Jonathan Coe è
una delle voci più apprezzate della nuova letteratura
inglese. I suoi libri sono stati tradotti in molte lingue.
Lultimo, Cerchio Chiuso (Feltrinelli), seguito
naturale de La Banda dei Brocchi, è uscito da poco
in Italia ed è un bel romanzo corale, dallimpianto
solido, chiaro e godibile. Narra la vicenda di un gruppo di amici
nellInghilterra di oggi mentre, sullo sfondo, gli eventi
drammatici di questo inizio-secolo, dalla caduta delle Torri
allinvasione dellIraq, segnano la storia. Proprio per
il suo sguardo attento sulla realtà attuale e la
popolarità che gode in Europa, Coe ci sembrava un ottimo
punto di partenza per cominciare una breve indagine sul rapporto
che gli scrittori europei hanno col proprio continente.
Che
posto ha occupato la letteratura europea nella sua formazione di
scrittore?
Le
maggiori influenze della mia scrittura sono europee: soprattutto
inglesi e irlandesi, ma anche spagnole (Cervantes), francesi
(Rabelais, Flaubert), italiane (Calvino, Eco), ceche (Hrabal), e
così via. Per qualche ragione la letteratura americana non
mi ha mai interessato più di tanto. Nella tradizione
letteraria europea trovo ci sia più ironia, più
consapevolezza del romanzo come artefatto letterario. È
una tradizione che interroga continuamente se stessa: per questo
è affascinante.
Lei
è un autore tradotto in molte lingue. Questo fatto lha
influenzata? La coglie il timore che un lettore italiano o
finlandese possa non afferrare del tutto la specificità
della realtà inglese?
I
miei primi tre romanzi non sono stati tradotti per un bel po
di tempo: dicevano che erano troppo inglesi. Poi ho
scritto il libro più inglese che potessi concepire - La
famiglia Winshaw - e con mia grande sorpresa sono finito
tradotto in tutte le lingue. Mi è stato detto che negli
altri paesi il libro è piaciuto proprio perché era
così inglese. Da allora sono diventato
progressivamente consapevole di avere un pubblico internazionale,
ma nello stesso tempo mi sono anche reso conto che ciò che
la gente apprezza davvero nei miei libri è la loro
specificità etnica. Però cè
un piccolo problema: la vita inglese è insulare ed è
ossessionata dalla proprie referenze culturali, e queste ultime
non è che poi siano così tanto accessibili ai
lettori di altri paesi. Pertanto, correndo il rischio di perder
per strada un po dei sapori della mia terra, oggi cerco di
non mettere nei miei romanzi troppi riferimenti alla cultura
popolare britannica in senso stretto, tipo certi nostri
personaggi televisivi poco noti allestero.
Storicamente
la letteratura inglese è parsa sempre poco permeabile alle
influenze provenienti dal continente e, anche oggi, il vostro
mercato sembra piuttosto chiuso in questo senso. Secondo lei a
cosa è dovuto?
Per
prima cosa, nelle nostre scuole non cè una gran
tradizione per linsegnamento delle lingue straniere. Poi
cè il problema dellinsularità che
ricordavo prima, che spesso è anche insularità
personale: sembra che gli inglesi non leggano tanto i libri per
sentirsi trasportare altrove, quanto per riconoscervisi dentro -
da qui nasce il successo di Bridget Jones e del primo Nick
Hornby. Gli inglesi amano la narrativa che rispecchia le loro
vite, che considerano in tutto e per tutto diverse da quelle di
chi vive, che so, in Germania, in Svezia, in Afghanistan.
Nonostante ciò, ogni tanto capita inspiegabilmente che un
autore straniero abbia un successo mostruoso da noi: Peter Hoeg,
per esempio, o Carlos Ruiz Zafon, che in questi tempi è
molto in voga. Di tanto in tanto al pubblico inglese piace
tuffare i polpastrelli in qualcosa di esotico, così come
una volta allanno ama fare una vacanza allestero.
A
me pare che culturalmente il cammino da fare verso un vero e
proprio scambio tra i paesi dellEuropa sia ancora lungo.
Come vede la situazione?
Sono
daccordo. Non vedo però la soluzione di questo
problema.
Secondo
lei quanto si dovrà aspettare per leggere un romanzo
europeo? O pensa che sia già stato scritto?
Il
Don Chisciotte e Luomo senza qualità
di Musil, per prendere due esempi stellari, sono romanzi che
mettono in campo argomenti considerevoli per ogni europeo. Non
credo però in un romanzo corale paneuropeo,
che tenti cioè di dar voce contemporaneamente ad ogni
nazione.
Uno
dei personaggi del suo ultimo romanzo, Claire, torna a Birmingham
dopo una lunga permanenza in Italia. Mè sembrato che
nelleconomia del libro lItalia venga vissuta ancora
come unaltrove e gli anni italiani di Claire servano
soprattutto per stabilire unassenza. Personalmente lei che
sentimenti prova nei confronti dellEuropa?
Tutte
le volte che viaggio nei paesi europei, sono sempre molto
consapevole della loro diversità, ed è
quello che me li fa amare. È chiaro che con gli
irrefrenabili progressi del commercio internazionale, le
differenze tra i paesi diventano ogni giorno meno marcate e in
qualsiasi città oggi puoi trovare gli stessi negozi.
Nonostante ciò, queste differenze non spariranno mai del
tutto e lemozione che provo quando mi sento a Roma, a
Parigi o a Bucarest è dovuta anche al fatto che questi
luoghi mi permettono di evadere per qualche giorno dalla mia
inglesità. Lidea che tali differenze un
giorno o laltro possano dissolversi per far posto a una
sorta di europeità omogeneizzata per me è
qualcosa di terrificante.
