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Un Huckleberry Finn di quarant'anni |
Giuseppe
Culicchia, il giovane scrittore italiano per
antonomasia, sta per compiere quarantanni. Già
questa è una notizia. Anche se da noi laggettivo
giovane si applica facilmente anche ad autori che
giovani non lo sono già da un pezzo. Ma certo, la soglia
degli anta è simbolicamente forte per uno
scrittore come Culicchia, il quale, con il suo romanzo desordio,
Tutti giù per terra (uscito da Garzanti nel 1994),
si era posto come un autore giovane che si rivolgeva soprattutto
a lettori giovani, parlando di un protagonista giovane:
lindimenticabile Walter, alle prese con lUniversità,
il servizio civile e poi il precariato lavorativo, forse, almeno
in parte, alter ego autobiografico della stesso Culicchia. Che effetto fa a un giovane scrittore compiere quarantanni? Credo che uno possa dirsi davvero scrittore solo dopo la propria morte, nel caso in cui i suoi libri continuino a trovare lettori a venti, cinquanta, cento anni dalla pubblicazione. Da questo punto di vista, la domanda mi crea grossi problemi: non sono ancora morto e quindi non so se posso dirmi scrittore, ho quarantanni e di sicuro non sono più giovane. Cè una domanda di riserva? Da oggi dovrà rinunciare a questa etichetta o la terrà ancora per qualche anno? Le etichette te le appiccicano gli altri. E in giro ci sono giovani scrittori cinquantenni con tanto di figli alluniversità. Come lettore, non ho mai preso in mano un libro facendo caso alletà di chi lo aveva scritto. Come mai con il suo ultimo romanzo Il paese delle meraviglie ha deciso di parlare degli anni Settanta? Sentivo la necessità di raccontare gli anni cosiddetti di piombo da moltissimo tempo: in realtà ho cominciato a scrivere per raccontare il paese delle meraviglie, ma mi ci sono voluti altri sei libri prima di riuscirci. Quel periodo della nostra storia recente è stato a lungo un tabù, un buco nero. Il 1977, al contrario del 1968, è stato rimosso. Tantè che ancora oggi basta sfiorare quegli anni per rimanerne scottati: vedi il recente dibattito suscitato dallamnistia per la strage dei fratelli Mattei. Che cosa le interessava di quel decennio? Mi interessava raccontare un mondo in larga parte scomparso, e una generazione che, al contrario di quanto è accaduto in Italia dopo i mirabili anni Ottanta (che in America e in Inghilterra furono quelli di Reagan e della Thatcher, e che da noi erano già quelli di Berlusconi: la tivù commerciale nasce lì, e comincia subito a cambiare usi e costumi), viveva quotidianamente la politica, da una parte come dallaltra, e sognava davvero di poter cambiare il mondo. E poi volevo raccontare la violenza ma anche una certa libertà (allepoca non esisteva la dittatura del politicamente corretto) e creatività: in quegli anni si faceva ad esempio un grande cinema, il punk cambiava la musica, nascevano le radio libere e Andrea Pazienza pubblicava le prime tavole. Erano creativi anche gli Indiani Metropolitani, anche se se ne accorsero in pochi. Detto questo, mi piacerebbe poter leggere un giorno non un romanzo, ma un libro di storia che parli degli anni Settanta, e in generale del nostro dopoguerra dalla strage di Portella della Ginestra a quella di Bologna, anzi, fino a quelle palermitane che videro la morte di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e delle loro scorte, senza omissis e segreti di Stato: perché se è vero che dal 25 luglio del 1943 non esiste in questo Paese una memoria condivisa, sarebbe bene poter almeno condividere la nostra storia senza reticenze e omissioni. È da pochi giorni in libreria Torino è casa mia. Ce ne vuole parlare? Il volume nasce da una proposta della Laterza. Perché non ci racconti la tua Torino?, mi hanno chiesto. Ho accettato volentieri perché amo molto la mia città e perché Torino ha questa fama di luogo grigio, tetro, che non corrisponde assolutamente alla realtà. Certo ci sono torinesi grigi e tetri, ma la città oggi non vive più secondo i ritmi dettati dalla fabbrica. Torino è piena di verde, e di meraviglie architettoniche, anche se tra queste non includerei la maggior parte delle opere più recenti: la nuova città che sta nascendo con linterramento della ferrovia sta deludendo la maggior parte dei torinesi, grigi e non. Non sentivamo davvero il bisogno di nuovi condomini. Comunque: Torino è appunto la mia casa, e la racconto come tale. Lingresso, la stazione di Porta Nuova. Il corridoio, Via Roma. La cucina, il mercato di Porta Palazzo. E poi naturalmente il salotto di Piazza San Carlo, e il bagno dei Murazzi, il ripostiglio del Balon (il mercato delle pulci), e via dicendo». In cosa consiste la torinesità? Torino è, dopo Napoli, la città più meridionale dItalia. I torinesi autoctoni sono una specie ormai rara. Così da un punto di vista antropologico cè oggi a Torino un bizzarro miscuglio, accresciuto naturalmente con limmigrazione dallAfrica, dallEuropa dellEst e dallAsia. La torinesità era un tempo una certa eleganza dissimulata, ad esempio, non solo nel vestire ma anche nel porsi: il famoso understatement torinese. Ma oggi in Via Roma trionfa il look Grande Fratello, o di quelle che Arbasino definisce nel suo Paesaggi italiani con zombi le mignottone tivù. Resta inalterata a Torino la suddivisione a compartimenti stagni: nella città già militare e poi industriale, ciascuno deve stare al suo posto, frequentare il suo giro. Poi naturalmente tutti i torinesi si lamentano perché vedono sempre le stesse facce, ma in fondo è quello che masochisticamente vogliono. Quanto contano i luoghi per lidentità e il lavoro di uno scrittore? Dipende dallo scrittore. Uno dei libri più belli di Kafka, che in America non andò mai, è appunto America. Mentre non si dà Thomas Bernhard senza lAustria, i caffè di Vienna e i paesini di montagna. A cosa sta lavorando? Al momento ho appena finito di tradurre per Feltrinelli uno dei miei libri preferiti, Huckleberry Finn. Grande fatica ma grande gioia. Ora sto traducendo per Einaudi il nuovo romanzo di Bret Easton Ellis. Dopo di che, lavorerò al mio nuovo romanzo: un progetto a cui penso da anni e che ora finalmente mi sento di affrontare. Intervista di Roberto Carnero L'UNITA' 26/04/2005 |
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