevoli furono Rileva, Bestugev-Marlinskij, Pestel, Somov, che rappresentavano l'ala sinistra della "libera società degli amatori della letteratura delle scienze e delle arti". Aspirazione fondamentale dei critici decabristi fu quella di creare una letteratura che fosse allo stesso tempo "nazionale" e "civile". Tra i compiti civili che i decabristi vollero assegnare alla letteratura, il primo e il più importante era quello di farsi educatrice del popolo, svolgendo opera di divulgazione culturale, contribuendo alla formazione di una coscienza civile unitaria. I decabristi furono i primi a scorgere nella letteratura un mezzo di azione sulle masse per il conseguimento del progresso morale e materiale, essi furono i precursori di Belinskij e dei critici populisti degli anni ‘50.
I rapporti dei decabristi con il più grande dei poeti russi, Pushkin, presentano maggiore complessità e ricchezza di sfumature. Pushkin era legato da amicizia e idee con quasi tutti i maggiori rappresentanti del decabrismo; egli aveva espresso dei sentimenti liberali, motivo per cui era stato espulso dal servizio. Anch'egli voleva che la poesia fosse nazionale, e le sue prime poesie furono ben prese dai decabristi; ma poco dopo nel suo primo capitolo dell'Eugenio Onegin apparve chiaramente tutta la distanza che separava Pushkin dalla critica di tendenza. I decabristi non trovarono nel poema di Pushkin nessuno di quei tratti che essi avrebbero voluto scorgere nel loro tipo ideale di eroe positivo e quindi espressero un giudizio negativo dell'opera. Ma essi si trovarono in seguito completamente isolati nel loro tentativo rivoluzionario, in quanto dimostrarono una scarsa sensibilità per i problemi del popolo e per le riforme sociali in genere. Gli anni immediatamente posteriori alla rivolta decabrista sono anche gli anni in cui si assiste al cambio della guardia nella èlite intellettuale del paese. D'ora in poi nelle file dei rivoluzionari, accanto ai nobili, si scorgono sempre più numerosi i rappresentanti della classe borghese, i cosiddetti Raznocinzy, che presto prenderanno il sopravvento sui rappresentanti del partito nobiliare. (Tipico Raznocinez sarà Belinskij).
La pesante reazione instaurata dal nuovo imperatore Nicola I°, dopo il periodo di relativa libertà concessa da Alessandro II°, calò come una cappa oppressiva su tutta la Russia impedendo ogni critica e ogni dibattito dei problemi politici. Gli ambienti di cultura venivano sorvegliati, in particolare le università, affrettandosi a decretare l'abolizione della cattedra di filosofia dell'università di Mosca.
Ma nonostante il livello estremamente basso in cui erano caduti gli studi, fu proprio nelle università che si formarono le correnti liberali ispirate prevalentemente dalla filosofia idealistica tedesca guidate da Orgariov, Herzen, Bakunin, Belinskij, i leader della rivoluzione di domani.
Dopo la repressione l'unica forma di critica ancora in vigore era quella letteraria, tutti i problemi si riflettevano in particolari riviste di tendenza liberale o progressista, le più notevoli furono "Il Contemporaneo" creato da Pushkin, "Il Telescopio" di Nadedzin, gli "Annali Patri" dove scriveranno Belinskij e Gogol. La critica esercitò un'influenza determinante sulla letteratura e il pieno sviluppo di questo processo non si avrà che con la contemporanea comparsa di Gogol nella letteratura e di Belinskij nella critica. Siamo ancora nell'era romantica, tuttavia si manifestano sempre più esigenze nuove. Il più notevole sostenitore del romanticismo nella critica fu Nikolaj Polevoj il quale diresse dal 1825 al 1834 la rivista "Il Telegrafo di Mosca". Tale rivista può definirsi l'organo della nuova borghesia per il suo carattere occidentalista e per la sua ostilità verso l'aristocrazia. Un'altra figura di questo periodo è certo Nadezdin, direttore del "Telescopio", egli ricorreva al dialogo come forma più efficace per la divulgazione delle proprie idee e sfoggiava un brio umoristico ignoto a quell'epoca nel genere della critica letteraria. Dal punto di vista estetico Nadedzin seppe basare la sua critica su fondazioni filosofiche molto avanzate. Buon conoscitore della filosofia tedesca criticò la poesia romantica per il suo soggettivismo e per la concezione dell'incoscienza dell'opera d'arte che ne costituivano i presupposti estetici. Rifacendosi all'estetica kantiana che cominciava ad essere nota in Russia, Nadedzin osservava che: "l'arte doveva essere priva di finalità esterne, tuttavia doveva possedere un fine in sé, essa rispecchia la vita della natura e della società e deve pertanto conformarsi alle loro leggi oggettive".(3)
Nadedzin contribuì a svecchiare la critica letteraria, a distruggere molte idee che avevano fatto il loro tempo ricercando l'origine nella filosofia tedesca. L'intellighentsija era venuta a contatto con la filosofia tedesca grazie ai buoni rapporti tra monarchia prussiana e l'autocrazia russa, così un nutrito gruppo di giovani nobili russi potè recarsi a Berlino per completare gli studi; tra di essi emergevano il futuro romanziere Turgenev, il futuro storico Granovskij, il filosofo idealista Stankevich, e Michele Bakunin. L'insegnamento ricevuto in Germania esercitò una notevole influenza che venne a reagire con impressione di repulsione al loro ritorno in patria. Questi e altri giovani costituivano la corrente degli occidentalisti che si può dividere in due gruppi: quello di Pietroburgo e quello di Mosca. Più tardi a questi due gruppi se ne aggiunse un terzo quando Herzen prese a pubblicare a Londra dapprima, dal 1855, la "Stella Polare", poi dal 1857 il famoso "Kolokol" (La Campana) che entrava clandestinamente in Russia a migliaia di copie.
Uno dei principali attori del grande dramma storico attraversato dalla Russia in questi anni cruciali è sicuramente Herzen, il quale si dedicò sin da giovane allo studio del pensiero socialista francese e in conseguenza di questa sua attività fu inviato al confino. Herzen seppe toccare sempre i problemi della società a lui contemporanea, gli effetti dell'opera da lui svolta furono incalcolabili; abituò i russi a pensare politicamente, a vedere i propri problemi su un piano sociale e politico, mantenne i propri compatrioti in contatto con l'ideologia politica e sociale dei paesi d'occidente, al fine di un raggiungimento di una maturità di vita e di pensiero. A compenso però dell'astrattezza delle influenze straniere, si levò comunque in Russia una voce autoctona, originale, accusatrice della realtà contemporanea dell'impero zarista: questa voce fu quella di Gogol. Egli, per i suoi compatrioti e in particolare per Cernysevskij , fu un punto fisso da cui bisognava partire per ogni valutazione della realtà russa. Cernysevskij disse di Gogol: "Osiamo affermare che i più decisi assertori di tutti gli scritti Gogoliani i quali portano alle stelle ogni sua opera, non sentono in modo vivo come noi le sue opere, non ascrivono alla sua attività l'enorme importanza per la letteratura che attribuiamo noi. Definiamo Gogol il massimo scrittore russo per la sua importanza".(4)
La tendenza di sinistra per opera di Belinskij attribuì allo scrittore delle intenzioni reazionarie, lasciandosi convincere dalla pubblicazione del famigerato libro Brani in cui Gogol esprimeva dei sentimenti chiaramente reazionari. Belinskij, critico di Gogol nonché uno dei maggiori critici letterari russi, agli inizi degli anni ‘30 era studente universitario; già a quegl'anni scrisse la sua tragedia giovanile "Dmitri Kalinin" dove espresse i suoi sentimenti egualitari e democratici e il suo odio per la servitù della gleba. La tragedia gli costò l'espulsione dall'università con la seguente motivazione: "salute malferma e mancanza di attitudine agli studi".
Entrò a far parte del circolo che si riuniva intorno a Stankevich e in quell'occasione conobbe Bakunin per il quale provò una sconfinata ammirazione. Le concezioni estetiche in Belinskij si evolvono dal contenuto schellinghiano dell'arte come contemplazione ancora indeterminata e inattiva delle singole forme in cui si attua l'assoluto, verso una concezione che vede nell'attività artistica il riflesso immediato di una realtà sociale ben precisa e determinata, riflesso che è allo stesso tempo creazione di una forma autonoma di realtà che reagisce sulla stessa realtà sociale, modificandola e contribuendo alla sua evoluzione. I fenomeni dell'arte non vanno limitati secondo Belinskij entro un settore indipendente, giacchè essi fanno parte di quel continuo più vasto che è la vita stessa. Belinskij giunge così ad una formulazione che si può dire ormai divenuta classica: "l'arte per il suo contenuto coincide con le altre manifestazioni della vita umana, mentre se ne distingue per la sua forma peculiare che non è propria a nessun'altra".(5) La vita ha sempre la priorità sull'arte e quest'ultima deve sempre tendere a coincidere con la prima, senza cedere alla tentazione di abbandonarsi a fantasticherie arbitrarie che non piantino saldamente le loro radici nel terreno della realtà; l'arte deve agire sulla vita e conferire ad essa una determinata forma per mezzo dell'ideale. L'arte pertanto secondo Belinskij era destinata a svolgere una funzione politica, e ogni artista veramente grande doveva essere anche un uomo al servizio della causa della verità e del progresso. La vita di Belinskij si concluse per malattia nel 1848 quando già la polizia zarista si accingeva a imprigionarlo. Negli ultimi anni della vita di Belinskij non soltanto la vita letteraria, ma anche il pensiero politico, aveva conosciuto una parallela evoluzione in Russia mediante la diffusione della stampa clandestina e l'organizzazione di circoli progressisti; per questo la polizia zarista riprese le persecuzioni contro l'intellighentsija progressista tacitando ogni voce dissidente. Il 18 febbraio del 1855 morì Nicola I° e fu come se tutta la Russia tirasse un gran sospiro di sollievo; ad esso successe Alessandro II° di cui erano noti i sentimenti liberali, per cui si riaccesero le speranze in tutto il paese che vennero parzialmente confermate dall'alleggerimento della censura e dall'intenzione dello Zar di liberare i servi della gleba con l'editto del 1861. Il governo attirò su di sé anche l'appoggio delle opposizioni di sinistra: sul "Kolokol" Herzen pubblicò un articolo in cui si esaltava l'opera dello Zar, e sul "Contemporaneo" Cernysevskij affermava che la riforma era così grandiosa che in confronto i provvedimenti presi al tempo di Pietro il Grande apparivano insignificanti. Tuttavia l'accordo tra l'opposizione di sinistra e il governo durò relativamente poco, giacchè ben presto venne in chiaro che le intenzioni riformiste dello Zar si mantenevano nell'ambito del ben noto paternalismo; egli voleva comunque mantenere intatto il principio dell'autocrazia e dell' assolutismo.
A prescindere dall'estrema destra reazionaria e conservatrice, due furono le tendenze tra cui si divise la maggior parte della èlite intellettuale: i liberali e i democratici. I liberali si mostravano ben consci dei propri interessi di classe, riconobbero ben presto il loro nemico nei rivoluzionari, nei democratici. I liberali appartenevano soprattutto alla classe dei proprietari terrieri, e con la riforma del 1858 fatta dallo Zar, il contadino veniva riconosciuto libero ma la terra su cui aveva lavorato veniva riconosciuta di appartenenza del padrone e ai contadini veniva fatto obbligo di ricomprarla pagando delle rate annuali per un periodo di 30 anni e più. La delusione nelle campagne fu enorme, ci fu un aggravarsi delle rivolte e con i contadini fecero causa comune i democratici che sotto la guida di Cernysevskij sposarono la causa del popolo tagliando i ponti con i liberali. I democratici trovarono così la loro guida in una personalità prepotentemente originale che aveva saputo costruire un nucleo di idee nuove, che mirava a rivoluzionare il modo di pensare corrente, che aveva saputo raccogliere gli elementi più decisi della giovane generazione: Nikolaj Gravilovich Cernysevskij .
Cernysevskij proveniva da una famiglia di ecclesiastici; era nato a Saratov e in quella città aveva studiato in seminario per poi dirigersi a Pietroburgo, dove aveva frequentato la facoltà filologica dell'università. Nel 1853 si stabiliva definitivamente in capitale e da quel momento ebbe inizio quella intensissima attività di pubblicista che si svolse per la massima parte sul "Contemporaneo", e che nei pochi anni che vanno dal 1855 al 1863 lo porterà a scrivere più di 250 opere di vario genere. L'educazione religiosa lasciò in lui delle tracce incancellabili, ma la fede in Dio si indebolì e venne seppellita dalla conoscenza della filosofia di Feuerbach per precisarsi sempre più nelle forme del pensiero socialista. Il pensiero estetico rifiutava ogni tentativo di distaccare l'arte dalla realtà, rivendicando la stretta dipendenza della prima dalla seconda. Egli seppe rinnovare in ogni campo la propria concezione della vita, e si presentò come L'Uomo Nuovo, il capo da seguire.