Lei
pensa che limitandosi a leggere i romanzi inglesi che sono stati
tradotti nelle rispettive lingue, ci si possa fare unidea
di cosè la letteratura in Gran Bretagna oggi o
esistono invece realtà importanti che, anche nella stessa
Europa, non sia ha la possibilità di recepire?
La
letteratura in questo momento in Gran Bretagna è molto
diversificata; non credo che gli altri cittadini europei possano
farsi unidea precisa al riguardo, perché la maggior
parte degli autori migliori non è tradotta e dunque non
viene letta fuori dai nostri confini. Scrittori come Tim Lott,
Neil Cross, Andrew Crumey, Julie Myerson e Charlotte Mendelson
non sono conosciuti allestero come meriterebbero. Il quadro
che si riceve della letteratura inglese è determinato dal
mercato internazionale, come accade per qualsiasi altra merce. In
tutti i casi è la nostra televisione, ancor più
della nostra letteratura, losservatorio che può
fornire la panoramica più esaustiva sulla vita inglese.
Nel
Circolo chiuso appare molto deciso nel
descrivere lipocrisia della sinistra riformista inglese.
Avrebbe usato lo stesso tono se avesse dovuto rappresentare la
sinistra di un altro paese europeo?
Non
lo so, perché non conosco abbastanza le situazioni
politiche degli altri paesi. Mi sembra però che la
sinistra italiana attualmente sia poco in grado di mettere in
campo unalternativa coerente a Berlusconi. È un po
la stessa condizione in cui sè trovata la sinistra
inglese nel 1983, poco dopo larrivo al potere della signora
Thatcher. Da quel momento le sono serviti altri 15 anni per
riconquistare terreno, e ciò le è stato possibile
solo al prezzo di abbandonare molti princìpi e compiere un
vistoso slittamento a destra. Non cè più un
partito della sinistra in Inghilterra, eccetto forse i liberali
democratici, che però sono tenuti costantemente alla larga
dal potere, per il fatto che da noi non vige il sistema
elettorale proporzionale.
Il
libro si chiude - pieno di amarezza - con lo scoppio della guerra
in Iraq. Dopo che le ragioni del conflitto sono state
unanimemente considerate infondate, nulla sembra cambiato. Cosa
prova?
Sono
indignato, perché tutto ciò mostra ancora una volta
che la maggior parte della gente vota con in testa solo il
proprio piccolo interesse privato e non esita a farsi incantare
da un partito che magari promette sgravi fiscali,
disinteressandosi poi completamente al quadro politico generale.
Credo che la situazione americana e inglese siano un po
diverse tra loro: da noi la gente almeno sinfuria con Tony
Blair perché è andato in guerra - anche se poi è
subito pronta a perdonarlo perché non ha nessun altro da
votare. In America invece quelli che hanno votato Bush pensano
seriamente che la guerra sia giusta e necessaria. Un concetto
spaventoso.
In
Italia neanche i più accaniti detrattori della sua
politica sono riusciti a evitare di subire la potenza
dellimmaginario americano. È successo anche da voi?
Sì,
nemmeno noi possiamo sottrarci allinfluenza americana,
specie nelluniverso della cultura popolare. Ma in
Inghilterra sta anche montando uno sdegno crescente per aver
appoggiato tanto risolutamente la politica estera americana. Bush
qui non è personaggio popolare, ed è interessante
notare che Blair, durante la campagna elettorale, non si è
sognato di far menzione della sua amicizia con lui. Questo lo
trovo un cambiamento molto significativo.
In
Italia il mercato del libro è da tempo agonizzante. Per
uno scrittore il passaggio da una dimensione amatoriale a una
dimensione professionale è difficilissimo. In Francia e
Germania va un po meglio. Che aria tira in Inghilterra?
Le
vendite di libri godono ottima salute, ma la diversità è
sempre sotto scacco. Sono sempre gli stessi libri a vendere in
lungo e in largo, mentre gli scrittori più periferici
devono fare una bella lotta. Tutti leggono Dan Brown, ma
centinaia di scrittori interessanti vendono poche migliaia di
copie e a volte non riescono a pubblicare il secondo libro. I
negozi tengono infatti archivi computerizzati delle vendite
passate e non prendono in carico libri di scrittori che la volta
prima non sono andati bene: insomma, le logiche di mercato
prendono il sopravvento. Anche se diversi editori si stanno
comportando bene e un pugno di scrittori sta facendo cose
egregie, per molti diventa sempre più difficile riuscire a
sbarcare il lunario tutti i giorni. Per qualche oscuro motivo gli
editori sono più disposti a dare un milione di pounds a un
unico nuovo talento emergente, investendo tutto su di lui quando
ne fiutano le potenzialità di successo, piuttosto che dare
piccole somme a dieci o venti nuovi autori. È diventata
insomma una lotteria.
A
un certo punto del romanzo, di fronte a uno scenario caraibico,
Claire prova una fitta di nostalgia per Birmingham, quel
mondo che conosceva, il mondo che capiva. Fin dove arriva
il mondo che capisce di Jonathan Coe?
Non
lontano. Credo di capire un po il mio paese e i miei tempi,
così li scelgo come argomenti per i miei libri.
LInghilterra contemporanea è tutto quello che
conosco, e si può scrivere solo di ciò che si
conosce.
Intervista di Emidio Clementi
L'UNITA' 23/05/2005
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