Tra le prime opere di cui si occupò c'è la questione estetica, soppiantata però da problemi di ordine politico e sociale che lo assorbirono quasi completamente. Grande importanza Cernysevskij attribuisce alla letteratura quale fattore capace di esercitare una decisiva influenza sullo sviluppo della società e sul corso stesso degli eventi storici. Con i suoi articoli Cernysevskij intese abituare il pubblico a prendere posizione nei confronti dell'ideologia espressa nell'opera esaminata.
In quegli anni in cui l'intellighentsjia russa si veniva dividendo nelle due ali dei liberali e dei democratici, anche all'interno del "Contemporaneo" assistiamo al manifestarsi di queste due tendenze opposte e alle loro lotte, che si conclusero con la vittoria dei secondi.
Ben presto venne a galla l'inconciliabilità dei due gruppi: il primo (democratici), costituito da Cernysevskij e Dobrolijubov, e il secondo (liberali) da tutti gli altri collaboratori che esercitavano continue pressioni su Nekrasov (Direttore del Contemporaneo), per invitarlo a congedare i due critici. Ciò che più indisponeva i collaboratori era il rifiuto da parte dei democratici dei valori tradizionali , il loro "utilitarismo" che li induceva a subordinare a fini sociali l'arte e la letteratura, e la loro concezione materialistica che li portava a tentare di ridurre ogni forma di realtà nell'àmbito delle scienze esatte. Ma Nekrasov riaffermò la sua fiducia in Cernysevskij , tanto che nel 1860 la guida della rivista rimase interamente affidata a Cernysevskij che la spinse sempre più a sinistra distaccandosi definitivamente dai liberali, che diventarono il bersaglio della sua critica, alienandosi lo stesso Herzen che accusò Cernysevskij dalle colonne di "Kolokol" di spaventare l'opinione pubblica con il suo estremismo e quindi di fare il gioco del governo. Ma una serie di incendi scoppiati nel maggio del 1862 a Pietroburgo, finirono per alienare quasi tutte le simpatie del popolo per Cernysevskij , e il governo si trovò facilitato nell'opera di repressione spezzando ogni opposizione. Cernysevskij veniva arrestato insieme a Pisarev il critico della "Parola Russa", che venne sospesa insieme al "Contemporaneo" per otto mesi. Cernysevskij rimase prigioniero nella fortezza di Pietro e Paolo per quasi due mesi, durante questo periodo gli fu concesso comunque di continuare a collaborare al "Contemporaneo" che aveva ripreso la pubblicazione. Fu proprio in questo periodo che venne pubblicato sul "Contemporaneo" il romanzo di Cernysevskij Che fare?; un romanzo importante perché riflette fedelmente l'atmosfera rivoluzionaria in cui venne concepito, in esso vengono sviluppate le teorie di Cernysevskij sull'egoismo razionale, l'emancipazione delle donne, il fourierismo, ecc.
Negli anni cruciali della sua attività Cernysevskij era stato validamente spalleggiato da una schiera di giovani tra i quali emergeva su tutti: Nikolaj Aleksandrovich Dobroljubov. La vita di Dobroljubov fu breve, nato nel 1836 egli moriva nel 1861 a soli 25 anni di età. Già nel 1855 fondava un circolo politico letterario tra i compagni dell'istituto pubblicando un giornaletto illegale. L'avvenimento essenziale è costituito dal suo incontro con Cernysevskij che lo invitò a collaborare al Contemporaneo dove svolse fino alla sua morte un lavoro senza soste. Cernysevskij dirà di aver rinunciato ad occuparsi di critica letteraria perché aveva riconosciuto la grande superiorità di Dobroljubov su di lui: "il confronto mi sarebbe stato troppo sfavorevole" dirà (6) Cernysevskij . Dal punto di vista estetico Dobroljubov si rifaceva alla concezione esposta dal suo maestro nella dissertazione: rapporti estetici dell'arte con la realtà. La famosa equazione: Arte = Realtà fissata da Cernysevskij , veniva interpretata da Dobroljubov soprattutto nel senso che la letteratura doveva riflettere puntualmente i problemi e gli aspetti della vita sociale contemporanea. Proprietà essenziale dell'opera d'arte, secondo Dobroljubov, è quella di porre in relazione l'individuale con il generale, di arricchire il fenomeno particolare di un significato universale, il che significa stabilire una correlazione tra i vari fenomeni, considerandoli in una unità che attribuisce a ciascuno di essi il suo autentico significato.
Dobroliubov vede nell'arte soprattutto un mezzo per giungere alla chiarificazione dei problemi sociali e alla loro soluzione mediante l'azione politica verso cui l'arte stessa veniva esplicitamente indirizzata.(7)
Ma la congiuntura politica volgeva ormai in sfavore dei progressisti e gli avvenimenti si apprestavano a deludere le speranze di Cernysevskij e dei suoi. L'opinione pubblica si ritraeva spaventata dall'estremismo dei nichilisti abbandonandoli alla ferrea mano della repressione, e costringendo l'opposizione a ricorrere all'arma del terrorismo che culminò nel 1881 con l'assassinio di Alessandro II°.
Abbiamo accennato quanto Cernysevskij sia stato importante nella vita e nella società russa come capo indiscusso dei pensatori rivoluzionari, ma la sua importanza va oltre il pensiero politico fino ad arrivare al Cernysevskij "critico letterario" e "teorico dell'arte".
Cernysevskij (1828-1889), eminente democratico rivoluzionario, è senza dubbio una figura centrale anche nell'estetica russa pre-marxista, e in generale, nella filosofia, uno dei più famosi critici letterari. Lenin scrisse che Cernysevskij fu l'unico vero grande scrittore russo che dagli anni ‘50 all''88 seppe rimanere al livello di un integrale materialismo filosofico. Cernysevskij però, annotava Lenin, "non ha saputo o meglio non ha potuto a causa dell'arretratezza della vita russa, sollevarsi sino al materialismo dialettico di Marx e di Engels" (8). Le opere di Cernysevskij infatti esercitarono un'influenza decisiva sulla formazione iniziale di Lenin .(9) Nel valutare le diverse correnti del pensiero progressivo sociale russo pre-marxista Engels scrisse: se alcune scuole si distinsero più per il loro fervore rivoluzionario che per le ricerche scientifiche, se vi furono e continuano a sussistere tuttora singoli errori, d'altra parte vi è stato il pensiero critico, vi sono state le ricerche esercitate con assoluta dedizione nel campo della teoria pura, degne del popolo che dette Dobroljubov e Cernysevskij " (10). Nello sviluppare le tradizioni nazionali del pensiero estetico di Belinskij e Herzen, Cernysevskij fu nella sua epoca un significativo seguace degli illuministi francesi e di Feuerbach .
Cernysevskij -rileva Lenin- si affermò fra gli scrittori russi sin dal decennio (1850-1860) come seguace di Feuerbach, ma la nostra censura gli impediva persino di citare il nome di Feuerbach(11).
Cernysevskij si occupò molto della filosofia hegeliana ed ebbe verso Hegel un atteggiamento complesso e contraddittorio, il che in seguito dette agio a numerosi studiosi di accusare Cernysevskij di aver trattato nichilisticamente il grande pensatore tedesco, dando così un colpo al prestigio del Cernysevskij filosofo. In effetti egli si espresse molto negativamente su numerosi aspetti della filosofia hegeliana, tuttavia egli fu l'unico, fatta eccezione per Herzen, tra tutti i pensatori materialisti russi del XIX° secolo, che abbia avuto coscienza della grandezza della filosofia hegeliana, considerando Hegel "uno dei maggiori pensatori del nostro secolo" (12).
Cernysevskij fu il fondatore di un sistema originale e integrale di idee estetiche che esercitarono un'influenza essenziale sullo sviluppo del pensiero sociale russo, dell'arte russa e in determinati momenti fu il precursore dell'estetica e della critica marxista in Russia. L'opera di Cernysevskij teorico dell'arte e critico letterario costituì infatti, nei primi decenni del potere sovietico, un valido supporto ideale e metodologico per gli studi letterari e per la critica d'arte sovietica. Molto fece per la divulgazione delle opere di Cernysevskij il commissario del popolo all'istruzione Lunacarskij. Egli vide in Cernisevskij un valido aiuto nei suoi interventi contro la vecchia tradizione snobistica che considerava i fenomeni artistici da posizioni estetizzanti. Alla penna di Lunacarskij appartengono gli articoli più nitidi sull'estetica di Cernysevskij .
Nella sfera estetica si considera che il lavoro
fondamentale di Cernysevskij sia la sua
tesi "I Rapporti estetici tra arte e realtà"
discussa all'università di Pietroburgo il 10 maggio 1855.
L'idea centrale della dissertazione e suo punto culminante era
rappresentata dalla "Riabilitazione estetica della realtà",
dalla volontà di indicare il nesso genetico tra l'estetica e
la vita, il diretto cointeressamento dell'emozione estetica. Nella
forma originale e polemica della riabilitazione estetica della
realtà, Cernysevskij espresse
l'idea della democratizzazione dell'estetica, dell'orientamento
dell'arte verso la rappresentazione prevalente della gente semplice o
verso la rappresentazione della vita dal punto di vista degli
interessi di quest'ultima. In tal modo la riabilitazione estetica
della realtà trovava a sua volta in Cernysevskij
una giustificazione estetica nel carattere popolare dell'arte,
in un suo approfondito realismo e nella negazione delle tradizioni
nobili e falsamente romantiche imperanti a quell'epoca. L'estetica fu
per Cernysevskij la base teorica su cui
elaborare i principi progressisti della "critica realistica"
la quale, come ritenevano i suoi fondatori, si riproponeva di
valutare nell'analisi delle opere letterarie i fatti della vita reale
che in quelle opere avevano trovato espressione. In verità nel
corso della sua attività critica e letteraria, Cernysevskij
stesso a volte si allontanò dalle posizioni della
"critica realistica", la quale esigeva una valutazione del
contenuto oggettivo dei fenomeni artistici. C'è da dire che la
critica che egli rivolse all'estetica oggettiva e idealistica di
Hegel non colpì nel segno, in quanto si riduceva a negare
totalmente la teoria estetica del grande filosofo tedesco, senza
porsi l'obiettivo di una sua rifondazione materialistica, trascurando
la ricchezza del suo contenuto storico e l'enorme esperienza dello
sviluppo artistico dell'umanità che in teoria aveva trovato la
sua generalizzazione. Sia nella sfera della teoria estetica contenuta
nella dissertazione dottorale che in quella critico letteraria "Saggi
sul periodo Gogoliano della letteratura russa" ( 1855-1856),
ebbero per Cernysevskij il senso di una
dichiarazione programmatica. Nei Saggi egli formulò l'idea
fondamentale della sua attività critico-letteraria: "quando
si tratta di giudizi letterari -leggiamo nei saggi- in modo
particolare dobbiamo serbare nella memoria due princìpi
importanti: il rapporto tra letteratura e la società e le
questioni che l' interessano; lo stato attuale della letteratura
russa e le condizioni del suo sviluppo" (13).
Egli ritiene che nell'attività critico-letteraria di Belinskij
questi siano i due princìpi fondamentali e intende
riaffermarli nella critica russa. L'opera critica di Cernysevskij
si basò anche sull'esperienza estetica dei classici
russi, da Puskin a Gogol fino a Scedrin e Tolstoj. I giudizi che
Cernisevskij dette su Puskin e Gogol,
per quanto assolutamente parziali, non cambiarono il senso dei suoi
interventi dedicati a questi giganti del realismo russo. Cernysevskij
si battè con decisione contro i tentativi di presentare
Puskin come un poeta ignaro delle battaglie civili e cantore della
"beltà eterna" della natura. Egli riteneva che
l'importanza e il valore di Puskin consistesse nell'aver inaugurato
in Russia l'epoca della grande arte realistica. Anche nei confronti
dell'opera di Gogol, Cernysevskij si
rivolge alle tradizioni gettate nella critica russa da Belinskij. In
questo caso però, Cernysevskij non
si mantiene nell'ambito di tali tradizioni in quanto è
talvolta portato ad una schematizzazione astratta secondo cui Gogol
sarebbe l'unico punto di riferimento per ogni scrittore e l'unica
fonte di un'arte autenticamente realistica. "Gogol è
importante - egli scrisse - come capo di una scuola, l'unica scuola
di cui può andar fiera la scuola russa" (14).
Per comprendere quale fosse il tono che Cernysevskij
riteneva più giusto per uno scrittore realista e quindi
per la causa del popolo, è importante l'articolo dedicato ai
racconti di Nikolaj Uspenskij. In esso egli si pronuncia per un
approfondimento del realismo, per l'inclusione incontestata del
popolo, dei mugik, nella sfera di analisi critica portata avanti
dall'arte realistica. "Da parecchio tempo ormai -scrive
Cernysevskij - la critica ha notato che
nelle novelle e nei saggi sulla vita popolare sia i caratteri che i
costumi e i concetti, vengono fortemente idealizzati.....Questo era
il rapporto con il popolo dei nostri scrittori precedenti.....Nessuna
parola dura o negativa. Tutti i difetti vengono occultati,
mascherati, imbelliti. Adesso invece è venuto il momento di
scrivere del popolo senza imbellimenti" (15).
2. Il confronto tra le concezioni estetico-filosofiche di Cernysevskij e l'idealismo hegeliano
L'avversario che Cernysevskij aveva di fronte nel campo della filosofia era lo stesso che sul terreno politico sosteneva le posizioni del liberalismo, il suo nemico principale era l'idealismo filosofico in quanto vedeva in esso la giustificazione teorica del conservatorismo della borghesia e del feudalesimo tedeschi.
Carattere della filosofia di Hegel, per Cernysevskij , è la lontananza dalle trasformazioni, dalle idee che sognano perfezionamenti.
Dunque l'idealismo secondo Cernysevskij è in un modo o nell'altro espressione della conservazione politica, ostile ad ogni trasformazione strutturale della società, e nel separare il pensiero dalla vita, la teoria dalla pratica, svolge una funzione reazionaria; il materialismo al contrario, è sempre stato dalla parte di chi auspica e lotta per il radicale rinnovamento della società umana. Cernysevskij approda dunque all'elaborazione di una concezione scientifica del mondo che sia lo strumento delle masse popolari per la trasformazione della società secondo cui ci si deve basare sul materialismo, ossia sulla filosofia che permette di conoscere il mondo nel suo reale movimento.
Da questa premessa che già mostra il posto particolare di Cernysevskij nel secolo scorso, muoveva la critica e l'analisi più specificatamente filosofica dell'idealismo e l'elaborazione di un pensiero originale. La critica all'idealismo si incentra soprattutto nella critica dello hegelismo, divenuto ormai in Russia espressione dell'opportunismo liberale e di tutti i possibili compromessi con l'assolutismo feudale. Ma ciò che soprattutto rendeva per il pensatore russo insoddisfacente il sistema di Hegel era la scissione tra la vita e la riflessione, tra la pratica e la teoria. Oltre alla differenza tra il pensiero idealistico di Hegel e quello materialistico di Cernysevskij , occorre citare anche le differenze e le affinità tra Cernysevskij e il materialismo ancora contemplativo di Feuerbach, con cui spesso è stato identificato.
Nella lotta politica e culturale che si svolgeva in Russia tra le forze della conservazione sociale e le forze della democrazia, Cernysevskij proclamò il "Principio Antropologico" come base della sua filosofia, richiamandosi apertamente a Feuerbach. Ciò facendo voleva spostare la discussione dalle questioni più astratte e generali, ai problemi concreti dell'uomo nella vita reale, e in polemica con ogni forma di dualismo religioso e idealistico che tendeva a scindere l'essere umano tra lo "spirito" e la "materia", Cernysevskij dichiara: "Bisogna guardare l'uomo come un essere che ha una sola natura, per non scindere la vita umana in tante parti diverse, corrispondenti a diverse nature(16)......."; l'antropologismo infatti considera l'uomo come un essere unitario, negando il dualismo tra materia e spirito. Cernysevskij risolveva in modo materialistico il problema fondamentale della filosofia riconoscendo la priorità della materia, il carattere non autonomo della coscienza, l'unità materiale del mondo e delle sue leggi. L'antropologismo non fu per Cernysevskij una terza via tra l'idealismo e il materialismo, ma la forma più moderna della filosofia materialistica, e mentre per Feuerbach il principio antropologico è il principio universale alla cui luce si può spiegare tutto il mondo, Cernysevskij , anche se in contrasto con la propria teoria, giunse spesso a una comprensione storicistica, concreta dei fenomeni sociali e umani: "l'uomo non è una personalità giuridica astratta, ma un essere concreto nella cui vita e felicità il lato materiale (l'essere economico) ha grande importanza.(17)
Un posto singolare nella battaglia ideologica di Cernysevskij occupa la polemica con l'agnosticismo, lo scetticismo, il positivismo e il neoKantismo, che egli condusse sino agli ultimi anni della sua vita. Lenin apprezzò molto questo aspetto del pensiero di Cernysevskij e scrisse: "Cernysevskij è l'unico scrittore russo veramente grande che, dall'inizio del decennio 1850-60 fino a tutto il 1888 abbia saputo restare all'altezza del materialismo filosofico coerente e respingere le meschine assurdità dei neoKantiani, dei positivisti, dei machisti e degli altri confusionari".(18) Cernysevskij notava che le teorie che andavano diffondendosi anche tra gli scienziati erano una reviviscenza dei sistemi metafisici già demoliti da Hegel, e che la prova di tale affermazione si aveva proprio nella loro dottrina della conoscenza presa a prestito dalla teoria metafisica di Kant: "Dicono con le parole di Kant che le forme della nostra percezione sensibile non hanno affinità con le forme della reale esistenza degli oggetti e che quindi gli oggetti esistenti nella realtà e le loro qualità reali i loro reali rapporti sono per noi inconoscibili. E se anche fossero conoscibili non potrebbero essere oggetto del nostro pensiero che riduce tutto il materiale della conoscenza a forme assolutamente diverse da quelle della esistenza reale; le stese leggi del pensiero hanno solo un valore soggettivo".(19) Secondo Cernysevskij invece: "la sensazione per la sua stessa natura presuppone l'esistenza di due elementi tra loro connessi: anzitutto l'oggetto esterno che produce la sensazione, in secondo luogo l'essere il quale percepisce questa sensazione. E il contenuto delle sensazioni non dipende da esso ma dagli oggetti che esso incontra...il pensiero è prodotto dagli oggetti o dai fenomeni che producono la sensazione".(20) La fonte della conoscenza è dunque nel mondo esterno, che esiste indipendentemente dalla coscienza degli uomini e che noi percepiamo attraverso la sensazione; i nostri pensieri sono il riflesso del mondo esterno. Da questa premessa materialistica Cernysevskij formula la conclusione che "noi vediamo gli oggetti quali esistono nella realtà", e che quindi l'uomo può conoscere interamente il reale. Egli scriveva: "Senza storia dell'oggetto, non v'è teoria dell'oggetto".(21) Cernysevskij si occupò prevalentemente di estetica e di letteratura nel primo periodo della sua attività in rapporto all'evolversi della situazione storica, anche se il suo interesse per l'arte non fu affatto effimero o superficiale. Certo la letteratura e l'estetica non occuparono nell'opera di Cernysevskij quel posto preponderante che ebbero invece nell'attività di Belinskij e di Dobroliubov; la sua problematica culturale fu assai più ampia e si estese ai più diversi settori, sino all'economia politica e alle scienze naturali. Ma l'apporto di Cernysevskij all'elaborazione di una estetica materialistica fu decisivo e questa parte del suo pensiero è certamente la più ricca di suggestioni per chi ponga il problema della creazione di un'arte realistica e popolare, e di una estetica nuova fondata sul materialismo. L'arte e la letteratura richiamano l'attenzione di Cernysevskij per ragioni profonde, in primo luogo per l'originale situazione della letteratura russa dello scorso secolo, nella quale si concentrava tutta la vita intellettuale del popolo. La letteratura dell'epoca di Cernysevskij aveva dato al popolo la coscienza dell'unità nazionale, risvegliato il senso della legalità, dell'onestà, e una generosa sicurezza nelle proprie forze. La letteratura e l'arte non recavano soltanto un contributo al patrimonio dell'arte, esse esploravano zone sconosciute, scavavano i problemi del reale e li portavano alla coscienza del popolo. Era quindi necessario elaborare una teoria estetica capace di far progredire l'arte e la poesia lungo la strada del contatto con la vita popolare. Per questo la concezione del mondo di Cernysevskij non poteva confinarsi solo nell'economia e nella politica, ma doveva estendersi a tutte le forme dell'attività umana, le quali dovevano diventare una forza sempre più consapevole e attiva al servizio delle masse popolari. Ma l'eccezionale condizione della vita russa, la visione di una rivoluzione democratica integrale, politica e culturale, permise ai critici e agli estetici russi di pervenire a una condizione più aperta e concreta del fatto artistico, soprattutto nei suoi rapporti col reale, consentì loro di indagare sotto un profilo più vasto la natura dell'arte, la sua funzione nel mondo degli uomini e il suo peculiare carattere. La posizione critica su cui operarono Cernysevskij e Dobroljubov fu particolarmente fruttuosa per la grande letteratura realistica dell'ottocento e per la riflessione estetica, alla quale essa offrì il valido sostegno di una esperienza fondata sul nesso tra arte e vita nazionale. Non a caso quindi Cernysevskij affrontò il problema dei rapporti tra arte e realtà attraverso la critica dell'estetica idealistica e lo studio dell'esperienza realistica di Puskin, di Gogol e della Scuola Naturale. Il pensiero di Cernysevskij si ricollega anche direttamente a quello di Belinskij, e questo è nettamente documentato da quei saggi sul periodo gogoliano della letteratura russa che costituiscono una analisi storica della critica russa anteriore a Cernysevskij , e una battaglia per l'eredità culturale di Belinskij, resa necessaria dalla situazione creatasi in seguito al temporaneo sopravvento del formalismo e dell'idealismo nella critica e nell'estetica russa. Cernysevskij sottolineava la necessità che la riflessione teorica facesse da sostegno alla critica, esigendo però che l'estetica si fondasse sulla storia e sull'analisi concreta dei fenomeni artistici. Egli rispondeva ai teorici della cosiddetta arte per l'arte accogliendo le critiche già avanzate da Belinskij, sostenendo che gli assertori dell'arte per l'arte vogliono sottomettere la letteratura esclusivamente al servizio di una tendenza che ha un significato meramente contingente. Le parole "l'arte deve essere indipendente dalla vita", sono servite sempre come una maschera per lottare contro le tendenze che a questa gente dispiacciono, allo scopo di fare della letteratura l'ancella di un'altra tendenza che vada loro più a genio.(22) L'arte è invece per Cernysevskij vita, passione, azione.
La teoria idealistica dell'arte, sembrava quasi compendiarsi a quel tempo nel sistema hegeliano. L'arte rientrava per Hegel nella sfera dello spirito assoluto insieme con la religione e la filosofia; l'opera d'arte altro non era se non la manifestazione sensibile dell'idea.(23)
Cernysevskij affrontò la tesi centrale dell'estetica idealistica, la dottrina del bello, spostando però l'attenzione all'analisi del nesso tra arte e realtà, affermando che: "il bello è la vita, noi vediamo la vita solo negli esseri reali, concreti; le idee astratte, generali non rientrano nel campo della vita".(24) Secondo l'idealismo hegeliano il bello, in quanto manifestazione dell'idea non esiste nel reale, ma vi è introdotto dalla fantasia dell'uomo. Il bello è una categoria astratta, metafisica, priva di un rapporto qualsiasi con la vita reale. A questa tesi Cernysevskij ne contrappone un'altra, condensata nella formula polemica: "Il bello è la vita",(25) secondo cui tutto il bello consiste solo nella realtà concreta. La bellezza perde così il suo carattere di nozione ideale, metafisica, per divenire reale e concreta. Il bello non esiste nell'idea ma nella vita, esiste nella realtà oggettiva e non vi è introdotto dalla fantasia dell'uomo. Da qui deriva che il bello dell'arte non può superare il bello della realtà, giacchè nel rapporto tra arte e realtà la priorità spetta alla realtà, al mondo esterno, alla materia. Analogamente il carattere reale del bello è dialetticamente congiunto al suo carattere ideale, che non è immutabile come sostiene l'idealismo, ma si trasforma col mutare della società, è storico, relativo. "La vita tende a progredire e danneggia la bellezza della realtà nel suo corso, dicono Hegel e Vischer, è vero; ma insieme con la vita progrediscono, ossia mutano contenuto, le nostre aspirazioni; e quindi l'idea che il fenomeno bello scompaia è fantastica; esso scompare dopo averlo assolto al proprio compito, dopo aver prodotto tanto godimento quanto può volerne il giorno d'oggi; domani sarà un altro giorno, con nuove esigenze che solo una nuova bellezza potrà soddisfare". (26) Mentre per l'estetica idealistica il bello è il contenuto essenziale dell'arte, per l'estetica di Cernysevskij la sfera dell'arte è assai più estesa e ricca, essa implica tutta la vita, il mondo naturale e la realtà sociale. Il bello viene concepito così come un elemento costitutivo dell'arte, ma un elemento che non ne esaurisce mai il contenuto, il reale nella sua totalità. La realtà non contiene soltanto la natura inerte ma anche la vita umana. Da questa dipendenza dell'arte con la vita reale, deriva nell'estetica di Cernysevskij una più profonda motivazione della funzione dell'arte nella vita degli uomini e della sua autentica autonomia. L'arte è secondo Cernysevskij un dato secondario rispetto al reale, e per tanto non può non riflettere questa realtà. L'arte diviene quindi un modo specifico di scoprire la realtà, tutto nell'arte deve essere espresso concretamente, l'artista deve saper distinguere il necessario dal non necessario, deve saper cogliere l'essenza del carattere nell'uomo completo. Questa è dunque la funzione dell'artista e tale concezione del processo creativo non può considerare la fantasia del poeta separata dal pensiero, dalla riflessione. Un artista è grande per Cernysevskij quando in lui il talento si fonde col pensiero che conferisce vita e bellezza alle sue opere.
Viene così postulata l'esigenza di una concezione ideale, che consenta all'artista di studiare meglio la vita che lo circonda e di comprenderla nel suo divenire e nelle fonti del suo dinamismo, di cogliere i tratti tipici della realtà naturale e sociale, di esplorare rapporti e sentimenti umani nella totalità della loro esistenza. La letteratura russa per Cernysevskij doveva porsi compiti nuovi, approfondire l'analisi dei fatti sociali, portare alla luce i problemi radicali della società contemporanea. Essa doveva in altri termini creare un personaggio nuovo, "l'eroe" degli anni ‘60, ben diverso dagli uomini della prima metà del secolo, capaci di riflettere, di ragionare, ma non di operare. "L'eroe" degli anni ‘60, il personaggio positivo, era un uomo d'azione, che, accogliendo l'eredità più vitale del passato, sapesse adeguare la propria vita alle proprie convinzioni, ossia riflettere e operare col popolo, per la radicale trasformazione della società.(27) In questo quadro la letteratura doveva approfondire il proprio realismo, liberarsi da ogni idealizzazione nella rappresentazione del popolo, guardare la realtà dal punto di vista del popolo. La forma dell'opera d'arte doveva come in Tolstoj rappresentare artisticamente non solo l'aspetto esterno della vita dei contadini, ma ciò che più conta, la loro visione delle cose; solo così avrebbe svolto la sua funzione di guida ideologica del popolo nella creazione di una società di liberi e di eguali.
3. "L'uomo nuovo" nella critica letteraria russa e nel "Che fare?" di Cernysevskij
Gli anni intorno al 1860 in Russia sono importanti principalmente per due motivi: il primo e il più importante è rappresentato dall'editto di liberazione dei servi promulgato da Alessandro II°, da una significativa liberalizzazione della cultura, da una nuova apertura del pubblico dibattito; anche se questo decreto produsse tuttavia frutti amari con i contadini che restavano comunque incatenati ai loro proprietari.
Il secondo motivo lo troviamo nel decennio che va dal 1860 al 1870, decennio di rilievo per l'emergere di una "nuova" generazione di intellettuali dotata di un nuovo stile: i Raznochinstij. Essi erano uomini di diverse origini e ceti sociali, tranne coloro che appartenevano all'aristocrazia e alla piccola nobiltà.
Essi andavano fieri del loro piglio aggressivo, del disprezzo per le convenzioni sociali. Il ritratto più insigne "dell'uomo nuovo" è costituito da Bazarov, il giovane studente di medicina in "Padri e figli" di Turgenev. Bazarov lancia sprezzanti invettive all'indirizzo della poesia, dell'arte, della morale e di tutte le istituzioni esistenti. Il I° settembre 1861 un misterioso cavaliere percorse a tutta velocità la prospettiva Nevskij a Pietroburgo lanciando volantini, l'effetto di tale gesto fu clamoroso e l'intera città in breve parlava del messaggio del cavaliere, il quale era fortemente incisivo: "noi non abbiamo bisogno né di uno Zar né di un imperatore, noi vogliamo alla nostra testa un semplice mortale, che capisca la vita del popolo e che da lui venga scelto" (28).
Tre settimane dopo, il 23 settembre, la folla assiepata sulla Nievskij assistette a qualcosa di ancora più sbalorditivo: una dimostrazione politica. Un gruppo composto da un centinaio di studenti mosse dall'università e percorse marciando la via che conduceva alla casa del rettore.
Contestavano una serie di nuove disposizioni amministrative che avrebbero dovuto proibire agli studenti e al corpo insegnanti di tenere assemblee di qualsiasi genere, avrebbero dovuto abolire le borse di studio e i contributi finanziari; ciò avrebbe nuovamente reso l'istruzione superiore un privilegio di casta come lo era ai tempi di Nicola I°. Quella notte il governo arrestò una dozzina di studenti, tanto che da quel momento si tennero alla larga dalla Nevskij e dal centro della città.
Nel luglio del 1862 ci fu anche l'arresto di Cernysevskij con generiche imputazioni di attività sovversiva e cospirazione contro lo stato. In realtà non esisteva alcuna prova a carico di Cernysevskij, le prove dovettero essere fabbricate. Il governo impiegò qualche tempo a procurarsele e così Cernysevskij venne tenuto per quasi 2 anni, in attesa di processo, nei sotterranei della fortezza Pietro e Paolo, l'edificio più antico di Pietroburgo. Il suo martirio avrebbe fatto si che egli figurasse negli annali dell'intellighetsija russa come uno dei suoi fondatori. Cernysevskij, anche se rinchiuso nella fortezza, leggeva e scriveva febbrilmente; l'opera fondamentale degli anni della sua prigionia è il romanzo dal titolo "Che Fare?". Il manoscritto venne consegnato alle autorità che lo inviarono alla speciale commissione d'inchiesta all'uopo istituita. Quando giunse nelle mani del censore questi non si preoccupò neanche di leggerlo pensando che fosse già stato esaminato e censurato.
Fu affidato al poeta liberale Nekrasov, amico di Cernysevskij anch'egli redattore de "Il Contemporaneo", che però perse il manoscritto sulla prospettiva Nevskij. Riuscì a recuperarlo solo mettendo un annuncio sulla Gazzetta della polizia di Pietroburgo: gli venne consegnato da un giovane impiegato governativo che l'aveva raccolto per strada.
Tutti, compreso Cernysevskij, consideravano Che Fare? Un fallimento dal punto di vista narrativo, non un vero e proprio intreccio, né un personaggio principale, nessuna ambientazione precisa. Eppure sia Tolstoj che Lenin si sarebbero impadroniti del titolo di Cernysevskij e dell'aura di grandezza morale che ne ispirava.
Essi riconobbero che questo libro mal costruito, malgrado tutte le sue imperfezioni, segnava un momento cruciale nello sviluppo del moderno spirito russo. La ragione dell'immediata popolarità del libro e della sua efficacia è insita nel sottotitolo "Storie della nuova gente". Cernysevskij riteneva che solo grazie all'agire di una classe di "gente nuova", la Russia avrebbe potuto fare il suo ingresso nel mondo moderno. Che Fare? è un manifesto e un manuale per questa aspirante avanguardia, egli ritrasse una galleria di vite esemplari in cui tanto gli incontri quanto i rapporti personali erano permeati di politica.
Ecco un tipico episodio, una giornata della vita di un "Uomo Nuovo":
"Che genere di uomo era Lopuchov? Era fatto così: stava camminando lungo la prospettiva Kamenij-Ostrovskij indossando una logora divisa (da studente). Gli si fa incontro un dignitario, che sta facendo una passeggiata e -da dignitario- muove dritto verso di lui senza farsi da parte. A quel punto Lopuchov mise in pratica la regola: "eccetto che per una signora, non sarò il primo a farmi da parte di fronte ad alcuno". Si colpirono con una violenta spallata. L'individuo, facendo un mezzo giro su se stesso, disse: "sei impazzito, porco? Bestia!". E stava continuando su questo tono, quando Lopuchov lo affrontò direttamente, lo sollevò per il corpo da terra e lo depositò con grande cura nello scolo.
Rimase sopra di lui e disse:"Se fai un movimento ti spingerò ancora più giù". Passarono due contadini, lo guardarono e lo lodarono. Passò un funzionario, guardò, non lodò, ma fece un largo sorriso.
Passarono delle carrozze, ma nessuno fece loro caso.... Lopuchov rimase così per un po', poi prese di nuovo l'individuo—questa volta non per il corpo ma per la mano—lo sollevò, lo portò sul marciapiede e disse: "Ahimè caro signore che avete fatto?" Spero che non vi siate fatto male. Mi permettete di ripulirvi?, passò un contadino e lo aiutò a ripulirlo, passarono due cittadini e fecero lo stesso, tutti loro, ripulirono l'individuo e se ne andarono per la prima strada." (29)
Cernysevskij dice che esattamente in ciò consiste la novità della sua "nuova gente": sono persone esenti da tutti i dubbi e dalle infinite ansie che hanno indebolito l'animo russo fino a quel momento.(30)
E' ironico che Cernysevskij dovesse passare alla storia come il più illustre sostenitore del "realismo" letterario: il suo è sicuramente uno degli eroi più fantastici, così come la sua scena è una delle più fantasmagoriche nella storia della letteratura russa. I generi letterari cui la si può avvicinare si trovano ai poli opposti rispetto al realismo. Aver scritto il Che Fare? è indice non solo di coraggio morale, ma altresì di grande forza inventiva. L'ambientazione a S.Pietroburgo le conferisce una ricchezza e una risonanza particolari: "questa città era infatti destinata a mettere in scena per il popolo russo sia le richieste che l'incognita di una modernizzazione dall'alto" (31).
4. Il confronto tra il "Che fare?" di Cernysevskij e "Memorie del sottosuolo" di Dostoevskij
In Memorie del Sottosuolo di Dostoevskij pubblicato nel 1864, possiamo trovare delle allusioni a Cernysevskij e al suo romanzo Che Fare?. La più famosa di tali allusioni è l'immagine del Crystal Palace di Londra. Per Cernysevskij e la sua avanguardia di gente nuova, il Crystal Palace è il "simbolo delle nuove forme di libertà e felicità di cui potranno godere i russi se riusciranno a compiere il grande balzo storico nell'era moderna" (32). Anche per Dostoevskij e per il suo antieroe, il Crystal Palace è sinonimo di modernità. Dostoevskij fu l'unico personaggio a prendere esplicita posizione in difesa del talento di Cernysevskij e della sua idealità, benché ritenesse che Cernysevskij fosse in errore tanto dal punto di vista metafisico quanto da quello politico. Esistono tra Cernysevskij e Dostoevskij profondi conflitti morali e metafisici, ma se paragoniamo l'Uomo del Sottosuolo di Dostoevskij all'Uomo Nuovo del Che Fare? di Cernysevskij scopriremo che esistono profonde affinità tra i luoghi da cui provengono e le mete che intendono raggiungere.
In Memorie del Sottosuolo abbiamo il classico paradigma Pietroburghese: ufficiale aristocartico contro povero impiegato. La scena in Memorie del Sottosuolo differisce radicalmente da quella di Cernysevskij, per il fatto che lo sprezzo per le autorità ha bisogno di parecchi anni di estenuanti angosce, prima di manifestarsi. Ciò che ha in comune con Cernysevskij è il fatto che si manifesta dopo una agonia apparentemente senza fine degna di quella D'Amleto, in cui l'Uomo del Sottosuolo compie finalmente il suo gesto; affronta il suo diretto superiore nella scala sociale e lotta coraggiosamente per i suoi diritti in mezzo alla strada, una volta analizzata questa scena appare chiaro quanto Cernysevskij abbia contribuito ad alimentare l'immaginazione di Dostoevskij, a rendere possibile la scena del confronto per l'Uomo del Sottosuolo, in quanto senza Cernysevskij è difficile immaginare una scena simile:
"Alcune persone stanno lottando e al momento culminante della lotta un uomo viene gettato dalla finestra. Questo evento colpisce l'immaginazione dell'Uomo del Sottosuolo e risveglia il suo desiderio di prendere parte attiva alla vita, di parteciparvi anche nel modo più difficoltoso e degradante. Prova una sorta di invidia per l'uomo che è stato gettato dalla finestra, cerca l'aggressore sperando di provocare una zuffa. Ma l'ufficiale ha una reazione assai più profondamente umiliante di qualsiasi violenza fisica: "Stavo vicino al biliardo, lui doveva passare, mi prese per le spalle e in silenzio mi mise dal posto dov'ero in un altro e passò come se nulla fosse. Non potevo perdonare di avermi cambiato posto con quell'aria di completa indifferenza." (33)
La prima cosa che contraddistingue L'Uomo del Sottosuolo come un "Uomo Nuovo" un uomo degli anni '60, è il suo desiderio di uno scontro frontale, anche se lo scontro dovesse rivelarsi fatale per lui. Egli è decisamente dinamico, lo vediamo scrollarsi di dosso la solitudine e passare all'azione, eccitato dalla prospettiva di possibili guai, per far sì che gli ufficiali riconoscano agli impiegati la loro dignità di esseri umani esistenti. Dostoevskij sta realizzando l'aspirazione di Cernysevskij ad un realismo russo, molto meglio di quanto non avrebbe potuto fare lui stesso, dandoci la dimensione reale della profondità e della volubilità della vita interiore dell'uomo nuovo. L'uomo del sottosuolo è incline a prendere le forze materiali molto più sul serio di quanto non faccia l'eroe materialista di Che Fare?, la sua affermazione sarà non solo una rivendicazione personale contro quel particolare ufficiale ma un testamento politico, indirizzato all'intera società russa. Finalmente arriva il gran giorno, l'Uomo del Sottosuolo si dirige verso la Nevskij, ad un certo momento riesce a localizzare l'ufficiale:
Di botto a tre passi appena dal mio nemico, inopinatamente mi decisi, chiusi gli occhi e .....ci urtammo spalla contro spalla! Io non cedetti di un pollice, e passai oltre proprio da pari a pari! Lui non si voltò neppure, fece le viste di non essersi accorto di nulla; ma fece soltanto le viste ne sono sicuro!(34).
L'ha fatto, si è buttato rischiando corpo ed anima, ha affrontato la casta dominante insistendo sulla parità dei suoi diritti, e per di più lo ha gridato dinanzi al mondo intero, il punto infatti è che le classi inferiori stanno cominciando a pensare e a camminare in modo nuovo, ha compiuto quell'azione decisiva per cambiare la sua vita, che gli piaccia o no ormai è diventato un Uomo nuovo.
Questa scena mostra perché folle di studenti radicali abbiano versato fiumi di lacrime sul feretro di Dostoevskij quando morì e mostra anche una nuova fase per la vita di Pietroburgo. Le Memorie del Sottosuolo segnano un grande balzo in avanti nel processo di modernizzazione spirituale: il momento in cui i cittadini della più astratta e premeditata città dell'intero globo imparano ad affermare intenzioni proprie.
"Da
questo momento in avanti la luce spirituale delle strade di
Pietroburgo brillerà con nuova intensità" (35).
5. Tolstoj: Affinità estetiche con Cernysevskij
Anche per Tolstoj come per Cernysevskij occorre innanzitutto rinunziare a considerare l'arte come mezzo di godimento, e considerarla invece come una delle condizioni della vita umana. Dice Tolstoj: non si può non vedere che l'arte è uno dei mezzi con cui gli uomini vivono in comune. L'arte agisce precisamente come la parola che, trasmettendo i pensieri e le esperienze degli uomini, serve come mezzo di unione tra gli uomini. La caratteristica di questo mezzo di unione, per cui esso si distingue dalla comunanza attraverso la parola, consiste nel fatto che con la parola un uomo comunica ad un altro i suoi pensieri, con l'opera d'arte gli uomini si trasmettono l'un l'altro i propri sentimenti. L'attività dell'arte è fondata sul fatto che un uomo, percependo con l'udito o con la vista le espressioni di un sentimento di un altro uomo, è capace di provare lo stesso sentimento che ha provato quello che ha espresso il proprio sentimento. Ora appunto su questa capacità degli uomini di contagiarsi dei sentimenti degli altri è fondata l'attività artistica. L'arte comincia quando l'uomo, al fine di trasmettere agli altri uomini il sentimento da lui provato, lo richiama in sé e lo esprime con determinati segni esteriori. E si avrà arte quando l'uomo, provato nella realtà o nell'immaginazione l'orrore della sofferenza o la delizia del godimento, riesce a rappresentare sulla tela o nel marmo questi sentimenti in modo da contagiare gli altri. Ed egualmente si avrà arte se l'uomo ha sperimentato o immaginato il sentimento dell'allegria, della gioia, della tristezza, e il passaggio dall'uno all'altro di questi sentimenti e ha rappresentato con suoni questi sentimenti, in modo che gli ascoltatori ne siano contagiati e li rivivano come egli li ha vissuti. I sentimenti più diversi purchè riescano a contagiare il lettore, lo spettatore, formano oggetto dell'arte. L'arte è una attività umana, che un uomo coscientemente, con determinati segni esteriori, trasmette ad altri, sentimenti da lui provati, e gli altri uomini subiscono il contagio di questi sentimenti e li rivivono in se stessi. L'arte non è, come dicono i metafisici, la manifestazione di qualche idea misteriosa, della bellezza di Dio; non è come dicono gli estetici psicologi, un giuoco, nel quale l'uomo riversa il superfluo delle energie in lui raccolte; non è la manifestazione delle emozioni con segni esteriori, e soprattutto non è un godimento, ma è un mezzo di comunanza fra gli uomini, indispensabile per la vita e per il moto di ogni singolo uomo e di tutta l'umanità verso il bene, in quanto che riunisce tutti gli uomini negli stessi sentimenti.
Come la parola agisce su di noi non soltanto con prediche, orazioni e libri, ma con tutti quei discorsi, con cui noi ci comunichiamo l'un l'altro i nostri pensieri ed esperienze, così anche l'arte, nell'ampio senso della parola, penetra tutta la nostra vita, e noi soltanto alcune manifestazioni di questa arte chiamiamo arte nel senso stretto della parola. Molto spesso si dice che un opera d'arte è molto bella perché è poetica o reale o di effetto o interessante, mentre non soltanto nessuna di tali qualità può essere presa a misura della dignità dell'arte, ma nessuna di esse ha qualcosa in comune con l'arte. Poetico significa preso in prestito. Prendere in prestito significa soltanto suscitare nei lettori, spettatori, un certo confuso ricordo delle impressioni artistiche che egli ha ricevuto da precedenti opere d'arte e non comunicare loro il sentimento provato dallo stesso artista.
Un'opera fondata sopra un prestito, come per esempio il Faust di Goethe può essere elaborato molto bene, essere piena di intelligenza e di ogni sorta di bellezza, ma non può produrre una vera impressione artistica, perché è priva della qualità principale di un'opera d'arte - dell'unità, dell'organicità - per cui forma e contenuto formano un tutto inseparabile esprimente il pensiero provato dall'artista. Nel prestito l'artista trasmette soltanto quel sentimento che a lui è stato trasmesso da una precedente opera d'arte, e perciò ogni presa in prestito di interi soggetti o di singole scene, situazioni descrizioni è soltanto un riflesso dell'arte, una sua copia, non è arte. quindi dire di una tale opera che essa è bella perché è poetica, cioè simile ad un'opera d'arte, è lo stesso che dire di una moneta che essa è buona perché è simile ad una vera. Il sintomo che distingue la vera arte dalla sua contraffazione è senza dubbio la sua capacità di essere contagiosa. Se un uomo senza alcuna attività da parte sua, e senza alcun mutamento della sua posizione, leggendo, ascoltando, vedendo un opera di un'altro uomo, sperimenta uno stato d'animo, che lo collega a quest'altro uomo ed altri ancora che come lui fanno proprio l'oggetto d'arte, questo oggetto provocatore di questo stato d'animo, è un'opera d'arte. Per quanto un oggetto possa essere poetico, simile alla realtà, di effetto o interessante, non è oggetto artistico se non suscita nell'uomo quel sentimento di gioia, del tutto diverso da tutti gli altri sentimenti che l'unisce ad un'altro uomo o ad altri uomini che percepiscono la stessa opera artistica. E' vero che questo sintomo è un sintomo interiore e che gli uomini i quali hanno dimenticato l'azione provocata dalla vera arte e si aspettano dall'arte qualcosa di diverso, possono credere che questo sentimento di disposizione e di eccitamento che essi provano in presenza della contraffazione dell'arte sia anche un sentimento estetico; tuttavia pur essendo impossibile dissuadere tali uomini, questo sintomo per gli uomini da sentimento non corrotto e non atrofizzato nei riguardi dell'arte, rimane pienamente definito e capace di distinguere chiaramente il sentimento provocato dall'arte da qualsiasi altro. La principale caratteristica di questo sentimento è che colui la quale percepisce l'opera d'arte si fonde a tal punto con l'artista da sembrargli che l'oggetto percepito non sia fatto da altri ma da lui stesso, e che tutto ciò che è espresso da questo oggetto è quel che egli da tempo voleva esprimere. L'autentica opera d'arte fa sì che , nella coscienza di chi percepisce, si distrugge la divisione tra lui e l'artista e non solo tra lui e l'artista, ma tra lui e tutti gli uomini che percepiscono la stessa opera d'arte. In questa liberazione della personalità negli altri è la forza attrattiva e la caratteristica dell'arte; se non c'è questo contagio, questa fusione, con l'autore e con tutti gli altri che accolgono in sé l'opera, non c'è arte. E non soltanto la capacità di contagio è il sintomo indiscutibile dell'arte, ma il grado di contagiosità è l'unica misura del valore dell'arte: quanto più forte è il contagio tanto migliore è l'arte come arte, non parlando del suo contenuto, cioè indipendentemente dal valore di quei sentimenti che essa trasmette. Tanto più si accresce il grado di contagiosità dell'arte, quanto più alto è il grado di contagiosità dell'artista. Non appena lo spettatore sente che l'artista stesso è contagiato dalla propria opera e scrive, canta, recita per se stesso e non soltanto per agire sugli altri, questo stato spirituale dell'artista contagia colui che accoglie l'opera d'arte, e, al contrario non appena lo spettatore sente che l'autore scrive, non per propria soddisfazione, ma per colui che accoglie l'opera d'arte e non sente egli stesso ciò che vuole esprimere, nasce la resistenza e anche il più speciale nuovo sentimento, anche la tecnica più esperta non solo non producono nessuna impressione, ma addirittura respingono.
Tolstoj parla di tre condizioni della contagiosità dell'arte; in sostanza vera e propria condizione è solo l'ultima, che cioè l'artista provi la necessità interiore di esprimere il sentimento che comunica. Questa condizione comprende in sé la prima perché se l'artista è sincero, egli esprimerà il sentimento come lo ha provato. E poiché ogni uomo è diverso dall'altro, anche il sentimento sarà particolare per chiunque altro e tanto più particolare, quanto più profondamente l'artista lo attinge in sé, quanto più esso è sincero. Questa sincerità appunto costringerà l'artista a trovare la chiara espressione del sentimento che egli vuol trasmettere. Perciò dunque la terza condizione, la sincerità, è la più importante delle tre. La mancanza di una di queste condizioni fa sì che l'opera non rientri nell'arte, ma nella categoria delle sue contraffazioni. Se l'opera non ridà la caratteristica individuale del sentimento dell'artista e perciò non è di per sé particolare, se essa è espressa in modo incomprensibile, se essa non è nata da una necessità interiore dell'autore, essa non è opera d'arte. La presenza dunque in gradi diversi delle tre condizioni: particolarità, chiarezza e sincerità, determina la dignità degli oggetti dell'arte come arte, indipendentemente dal suo contenuto. Così si distingue l'arte dalla non arte e si stabilisce il grado di dignità dell'arte come arte, indipendentemente dal suo contenuto, cioè indipendentemente dal fatto che trasmetta buoni o cattivi sentimenti. Ma affinchè l'arte riesca a uscire dalla falsa strada, occorre che un altro ramo non meno importante dell'attività intellettuale degli uomini, cioè la scienza, con la quale l'arte si trova sempre in rapporto di stretta dipendenza, occorre che anch'essa abbandoni la strada falsa nella quale si trova. L'arte e la scienza stanno tra di loro in un rapporto molto stretto. La vera scienza insegna agli uomini le cognizioni che devono avere per essi la maggiore importanza e dirigere la loro vita. L'arte trasporta codeste condizioni dal dominio della ragione in quello del sentimento, essa è la trasmissione di tutti i sentimenti possibili, ma non è arte seria se non quella che trasmette agli uomini dei sentimenti importanti per essi, così la scienza è l'espressione di tutte le cognizioni importanti per noi. Ora ciò che determina il grado di importanza sia dei sentimenti che delle cognizioni è la coscienza religiosa di una società e d'una epoca data, cioè il concetto comune che si formano del senso della vita gli uomini di quell'epoca e di quella società. Gli uomini del nostro tempo affermano che imparano indistintamente tutto. Ma poiché tutto è un po' troppo, essendo infiniti gli oggetti della conoscenza, quella non è che un'affermazione puramente teorica. Nella realtà gli uomini non imparano tutto, essi imparano solo le scienze che non hanno alcun rapporto con la vita. Ed è per giustificare questa scelta arbitraria e mostruosa, che i nostri scienziati hanno inventato una teoria corrispondente a quella dell'arte per l'arte, la teoria della scienza per la scienza. La teoria dell'arte per l'arte sostiene che l'arte consiste nell'occuparsi di tutti i soggetti che fanno piacere; la teoria della scienza per la scienza sostiene che la scienza consiste nell'insegnare tutti i soggetti interessanti. E così accade che invece di insegnare come gli uomini dovrebbero vivere per effettuare il loro destino, ci si occupa di questioni di pura curiosità. Ma basterebbe volgere un'occhiata intorno per vedere che l'oggetto importante e proprio della scienza umana, non dovrebbe essere di imparare ciò che, per caso, è interessante, ma d'imparare in che senso deve essere diretta la vita dell'uomo, d'imparare quelle verità religiose, morali, sociali, senza di cui tutta la nostra così detta conoscenza della natura non può esserci che inutile. Ma il nostro concetto della scienza è pervertito a tal segno che gli uomini del nostro tempo troveranno strano che si parli loro di scienze capaci di diminuire la mortalità dei bambini, la degenerazione, la guerra. Così avviene che l'arte del nostro tempo per essere vera arte, deve aprirsi la via da sé a dispetto della scienza, oppure mettere a profitto gli insegnamenti di una scienza che il nostro mondo non ammette, d'una scienza rinnegata e respinta dalla parte ortodossa della scienza. E' a questo partito che l'arte si trova ridotta, quando si dà pensiero di compiere la sua funzione. Almeno conviene sperare che un lavoro simile a questo che io ho tentato per l'arte sarà intrapreso, un giorno o l'altro, rispetto alla scienza; un lavoro che proverà agli uomini la falsità della teoria della scienza per la scienza. Possano allora gli uomini riconoscere quanto sono secondarie e insignificanti le cognizioni sperimentali, e quanto essenziali e importanti le cognizioni religiose, morali e sociali. Soltanto allora l'arte per sempre dipendente dalla scienza, ridiventerà ciò che fu e che deve essere, un organo imparentato con quello della scienza, ugualmente importante per la vita e il progresso degli uomini. L'arte non è un godimento, un piacere, né un divertimento; l'arte è una grande cosa. E' un organo vitale dell'umanità, che trasporta i concetti della ragione nel dominio del sentimento. Così l'arte ha un compito immenso; con l'aiuto della scienza e sotto la guida della religione deve fare in modo che quell'unione pacifica degli uomini, che ora non si ottiene che con mezzi esteriori, possa effettuarsi per il libero e gioioso consenso di tutti. L'arte deve sopprimere nel mondo il regno della violenza e della coercizione. Ed è un compito che essa sola può soddisfare, eccitando in noi, con l'aiuto di creazioni immaginarie, i sentimenti della fratellanza e dell'amore, può avvezzarci a provare gli stessi sentimenti nella realtà, può assestare nell'anima umana delle rotaie sulle quali oramai scorre la vita, sotto la guida della scienza e della religione. E unendo gli uomini più diversi in comunanza di sentimenti, sopprimendo le distinzioni tra loro, l'arte universale può preparare gli uomini all'unione definitiva, può dimostrar loro la gioia dell'unione universale, al di là delle barriere imposte dalla vita. Il compito dell'arte vera , dell'arte cristiana, è quello di effettuare l'unione fraterna tra gli uomini.(36)
6. Rapporti fra arte e realtà(37) nell'estetica di Cernysevskij
Per Cernysevskij il primo significato dell'arte, è la riproduzione della natura e della vita. Egli afferma: "Di solito si dice che il contenuto dell'arte è il bello; ma con ciò si restringe troppo la sfera dell'arte. Anche ad ammettere che il sublime e il comico siano momenti del bello, vi sono tuttavia molte opere d'arte che non entrano per contenuto in queste tre rubriche: del bello, del sublime e del comico. Nella pittura non entrano in queste suddivisioni i quadri di vita familiare nei quali non ci sia nessun viso bello o comico, la rappresentazione di un vecchio o di una vecchia che non si distinguano per speciale bellezza di vegliardi e così via. Nella musica è ancora più difficile introdurre le comuni suddivisioni; se consideriamo le marcie, le sonate patetiche e così via, nella categoria del sublime e in quella del bello, resta tuttavia una gran quantità di composizioni musicali che per il loro contenuto non possono essere senza sforzo attribuite all'uno o all'altro di questi generi. Ma di tutte le arti quella che più si oppone dal punto di vista del suo contenuto alle strette rubriche del bello e dei suoi momenti, è la poesia. Il suo campo è il campo tutto della vita e della natura; i punti di vista del poeta sulla vita nelle sue varie manifestazioni, sono così vari come i concetti del pensatore intorno a questi fenomeni così diversi per carattere; ma il pensatore trova nella realtà molto ancora oltre al bello, al sublime e al comico.
Che il contenuto della poesia non si esaurisca nei tre noti elementi, esteriormente lo vediamo dal fatto che le sue opere non rientrano più nelle cornici delle antiche suddivisioni. Che la poesia drammatica non rappresenti soltanto il tragico o il comico, lo dimostra il fatto che, accanto alla commedia e alla tragedia, è apparso il dramma. Per la maggior parte delle attuali poesie liriche non si troverebbe nelle vecchie categorie un titolo capace di indicarne il contenuto; sono insufficienti centinaia di rubriche; tanto più dobbiamo dubitare che possano abbracciare tutto le tre sole rubriche indicate. Più semplice di tutto è risolvere questa confusione, dicendo che la sfera dell'arte, non si limita al solo bello e ai suoi cosiddetti momenti, ma abbraccia in sé tutto quello che nella realtà interessa l'uomo; l'interesse comune, ecco il contenuto dell'arte. Il bello, il tragico, il comico, sono soltanto tre più definiti elementi tra i mille, dai quali dipende l'interesse per la vita, enumerare i quali significherebbe enumerare tutti i sentimenti, tutte le aspirazioni che agitano il cuore dell'uomo. Il significato sostanziale dell'arte, è la riproduzione di tutto ciò che è interessante per l'uomo nella vita; l'arte si riferisce alla vita del tutto come si riferisce la storia. La differenza di contenuto consiste solo nel fatto che la storia parla della vita dell'umanità, l'arte della vita dell'uomo, la storia della vita sociale, l'arte della vita individuale. Il primo compito della storia è di riprodurre la vita, il secondo di spiegarla; la stessa identica cosa deve dirsi dell'arte. Anche l'estetica deve riconoscere che l'arte allo stesso modo e per le stesse ragioni, non deve neppur pensare a paragonarsi con la realtà, tanto meno cercare di superarla con la bellezza.
Ma dove va a finire la fantasia artistica in una simile concezione dell'arte? Quale funzione le rimane? Ammettiamo che il poeta prenda dall'esperienza della propria vita un avvenimento a lui pienamente noto; ammettiamo che l'avvenimento considerato sia del tutto finito dal punto di vista artistico, così che il semplice racconto di esso sarebbe pienamente un'opera d'arte, cioè prendiamo il caso in cui l'intervento della fantasia sembri essere il meno necessario. Per quanto sia forte la memoria, essa non è in condizione di trattenere tutti i particolari, specialmente quelli che non sono importanti per la sostanza della cosa; ma molti di essi sono importanti per la completezza artistica del racconto, e debbono essere presi in prestito da altre scene, rimaste nella memoria del poeta, è vero che il completamento dell'avvenimento con questi particolari non lo trasforma, e la differenza del racconto artistico dell'avvenimento in esso riportato si limita per il momento alla sola forma. Ma con ciò non si esaurisce l'intervento della fantasia. L'avvenimento nella realtà era confuso con altri avvenimenti, trovantisi con lui solo in una unione esteriore, senza un legame sostanziale. Ma quando noi separeremo l'avvenimento da noi scelto dagli altri avvenimenti e dagli episodi non necessari, vedremo che questa separazione lascia nuove lacune nella completezza di vita del racconto; il poeta dovrà di nuovo completarlo. E questo è poco; la separazione, priva non soltanto della completezza di vita molti momenti dell'avvenimento, ma spesso ne muta il carattere, e l'avvenimento appare nel racconto già diverso da quel che era nella realtà, oppure per la conservazione della sua essenza il poeta sarà costretto a mutare molti particolari che hanno un reale senso nell'avvenimento solo nel suo ambiente reale, tolto dal processo isolante del racconto. Come vediamo la cerchia di attività delle forze creative del poeta si restringe ben poco coi nostri concetti dell'essenza dell'arte. Ancora più ampia è la cerchia dell'intervento della fantasia combinatrice in altre circostanze; quando per esempio al poeta non sono del tutto noti i particolari dell'avvenimento, quando egli lo conosce solo attraverso racconti altrui, sempre unilaterali, infedeli o incompleti nel rapporto artistico, per lo meno dal punto di vista personale del poeta. La necessità di combinare e di trasformare, non deriva dal fatto che la vita reale non rappresenti quei fenomeni che il poeta vuole rappresentare; ma dal fatto che il quadro della vita reale non appartiene alla stessa sfera di esistenza della vita reale, la differenza nasce dal fatto che il poeta non dispone di quei mezzi di cui dispone la vita reale. L'apologia della realtà in confronto della fantasia, la tendenza a mostrare che le opere d'arte non possono assolutamente sostenere il confronto con la viva realtà, ecco la sostanza di questa dissertazione. Ma parlare così dell'arte non significa abbassare l'arte? Si, se dimostrare che l'arte è inferiore alla vita reale per perfezione artistica delle sue opere, significa abbassare l'arte; ma insorgere contro i panegirici non vuol dire ancora essere un denigratore. La scienza non pensa di essere al di sopra della realtà, e questa non è per lei una vergogna. Neppure l'arte deve pensare di essere superiore alla realtà, ciò non è per essa umiliante. Che nemmeno l'arte si vergogni di riconoscere che il suo scopo è di riprodurre secondo le forze, questa preziosa realtà e di spiegarla per il bene dell'uomo." (38)
7. Gogol: fondatore della "scuola naturale"
Gogol ( 1809-1852 ) viene considerato il fondatore della "Scuola Naturale" poiché nei suoi romanzi egli resta sempre fedele alla realtà, ogni suo personaggio è preso dalla vita reale e le sue fedeli descrizioni sono quasi etnografiche. Secondo Cernysevskij la tendenza gogoliana rimane nella letteratura russa l'unica tendenza vigorosa e feconda; egli dice: "nella nostra letteratura continua il periodo gogoliano, sebbene venti anni siano trascorsi dall'apparizione del Revisore, venticinque dalla pubblicazione delle Veglie alla fattoria di Dikanka. Prima, in un simile lasso di tempo, si sarebbero alternate due o tre tendenze. Oggi domina una stessa tendenza e non sappiamo quando potremo affermare: "Un nuovo periodo è iniziato per la letteratura russa".(39) Il periodo gogoliano si è prolungato per un numero di anni che in passato era sufficiente all'alternarsi di due o tre periodi.
Quando Gogol conquistò la critica sullo sviluppo della coscienza del popolo russo, apparve la cosiddetta critica degli anni 40... . Noi - dice Cernysevskij - osiamo affermare che i più decisi assertori di tutti gli scritti gogoliani, i quali portano alle stelle ogni sua opera, ogni sua riga, non sentono in modo vivo come noi le sue opere, non ascrivono alla sua attività l'enorme importanza nella letteratura russa che le attribuiamo noi. Definiamo Gogol il massimo scrittore russo per la sua importanza.(40)
Diciamo anche che Gogol è considerato da Cernysevskij il padre della prosa russa, come Puskin è il padre della poesia russa. Questa opinione è ripresa dall'articolo "Sul racconto russo e sui racconti del signor Gogol", pubblicato nel 1835 su "il Telescopio".
Dopo la pubblicazione del Revisore e delle Anime Morte, è necessario aggiungere che Gogol fu anche il padre del romanzo russo (in prosa) e in generale della prosa russa.
Le eccellenti commedie di Fonzivin non esercitarono alcuna influenza sullo sviluppo della letteratura russa, furono solo un brillante episodio che preannunciarono la nascita della prosa e della commedia russa. Le novelle di Karamzin furono importanti per la storia della lingua ma non per la storia della letteratura russa originale perché non ebbero nulla di russo, tranne la lingua. "In ogni caso i racconti erano migliori dei romanzi e se l'autore dell'articolo da noi citato, dopo aver analizzato minuziosamente tutti i racconti scritti prima di Gogol è giunto alla conclusione che, propriamente parlando, " da noi non sono esistiti racconti" prima dell'apparizione delle Veglie alla fattoria di Dikanka e di Mirgorod, è indubbio che da noi non è esistito neppure il romanzo. Vi furono solo tentativi i quali mostrarono che la letteratura russa si stava preparando ad avere il romanzo e il racconto, che rivelarono in essa l'aspirazione a creare il romanzo e il racconto." (41) Dunque la prosa occupava nella letteratura russa un posto molto secondario, aveva una importanza molto limitata, aspirava ad esistere, ma ancora non esisteva.
"Non sappiamo –dice Cernysevskij-- che cosa l'avvenire riservi alla letteratura, non abbiamo motivo di negare alla nostra poesia un grande avvenire, ma dobbiamo tuttavia affermare che finora la forma prosastica è stata e continua ad essere assai più feconda di quella poetica, che Gogol ha dato vita a questo importante settore della letteratura e che solo Gogol gli ha permesso di assicurarsi quel predominio preciso che essa conserva tuttora e che, con ogni probabilità, conserverà ancora per molto tempo." (42) Non si può invece asserire che Gogol non ebbe dei predecessori nella tendenza che si definisce satirica. Questa tendenza ha sempre costituito l'aspetto più vivo o, per meglio dire, l'unico aspetto vivo della letteratura russa. Bisogna ricordare i pregi in questo campo di Griboiedov, o della enorme influenza di Pusckin, ma soltanto a Gogol va attribuito il merito di aver introdotto stabilmente nella letteratura artistica la tendenza satirica o, come è più giusto chiamarla, la tendenza critica.
La tendenza satirica nelle opere dello stesso Pusckin, forse racchiudeva in sé troppo poca profondità e continuità per produrre una influenza rilevante sul pubblico e sulla letteratura. Infatti il contenuto della poesia Pusckiana ha lasciato insoddisfatte molte persone, ma in Pusckin vi è cento volte più contenuto che in tutti i suoi contemporanei presi assieme. Tuttavia spetta a Gogol il merito di aver infuso per primo nella letteratura russa l'aspirazione decisa ad un contenuto e, inoltre, l'aspirazione ad una tendenza feconda come quella critica.
"Aggiungiamo che la letteratura russa deve anche a Gogol la sua originalità. Comunque per quanto importante sia il titolo di fondatore della tendenza più feconda e dell'originalità della letteratura, con questa espressione ancora non si definisce la grande importanza di Gogol per la nostra società e letteratura. Egli ridestò in noi la coscienza di noi stessi: ecco il suo merito reale, la cui importanza non dipende dal fatto se, in ordine cronologico, dobbiamo considerare Gogol il primo o il decimo dei nostri grandi scrittori. L'analisi dell'importanza di Gogol sotto questo riguardo deve essere l'oggetto principale dei nostri saggi." (43) Si tratta di un compito molto importante per Cernysevskij, egli si limita quasi a sistemare e sviluppare le idee espresse dalla critica. Ma la straordinaria importanza di Gogol per la letteratura russa non è ancora interamente definita dalla valutazione delle sue opere: Gogol è importante non solo come scrittore, ma anche come caposcuola. La letteratura russa, in quanto si è formata sotto l'influenza di scrittori non stranieri, è legata a Gogol; solo così ci appare in tutta la sua ampiezza la sua importanza.
Dice Cernysevskij: "dovremo essere in grado di determinare che cosa la letteratura russa ha già realizzato e che cosa dobbiamo aspettarci per il futuro, quali garanzie per l'avvenire ci offra e che cosa le manchi. E' una questione interessante, perché dalla situazione della letteratura è possibile ricostruire la situazione della società, da cui essa sempre dipende. Per quanto giuste siano le idee sull'importanza di Gogol, si troveranno tuttavia individui a cui parrà che poniamo Gogol troppo in alto. Sono infatti molte le persone che insorgono contro di esso. Il suo destino letterario in questo senso è radicalmente diverso da quello di Pusckin, il quale è riconosciuto da tempo come un grande scrittore." (44) Molto debbono a Gogol coloro che necessitano di una difesa, egli si è posto alla testa di chi combatte il male. Tutti saranno concordi nell'elogiarlo, solo quando tutto il triviale e il basso sarà scomparso. In molti si sono opposti alla sua critica e al suo pensiero, il più vigoroso e il più degno di rispetto tra coloro che si levarono contro Gogol, secondo Cernysevskij, fu N.A. Polevoi. Tutti gli altri quando attaccarono Gogol, rivelarono solo mancanza di gusto, e non meritano grande attenzione. Al contrario, se gli attacchi di Polevoi furono violenti, se talora superarono persino i limiti della critica letteraria, tuttavia in essi si nota sempre dell'intelligenza, e i suoi attacchi furono tuttavia in buona fede, giacchè non insorse contro Gogol per bassi calcoli né per amor proprio o inimicizia personale come molti altri, ma per sincera convinzione. Però gli attacchi contro Gogol furono tra gli errori più gravi di Polevoi e costituirono una delle cause principali dell'astio che il pubblico e i migliori scrittori dello scorso decennio nutrirono contro di lui. Quando apparve il Revisore coloro che lessero tale opera proclamarono Gogol scrittore geniale; Polevoi invece lo condannò, la sua recensione sul Revisore è molto violenta. Dopo il Revisore apparvero Le Anime Morte e suscitarono un entusiasmo che non ebbe eguali in Russia, furono portate alle stelle come l'opera più colossale della letteratura russa.
Dal punto di vista di Polevoi quest'opera tanto esaltata doveva essere anche peggiore del Revisore, e pronunciò la propria condanna sulla nuova opera. Polevoi lo accusa di aver avuto anche sollecitazioni esterne; bisogna dire invece che Gogol fu più indipendente da influenze esterne di ogni altro scrittore di primo piano. Quanto di bello creò lo dovette soltanto alla sua profonda natura. Pusckin aveva conosciuto Gogol tempo prima, aveva esercitato una certa influenza sul giovane principiante e ne aveva lodato le opere, ma è impossibile che Polevoi lo considerasse un "adulatore" di Gogol. Al contrario, Pusckin fu semmai il patrono di Gogol, occupando nella letteratura e nella società un posto assai più elevato dell'ignoto giovane. Con Pusckin passiamo alle opinioni di coloro che invece considerarono Gogol un grande scrittore.
Puskin per primo stimò Gogol, per primo ne parlò con la stampa, egli lo accolse con cordialità e lo aiutò con affetto tanto che divenne suo successore. Dopo la morte di Pusckin, anche i suoi amici continuarono ad essere dei difensori di Gogol, ammiratori del suo talento. Due di costoro, il principe Viazemskij e il signor Pletniov, furono giornalisti ed intesero molto bene le opere di Gogol. I loro articoli sono da annoverare tra i migliori saggi scritti su di esso. Dice Viazemskij: "alcuni critici sono insoddisfatti per la trivialità della lingua del Revisore e non comprendono che i personaggi della commedia non possono parlare un linguaggio diverso. Trovano in Gogol parole che non sono usate, a loro avviso nell'alta società, dicono che il Revisore è una commedia immorale perché in essa sono presentati alcuni vizi e stoltezze umani, dicono che la mente e il cuore non resistono all'indignazione e al disgusto, che non c'è l'aspetto luminoso dell'umanità per conciliare gli spettatori con gli uomini. Noi consideriamo immorale solo l'opera che induce in tentazione, la spassionata descrizione della tentazione stessa non può essere immorale. L'autore seguendo in questo caso la provvidenza presenta il male, lasciando alla volontà e alla coscienza del lettore e dello spettatore la facoltà di trarre profitto da questa lezione secondo i propri sentimenti e le proprie norme." (45) Scopo di questa recensione è la dimostrazione dell'assurdità delle accuse e dei rimproveri rivolti a Gogol. Il critico spiega perché le opere di Gogol siano superiori a tutta la restante letteratura russa di quel tempo. "La trama delle Anime Morte è semplice e svolta in modo eccellente, la vita e i caratteri sono raffigurati con sorprendente vivezza, con stupenda pienezza. Nelle scene più serene l'autore rivela la sua geniale perspicacia, la sua conoscenza della vita e del cuore umano, nel modo più disinvolto e naturale. Gogol non solo non scade nella caricatura o nella farsa, ma non ha nemmeno l'intenzione di farvi ridere, si preoccupa soltanto di essere fedele alla vita, alla verità." (46) Sarebbe sbagliato credere che la principale impressione prodotta dalle Anime Morte sia il riso: al contrario questo libro è molto serio. Tutti i personaggi sono vivi, tutti hanno un significato profondo per chi voglia conoscere la vita in russia a quel tempo. L'importanza reale per la vita, secondo Gogol ma anche secondo Cernysevskij e tutti i populisti della critica letteraria russa, l'intimo nesso con essa, è la più alta qualità dell'opera artistica; e sotto questo aspetto nella letteratura russa non c'è nulla di simile alle Anime Morte. Bisogna dire che Pusckin e i suoi compagni possedettero molte delle qualità necessarie per esercitare una forte influenza sulle opinioni dei loro lettori e, tuttavia le loro opinioni ebbero sul pubblico e sullo sviluppo della letteratura una influenza minore di quanto c'era da aspettarsi; la maggior parte dei lettori e la nuova generazione di scrittori subirono prevalentemente l'influenza di altre concezioni letterarie. Le idee di Pusckin e dei suoi compagni non esercitarono un'influenza decisiva sulla letteratura e sulla massa del pubblico. Ma delle numerose ragioni del perché il pubblico mostrò scarso interesse ve ne è una in particolare: "per diffondere tra il pubblico una qualsiasi opinione anche la più semplice e giusta occorre esprimerla con costanza, con tenacia, con l'entusiasmo di una adesione appassionata, la quale non si stanchi delle ripetizioni noiose per il critico ma necessarie per il pubblico e non respinga nell'interesse del pubblico le polemiche con individui coi quali non è né gradito né onorevole entrare in discussione. Insomma l'attività critica come ogni altra attività sociale presenta molti aspetti che sono tanto più utili per il pubblico quanto meno piacevoli sono per il critico. Il critico che voglia parlare soltanto di ciò che lo interessa, che voglia conservare nella propria attività la tranquillità e dignità orgogliosa del poeta, un tale critico scrive per pochi." (47) Pusckin e i suoi compagni sapevano che in tal modo si precludevano la possibilità di conquistare il dominio sulla massa e in realtà non aspirarono a questo dominio: si accontentarono del sicuro consenso di pochi lettori, che considerarono eletti, ed orgogliosamente ritennero che la qualità del loro pubblico li ricompensasse della quantità. Questa idea fu da loro espressa molte volte.(48) Così la tendenza Pusckiniana nella critica non ebbe un grande consenso anche perché non volle averlo. Limitandoci alle brevi indicazioni sul carattere della critica della tendenza Pusckiniana, bisogna concentrare l'attenzione sulla rivista che diffuse le idee letterarie dominanti tra la stragrande maggioranza del pubblico di quel periodo in Russia. Il merito che ebbe la critica formatasi nel "Telescopio" e divenuta pienamente originale nell' "Osservatore di Mosca" raggiunse il suo pieno sviluppo negli "Annali Patri". Occorre citare quindi soprattutto essi, riferendoci al periodo più brillante degli Annali Patri, che va dal 1840 al 1847, perché soltanto la critica di questi anni è degna di chiamarsi "critica del periodo gogoliano della nostra letteratura".(49) Molti furono i pregi della critica del periodo gogoliano, ma tutti acquistarono vita, significato e forza dall'unica passione che le animò, dal patriottismo. In Russia l'importanza storica di ogni grande uomo russo viene commisurata spesso, con i suoi meriti per la patria. Lomonosov, Karamzin, Belinskij, Puskin, sono considerati grandi scrittori perché hanno il merito di aver istruito o educato all'arte il proprio popolo. Ma in nessun uomo russo la coscienza del proprio valore patriottico si è manifestata in modo tanto vivo e chiaro come in Gogol. Si trovano nella letteratura russa molti fenomeni ispirati da così puro patriottismo, come la critica del periodo gogoliano, dove l'amore per il bene della patria fu l'unica passione, e "soltanto quando il livello culturale russo sarà cresciuto ci si potrà occupare, come nei paesi europei solo a vantaggio della scienza, dell'arte e non della nazione." (50) La critica del periodo gogoliano si sviluppò lentamente prima di pervenire alla sua piena maturità. In questo periodo una delle figure maggiori della letteratura russa fu certamente Nadezdin, maestro di Belinskij, che scrisse poi molti articoli su Pusckin. In molti e diversi settori della scienza, più specificamente russi, egli fu il primo specialista; in tutti i settori delle scienze storico-morali, dalla filosofia all'etnografia, furono da lui così profondamente studiati come di rado uno specialista riesce ad approfondire la sua scienza specifica. Il suo collaboratore nell'arena letteraria, allievo e continuatore fu appunto Belinskij che cominciò la sua attività letteraria dal punto in cui Nadezdin si era fermato, dalla netta e amara negazione di tutta la letteratura russa fino a Gogol. "Già il primo importante articolo di Belinskij, Fantasie Letterarie, ha un tono spietato e sottolinea che la letteratura russa non è altro che una fantasia." (51) Secondo Belinskij, anche Pusckin ha mostrato di avere un grande talento, ma non ha prodotto nessuna opera degna delle sue forze. Gogol invece, già induceva il critico Belinskij alla speranza di un'avvenire migliore. Infatti egli salutò i l'autore con entusiasmo e, fin dall'inizio, mentre i critici più perspicaci guardavano a Gogol con bonaria indulgenza, egli ne diede una valutazione pienamente positiva, intravide nelle sue prime opere l'inizio di un'epoca nuova per la letteratura russa e predisse che l'autore vi avrebbe occupato un posto di primo piano. Si colgono così già i primi segni dell'originalità di Belinskij. Quanto ai primi racconti di Gogol egli comprese che le Veglie alla fattoria di Dikanka e Mirgorod erano opere eccellenti, riconobbe in Gogol uno scrittore considerevole. Questa differenza, rispetto a Nadezdin, si spiega col fatto che Belinskij aveva l'animo di un uomo "dell'Epoca Nuova", mentre nella mente di Nadezdin, suo maestro, l'aspirazione all'avvenire lottava con le abitudini del passato. Si è detto in precedenza che, per Belinskij come per Nadezdin una letteratura russa ancora non esiste, ma Belinskij per primo ha compreso che le cose in questo senso stavano mutando e afferma: "finora era necessario dubitare dell'esistenza della letteratura in Russia, oggi si deve affermare con certezza che essa esiste." (52)
Solo Belinskij ebbe la sorte di affermare tale convinzione, egli non fu solo l'esponente della negazione, ma per primo pose un limite ad essa, cosa che Nadezdin non aveva saputo fare. Tuttavia quando si dice che la critica del periodo gogoliano pose un limite alla negazione e ci diede per prima una storia della letteratura russa, ci si riferisce all'ultima fase di sviluppo della critica del periodo gogoliano, perché solo allora conquistò la sua piena autonomia. Abbiamo già visto con quale rapidità e sicurezza Belinskij ha previsto in Gogol il futuro scrittore; ben presto il Revisore doveva convalidare questa previsione. Vi era sicuramente una differenza sostanziale tra Nadezdin e l'allievo Belinskij nel valutare l'importanza di Gogol, il primo non aveva notato i fatti su cui l'allievo aveva invece fondato la sua interpretazione della letteratura russa. Ma la differenza radicale tra le loro concezioni non consisteva più (1835-36) soltanto nel fatto che Belinskij aveva afferrato l'importanza eccezionale dei nuovi avvenimenti, e che Nadezdin solo in seguito prese a considerare; ormai erano diverse le concezioni stesse, che servivano da fondamento ai giudizi espressi sui singoli fatti. Belinskij quindi seppur continuava ad essere sotto certi aspetti un allievo di Nadezdin, appartenne interamente con tutte le sue aspirazioni alle nuove idee che allora penetravano tra la giovane generazione. Ad esempio la diversità dei numeri del "Telescopio" editi in assenza di Nadezdin e quello dei numeri precedenti salta agli occhi. Nonostante ciò Nadezdin non fu scontento dell'indirizzo preso dalla sua rivista. Colui che aveva curato questi numeri, Belinskij, acquistò maggiore influenza nella sua direzione; la critica delle opere e delle riviste letterarie passò interamente nelle sue mani ed occupò uno spazio maggiore. Tutte le iniziative prese da Belinskij in assenza del direttore furono portate avanti sino alla fine del "Telescopio". Si è detto in precedenza che Belinskij fu il primo a lodare l'immenso talento di Gogol e a caratterizzarlo come l'iniziatore della letteratura russa, ma lo fece solo fino ad un certo periodo della vita letteraria di Gogol, fino a quando quest'ultimo non ebbe una profonda crisi religiosa e cadde sotto l'influenza dei "Pietisti".
Fu allora infatti
che Gogol cominciò a considerare i suoi scritti precedenti
come una colpa, abiurò tutti i suoi lavori e pubblicò i
"Brani scelti della mia corrispondenza con gli amici"(1847)
dove si nota la negazione del passato e la sua conversione religiosa.
8. Pisarev, come figura più rappresentativa dell'ultimo periodo della grande critica russa
La figura più rappresentativa che chiude l'ultimo periodo della grande critica russa è senz'altro Dmitri Pisarev. Il suo nome viene non a torto accomunato a quello di Cernysevskij e Dobroljubov nella corrente dei filosofi degli anni '50. Pisarev si presenta come un deciso continuatore della loro opera progressista. Anche in estetica si accosta alla concezione utilitaristica che pretendeva dall'arte una capacità di presa immediata sulla vita; anche per Pisarev infatti di fronte ad ogni opera d'arte è lecito domandarsi: che bisogno ne ho?. "Ho gettato un colpo d'occhio, mi è piaciuto, è buono, è bello, è elegante. Un altro colpo d'occhio, non mi è piaciuto, è cattivo, ripugnante. Ma perché una cosa mi è piaciuta oppure no, questo nessun esteta saprà spiegarlo, egli si riferirà semplicemente ad un sentimento inconscio. Tutto questo deriva dal passato, nella concezione della società in seno alla quale ci siamo sviluppati e abbiamo vissuto. E' questa eredità che costituisce il fondamento di tutte le nostre concezioni estetiche." (53)
Per Pisarev quindi, ciò che ci piace incondizionatamente ci piace solo perché vi siamo abituati. "Gli adoratori della bellezza ragionano pressappoco così: questo mi piace quindi è bene. I realisti invece, sottomettono ad analisi il "questo mi piace", in quanto per conoscere il valore delle mie simpatie è necessario che mi chieda prima qual'è quella cosa, l'io, che enuncia con tanta gravità le sue sanzioni definitive." (54)
Pisarev sostiene che se la società è indifferente alla politica e non comprende la storia contemporanea, non è probabilmente indifferente al teatro e alle forme del bello. Più la società è indifferente alle grandi idee vive e più appassionatamente essa si attacca alle forme del bello. "Se il titano dell'immaginazione vuole captare l'attenzione della società, gli è sufficiente utilizzare le forme che piacciono ai suoi contemporanei, ripulirle e infondervi quel contenuto vivo tratto dalla vita e dalla letteratura nel corso dei difficili anni dell'inerzia mentale. Il risveglio di una società debole e demoralizzata inizia generalmente con la purificazione delle sue concezioni estetiche, lasciandosi guidare dall'istinto proprio dei titani, quali Lessing in Germania, Belinskij in Russia, che hanno cominciato a rinnovare la società, proprio tramite concezioni estetiche." (55) Anche per Pisarev, come per Cernysevskij, ogni attività intellettuale, filosofica, scientifica, deve trovare il suo fine nella vita sociale, deve tener conto che il problema fondamentale da risolvere è che c'è gente che ha fame e freddo, e solo mediante l'innalzamento culturale del popolo si può sperare di realizzare quel progresso che Cernysevskij e i suoi speravano di ottenere mediante la rivoluzione.
Pisarev cercò di offrire una formulazione sistematica della sua concezione estetica nel breve ma denso articolo intitolato "La distruzione dell'estetica"(56) dove presenta una interpretazione della famosa tesi di Cernysevskij: "Rapporti estetici tra arte e realtà", interpretazione che vede nel pensiero di Cernysevskij la distruzione di ogni estetica come scienza che intenda definire i canoni del bello.
Per Cernysevskij ciò che definisce il valore di un'opera d'arte è esclusivamente il contenuto, anche se egli non definisce affatto quale debba essere il contenuto di una bella opera d'arte, e lascia che ciò venga determinato di volta in volta dal gusto individuale. Ma questi, sostiene Pisarev, sono criteri relativi che abbandonano l'opera d'arte al giudizio individuale, giacchè ciò che interessa me può non interessare un altro. "Quindi non esistono- conclude Pisarev- né regole, né canoni oggettivi della bellezza, e il diritto di pronunciare un giudizio definitivo sulle opere d'arte non appartiene all'estetica, ma all'uomo che pensa, il quale giudica del contenuto, cioè dei fenomeni della vita; per questo motivo l'estetica come scienza non esiste." (57)
All'arte e
all'estetica viene rifiutato un campo proprio; il criterio di una
opera d'arte non può essere assoluto ma dovrà adeguarsi
a quella legge dialettica che continuamente sviluppa e muta i modi di
essere e le concezioni dell'umanità. Da queste premesse egli
ne deduce con il suo articolo che l'estetica è stata distrutta
ma, in realtà, anche la sua distruzione dell'estetica altro
non è che una nuova estetica.
1 Karamzin, Cit in La grande stagione della critica letteraria russa, a cura di Gianlorenzo Pacini. Lerici Editori, 1962, Milano pag. 22
3 Nadezdin, cit.in La grande stagione della critica letteraria rusa, op. cit. pag. 40
4 N. G. Cernysevskij: Saggi sul periodo gogoliano. Ed. Rinascita, Roma, 1954, pag. 215
5 Belinskij, Cit in La grande stagione della critica letteraria russa, Op. cit. pag. 64
6 N.G.Cernysevskij: Saggi sul periodo gogoliano, Op. cit. pag.89
7 Cfr ad es.Articolo su Il Contemporaneo, "Un Raggio di Luce", cit.in estetica Nichilista. Centolibri,Catania,1984
8 V.I. Lenin: Materialismo ed Empiriocriticismo, Milano, sapere edizioni, 1970
9 Lenin dà il nome Che Fare?, riprendendo il famoso romanzo di Cernysevskij, ad un libro da lui scritto tra la fine del 1901 e il febbraio del 1902.
10 F. Engels: Cit in Introduzione a saggi critici, Op cit pag. 8
13 N.G. Cernysevskij: Saggi sul periodo gogoliano. Op. cit.
15 N. G. Cernysevskij: Cit. in Introduzione saggi critici, Op. Cit. pag. 27
16 N. G. Cernysevskij. Cit. in Introduzione ad Arte e realtà, Op. cit. pag.28
18 Lenin: Materialismo ed empiriocriticismo, op. cit.
19 N. G. Cernysevskij, Cit in Arte e realtà, op cit. pag. 31
22 N. G. Cernysevskij. Cit in Ignazio Ambrogio, Op. cit. pag. 34
23 cfr Hegel: Estetica. Ed. Feltrinelli, Milano, 1978
24 N.G. Cernysevskij: Rapporti fra Arte e Realtà nell'Estetica. Ed. Rinascita, 1954, Roma, pag.88
26 N.G. Cernysevskij, cit. in Introduzione ad arte e realtà di Ignazio Ambrogio, Op. cit. pag. 36
27 Cfr N. G. Cernysevskij: Che Fare? Op. cit.
28 Cit. in Marshall Berman: L'esperienza della modernità, Ed. il Mulino, Bologna, 1985, pag. 266.
29 N. G. Cernysevskij: Che fare?. Ed. Riuniti, Roma, 1977,p.. 266-267
30 N.G. Cernysevskij, cit. in Marshall Berman: Op. cit. pag.270
33 Dostoevskij: Memorie del sottosuolo. BUR, Milano, 1975, Pag.70-71
35 Marshall Berman: Op. Cit. pag. 282
36 Da che cos'è l'arte?, Milano, edizioni Treves, 1902
37 Pubblicata per la prima volta come tesi di laurea, nel maggio 1855. Una seconda edizione apparve mentre Cernysevskij era in esilio, e la terza, pronta nel 1888, fu pubblicata solo nel 1906, in seguito al divieto della censura. La presente traduzione, di Ignazio Ambrogio, si basa sul testo della prima edizione, ma comprende le correzioni apportate da Cernysevskij nel 1888.
38 N.G.Cernysevskij: Rapporti fra arte e realtà nell'estetica, ed. Rinascita, Roma, 1954, pp. 164-181
39 N. G. Cernysevskij: Saggi sul periodo gogoliano, Op. Cit. pag. 209
45 Viazemskij. Ivi, pag. 354-355
47 N. G. Cernysevskij, ivi, pag. 361
49 N.G.Cernysevskij: ivi, pag. 363
50 N.G.Cernysevskij: ivi, pag. 366
51 N.G.Cernysevskij: ivi, pag. 406
53 Pisarev: Estetica e ideologia. Articolo scritto su "La parola russa", 1864. Cit. in Estetica nichilista, Op. cit. pag. 57
55 Pisarev: Arte e società. Articolo scritto su "la parola russa", 1867. Cit in Estetica nichilista, Op. cit. pag. 71-72
56 Pisarev: La distruzione dell'estetica. Articolo pubblicato per la prima volta nel maggio 1865 sulla rivista "La parola russa". Cit. in La grande stagione della critica letteraria russa, Op. cit. pag. 453
57 Pisarev: La distruzione dell'estetica, Op. cit. pag. 478
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